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Movimento No Tav, carcere, progetti futuri: intervista a Nicoletta Dosio

In questi giorni in cui il progetto Tav in Val Susa ha ricominciato a far parlare di sé, abbiamo intervistato Nicoletta Dosio, storica esponente del Movimento No Tav, che ci ha risposto ad ampio spettro sulla sua esperienza di attivista, il futuro del Movimento No Tav, la situazione carceraria e le lotte per la difesa dei beni comuni.

Come sta attualmente?

Fisicamente sto come una settantaquattrenne non troppo bene in arnese. Psicologicamente mi sento come chi è forzatamente escluso dalla vita attiva. Mi trovo a sperimentare la situazione degli eretici nell’Inferno dantesco: il loro tormento non è tanto il supplizio delle arche infuocate, ma il fatto che in essi rimane intatta la memoria del passato e possibile la previsione del futuro, mentre nulla sanno e nulla possono rispetto ad un presente che sono costretti a vivere nel cono d’ombra che offusca loro la conoscenza e rende impossibile l’azione. E’ una sensazione che si vive all’ennesima potenza in carcere e che continua anche per chi è ristretto ai domiciliari.

Al momento qual è la Sua situazione legale?

La pena definitiva di un anno in carcere è stata tramutata, per l’emergenza covid, negli arresti domiciliari fino a fine anno. Un provvedimento che doveva essere applicato per ovviare al pericolo contagio, reso drammatico dal sovraffollamento delle carceri e dalla grave carenza di mezzi di prevenzione (niente mascherine, niente sanificazioni efficaci: i detenuti non possono tenere candeggina, alcool e altri strumenti di disinfezione. Solo nelle ultime settimane i corridoi e le parti esterne dei blindi venivano molto sommariamente irrorati tramite un erogatore che mi ricordava la pompa dl verderame e i lavori di vigna).

In realtà, pur essendo alto il numero dei detenuti con patologie a rischio, per i quali il provvedimento prevedeva il ritorno a casa, uscimmo in pochissime persone: ancora una volta, sulla giustizia e il senso di umanità, ha prevalso il giustizialismo.

Ha avuto, Suo malgrado, l’occasione di vivere in uno dei luoghi sospesi, il carcere, di cui nessuno si occupa: cosa Le è rimasto di questa esperienza?

Provare il carcere per me ha significato avere la conferma concreta di quanto già immaginavo teoricamente. Il carcere è luogo di esclusione e di controllo sociale che il sistema esercita su chi è povero e chi si ribella. Le mie compagne di detenzione portavano con sé storie di miseria, di soprusi e di violenze subite lungo le vie dell’emigrazione, o tra le pareti domestiche, o negli inferni della prostituzione e della tossicodipendenza. Proprio in queste donne ho trovato la generosità semplice e concreta che spinge chi non ha niente a dividere quel niente con chi ha ancor meno, a tendere la mano a chi sta per lasciarsi andare. Se qualcosa di umano sopravvive in quei luoghi è proprio la solidarietà tra carcerati e la chiarezza che non c’è mediazione possibile tra reclusori e reclusi e che i tribunali non esercitano la giustizia, ma la vendetta. Pure i cosiddetti “progetti di recupero” costituiscono, nei casi migliori, poco più che una foglia di fico e, nei casi peggiori, sono aperto sfruttamento di lavoro sottopagato. Da questa esperienza ho portato con me l’affetto per le mie compagne, che mi sono diventate figlie e sorelle e con le quali continuo a tenermi in contatto; ho ben chiara la consapevolezza che abolire il carcere è non solo possibile, ma indispensabile e lo strumento non può che essere il conflitto per un mondo ed una società più giusti e vivibili per tutti: lotta non solo per i diritti civili, ma per i diritti sociali e ambientali.

Il movimento No Tav Le ha dimostrato il suo affetto nella manifestazione oceanica dell’11 gennaio scorso, ci racconti che effetto Le ha fatto tanta partecipazione alle Sue vicende?

La certezza dell’affetto che mi dona la mia grande famiglia di lotta mi ha aiutata ad affrontare con gioia e determinazione questa non facile esperienza: non solo la grande manifestazione dell’ 11 gennaio, ma le decine di lettere che mi arrivavano ogni giorno, la visita quotidiana degli avvocati , il sostegno che mi è giunto da tante realtà di lotte sociali da ogni parte del paese, anzi del mondo, è stato per me un segno prezioso che nulla può veramente il potere contro quella bomba ad orologeria che è il cuore. Le lotte vere durano anche per quell’affetto che va oltre la solidarietà di maniera e, soprattutto nei momenti cruciali, diventa antidoto contro la paura e l’interiorizzazione della sconfitta.

Uno dei motti più cari al Movimento NO TAV è che, sempre, “si parte e si torna insieme”, e lo dimostra la solidarietà concreta della cassa di resistenza per le spese legali o a favore di chi è detenuto e dei tanti che hanno perso il lavoro per rappresaglia. E lo testimoniano le numerosissime manifestazioni davanti ai tribunali e alle carceri, a sostegno dei resistenti NO TAV, ma anche delle altre innumerevoli resistenze che fanno vivo e bello il Paese.

