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Il movimento No Tap a processo. Sosteniamo la Cassa di Resistenza

Abbondanza, Ilaria, Stefania, Beatrice, Clara, Viviana e Vanessa. Non sono meri nomi propri. Sono solo alcune delle donne che popolano un’importante pagina di storia contemporanea, su cui i riflettori non si sono mai accesi. Oggi pagano il prezzo del loro impegno civico con un processo.

Profili femminili comuni: giovanissime e ottantenni, professioniste, casalinghe e disoccupate. Madri e non, ma sono tutte “Mamme No Tap”: il volto femminile senza il quale la protesta contro il mega-gasdotto Trans Adriatic Pipeline, in costruzione in Salento (Puglia), non sarebbe stata possibile. Tap è l’ultimo tratto di un’opera di circa quattromila chilometri, che inizia in Azerbaigian. E i nomi di queste donne, circa un terzo dei 90 imputati, figurano nel registro dei tre procedimenti penali a carico degli attivisti, accorpati in un unico maxi-processo che inizierà l’11 settembre.

È la storia di una comunità che d’improvviso apprende di essere stata scelta senza essere interpellata per la realizzazione di una grande opera, considerata da più parti inutile. Il territorio a vocazione turistica ed agricola deve cedere il passo a un presunto progresso, i cui danni ora sono al vaglio della magistratura. Il processo per gravi reati ambientali in cui sono imputati i vertici di Tap e vari imprenditori locali è stato posticipato a settembre, nello stesso giorno di quello contro gli attivisti. La costruzione del gasdotto non è mai stata interrotta. Nel 2015, ad autorizzazioni rilasciate, la cittadinanza si riunì per capire come difendersi. Le donne accorsero e si organizzarono. Bandiera alla mano e fischietti. Il 2017 fu l’anno cruciale. Facevano i turni, anche di notte, al presidio soprannominato “La Peppina” che un contadino del posto aveva accolto nel proprio fondo, di fronte al cantiere. La musica e le prelibatezze locali sfornate per ogni evenienza. La solidarietà tra famiglie. Chi restava a casa cucinava per gli altri. Melendugno visse lunghi mesi di tensione.

La notte tra il 12 e il 13 novembre 2017 venne istituita una zona rossa inaccessibile, molto più ampia dell’area di cantiere. Il filo spinato inorridì persino le istituzioni. Ottocento agenti furono mandati in Salento a contenere le proteste. Il caso fu presentato anche all’Osce dall’avvocata Elena Papadia, esperta di diritti umani. Nel dossier “Difendere i difensori della terra”, denunciò la repressione sistematica, l’accanimento giudiziario, la compressione di spazi di partecipazione democratica e di libertà, l’ostruzionismo e la prepotenza istituzionale, l’intolleranza rispetto al dissenso, anche quando pacifico. “Guardando il corpo a corpo tra le forze dell’ordine e gli amministratori locali – racconta – mi chiedevo: è possibile che in un Paese democratico come il nostro non vengano prese in considerazione le istanze dei cittadini?”.

Le donne salentine vennero dipinte come violente e anarchiche, sebbene nel loro passato non vi fossero tracce di una consolidata esperienza da guerriglia. Ci sono peraltro denunce, le loro, finite nel vuoto. Ne è un esempio quella di Anna Maria Mangè, 55 anni, impiegata nel settore alberghiero. All’alba del 9 febbraio 2018, mentre passeggiava con sua figlia nei pressi del cantiere per la “colazione resistente” accadde il peggio. Riferendosi agli agenti, raccontò con coraggio in conferenza stampa: “Mi hanno scaraventato addosso l’inferriata del cancello. Ho perso i sensi. Mi hanno calpestata con gli anfibi. Ho temuto di morire”.

Questa storia però è finita nel dimenticatoio, ma i suoi reati restano. Come quelli delle altre. Anna Maria Vergari, 62 anni, docente di musica in pensione, ha ancora paura “degli scudi alzati”. Un episodio su tutti l’ha indignata. A ottobre del 2017 racconta: “Ero a Maglie col mio compagno durante la visita di Matteo Renzi. Indossavo una maglietta con la scritta No Tap. È partito qualche fischio e mi sono unita. Sono stata presa dal collo e trascinata per tutta la piazza. Comunque ho continuato a fischiare. Poi ho dovuto mettere il collare”. Sua figlia Serena Fiorentino ha cercato di portare la lotta nelle scuole, nei teatri e nelle biblioteche. “Ho scritto due libri – fa sapere – uno di favole e uno di testimonianze di attivisti e ho collaborato a uno spettacolo”. Ciascuna ha cercato il suo modo di dissentire. C’è chi è imputata persino per aver lanciato ciclamini contro gli agenti. Saranno i giudici a stabilire le loro colpe. Resta la percezione di una profonda iniquità. Una ferita nell’assetto democratico da cui emergono potenti le voci di donne comuni nell’ammutolimento generale.

Maria Cristina Fraddosio

da il fatto quotidiano

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Sostegno, complicità e solidarietà alle attiviste e agli attivisti del movimento NoTap

per contribuire al pagamento delle spese legali è stata costituita una cassa di resistenza.

Per sottoscrivere: Cassa di Resistenza NoTAP:
gofundme.com/f/no-tap

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