L’eco di quella memorabile giornata ha infranto mura e sbarre, come un vento di liberazione. Le mie compagne di detenzione hanno condiviso con me la gioia delle immagini brevemente trasmesse in TV e dei saluti rivolti a tutte.

L’emergenza COVID-19 ha reso evidente l’importanza della sanità e dell’istruzione pubblica e del loro adeguato finanziamento. Come pensa che l’esperienza della lotta No Tav possa essere utile anche per le lotte che si stanno definendo per la sanità e l’istruzione pubblica?

La pandemia ha dimostrato quello che, da più parti, Cassandre inascoltate vaticinavano da sempre: che la natura si ribella contro chi mette in pericolo la sua sopravvivenza e che il Progresso della globalizzazione e della “crescita infinita” è una corsa verso l’abisso.

Il movimento NO TAV è nato su questa consapevolezza, applicandola concretamente nella difesa dei luoghi della propria vita e delle risorse comuni. E stata anche, da subito, lotta contro le privatizzazioni. Non si deve dimenticare che i progetti TAV sono stati, fin dalla loro nascita, l’altra faccia della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, della loro trasformazione in SpA, con conseguenze devastanti non solo sul piano ambientale, ma economico e sociale. Lo smantellamento dei poli e delle officine ferroviarie, il taglio o l’abbandono delle reti a piccola e media distanza fondamentali per mettere in comunicazione i territori, la rottamazione del trasporto intercity e del Pendolino che collegava egregiamente i centri lontani hanno comportato devastazioni ambientali, disastri ferroviari per mancata manutenzione o per scontri di treni su linee a binario unico, soppressione di corse pendolari, taglio dei posti di lavoro.

La stessa cosa si può dire per la scuola e per la sanità: quando vincono gli interessi privati, non c’è più posto per il diritto alla salute, ad una scuola che sia pubblica, democratica e formativa, ad un lavoro che non distrugga e uccida. Non è un caso che, anche in Valle di Susa, mentre si sono aperte le cantierizzazioni del TAV, si siano chiusi gli Ospedali di Avigliana e di Giaveno e ampiamente ridimensionato l’ospedale di Susa, con la soppressione dei reparti di ostetricia e ginecologia, dell’ambulatorio pediatrico e la contrazione degli altri reparti, non ultimo il pronto soccorso.
Nei suoi trent’anni di vita la lotta NO TAV è stata sempre anche lotta per la difesa dei servizi pubblici e contro le mafie incistate nel cuore dello stato, che continuano a chiamare pace e benessere la desertificazione sociale, culturale, ambientale.

E stata sempre una lotta senza deleghe, frutto di una democrazia reale contro la falsa “democrazia” dei poteri forti e delle lobby che fanno quotidianamente carta straccia della Costituzione nata dall’antifascismo e dalla Resistenza.

Come vede il futuro del movimento No Tav a breve e medio termine?

Il movimento NO TAV, come ha dimostrato anche in queste settimane, è vivo e vegeto, alla faccia dei lobbisti e dei mass media di regime che intessevano elegie sul declino inarrestabile delle lotte e, prima tra tutte, della lotta NO TAV.

Questi trent’anni di repressione, invece di fiaccare la resistenza degli oppressi, ha svelato appieno l’arbitrio degli oppressori, l’inconsistenza delle motivazioni per la grande mala opera, la sua inutilità e pericolosità. La militarizzazione del territorio, le sentenze dei tribunali, gli arbitrii polizieschi, non meno della devastazione ambientale, dei rischi per la salute connessi alle tonnellate di amianto e uranio portate alla luce e abbandonate a cielo aperto dai sondaggi geognostici, hanno sconfitto indifferenza ed interiorizzazione della sconfitta, chiamando alla difesa collettiva tante storie diverse tra di loro, ma unificate dalla consapevolezza che la vita e la salute non sono mediabili né vendibili. Siamo tanti, di tutte le età con una grandissima presenza delle donne e dei giovanissimi, il che ci fa dire che, quando il seme è fuono, fruttifica.

Quali sono i Suoi programmi per il prossimo futuro?

Ora le parole sono per me quello che fino a qualche mese fa erano gli scarponi per affrontare i sentieri della Clarea, le tronchesi per tagliare reti e concertine messe a protezione del cantiere e sparse per i boschi: sono le pietre della mia intifada.

Non mi sento sola, perché l’affetto delle mie sorelle e dei miei fratelli di lotta mi arriva anche tra le mura domiciliari. E sono pronta a tornare concretamente insieme a tutte e tutti quando il momento e gli eventi lo richiederanno.

Nicoletta Dosio è una professoressa di greco e latino in pensione dal 2006, ha insegnato in diversi licei tra cui il liceo scientifico «Norberto Rosa» di Bussoleno che ha contribuito a fondare negli anni Ottanta. Partecipa nel movimento no TAV dalla fine degli anni ’80 ed è membro del Coordinamento nazionale di Potere al Popolo. Internazionalista ed antimilitarista si è sempre spesa nelle lotte ambientali.

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