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Minniti con la Guardia costiera “libica” affonda il diritto internazionale

Oltre ai barconi e agli esseri umani, nel Mediterraneo affondano anche il diritto internazionale e qualsiasi briciola di umanità, come dimostra il nuovo tentativo di sequestro da  parte di una motovedetta libica di persone già soccorse da un gommone della nave umanitaria della Ong spagnola Open Arms, tentativo avvenuto in acque internazionali. Gli accordi voluti da Gentiloni e Minniti di fatto rigettano i migranti nelle mani dei carcerieri dai quali fuggono e provocano ogni giorno morte e violenza nel silenzio dei grandi media ma anche incidenti diplomatici (ad esempio con Ada Colau, sindaca di Barcellona). Dicono che il signor Minniti abbia buone possibilità di trovare una ricollocazione in un nuovo governo di larghe intese

Ancora una volta durante una operazione di soccorso in acque internazionali, ben lontano dalle acque territoriali, una motovedetta libica ha cercato di sequestrare persone che erano state già soccorse da un gommone di servizio alla nave umanitaria della Ong spagnola Open Arms, intimando la “restituzione” di donne e minori per ricondurli in un centro di detenzione a Tripoli. Già lo scorso anno, pochi giorni dopo l’entrata in vigore del “Codice di condotta” imposto da Minniti, ad agosto, i libici avevano aperto il fuoco su un mezzo di soccorso di Open Arms. La vicenda di oggi ha riconfermato l’isolamento delle navi umanitarie che ancora si ostinano a soccorrere vite umane in acque internazionali sulla rotta del Mediterraneo centrale, mentre le navi di Frontex sono state ritirate e gli assetti navali dell’operazione Eunavfor Med, rinforzati anche da unità della Marina militare italiana, stanno a guardare la caccia dei libici alle imbarcazioni, che malgrado la intensificazione della lotta contro i trafficanti, continuano a partire dalla Libia non appena le condizioni meteo migliorano.

Nessuna regola del Codice di comportamento imposto da Minniti alle ONG nel mese di luglio dello scorso anno prevede che, dopo i soccorsi, le navi umanitarie debbano coinvolgere il paese di cui battono bandiera per chiedere una località di sbarco, un place of safety che, secondo il diritto internazionale dovrebbe essere indicato dall’autorità SAR responsabile del soccorso nel suo territorio, e nel più breve tempo possibile.

Allarma il più recente comunicato della Guardia costiera italiana che afferma l’attribuzione alle autorità libiche della competenza di salvataggio dei migranti da soccorrere in acque internazionali. Una attribuzione che è certamente frutto di accordi operativi ancora segreti, ma che comporta la possibilità effettiva di incidenti, perché al di fuori di qualsiasi prevedibilità, che ha un evidente effetto deterrente rispetto agli interventi delle navi umanitarie. Quello che vale un giorno, non vale più il giorno successivo, tutto viene deciso di volta in volta in base al coordinamento tra autorità SAR italiane e autorità SAR del governo di Tripoli, un caos che ha già fatto vittime, come il 6 novembre 2017.

NOTA STAMPA DELLA GUARDIA COSTIERA ITALIANA -16.03.2018

Nella giornata di ieri, la Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma ha ricevuto 2 segnalazioni relative a 2 unità in difficoltà con a bordo migranti nel Mediterraneo centrale. La Centrale Operativa informava tutte le MRCC prossime all’area in questione, avvisando nel contempo le unità navali in transito nella zona di interesse. In entrambi i casi il coordinamento veniva assunto dalla Guardia Costiera libica. Per entrambi gli eventi rispondeva l’ONG Open Arms, a conoscenza dell’assunzione del coordinamento da parte della Libia. La Open Arms traeva in salvo in totale 218 migranti. Nella giornata odierna l’unità ONG dirigeva verso nord ovest, con i naufraghi a bordo, in attesa che lo stato di bandiera, la Spagna, come prevedono le normative internazionali, concordasse con uno Stato costiero, il porto di destinazione dei naufraghi.Durante la navigazione, a circa 10 miglia dalle coste maltesi, veniva effettuato un trasbordo sanitario di urgenza, con una motovedetta maltese, di un neonato assistito dalla madre. L’unità, nonostante l’immediata vicinanza con l’isola di Malta, proseguiva la navigazione verso le coste italiane in attesa di indicazioni dell’Autorità spagnola. Intanto, raggiunto il limite delle acque territoriali italiane, attese le precarie condizioni dei migranti a bordo e le previste condizioni meteomarine in peggioramento, veniva consentito alla ONG di dirigere verso il porto di Pozzallo dove arriverà tra alcune ore.

Corollario di questo comunicato della Guardia costiera è che sarebbero le autorità libiche ad avere il potere di riportare in un porto libico le persone soccorse in acque internazionali. Con enormi rischi per la vita e l’integrità fisica e psichica delle persone intercettate in mare, perché è questo il termine da usare, e rigettate nelle mani dei carcerieri dai quali sono fuggiti. Sono peraltro noti da tempo gli abusi ai quali sono imposti i migranti reclusi nei centri di detenzione libici, anche quelli ufficiali,dopo essere stati riportati a terra dalla guardia costiera che risponde agli ordini del governo Serraj. Una Guardia costiera “libica” che non riesce a garantire neppure attività di soccorso nella vasta zona SAR che rivendica, ma che, dopo gli accordi conclusi con Minniti, non esita a minacciare con le armi gli operatori umanitari impegnati nelle attività SAR (ricerca e soccorso). Adesso i libici pretendono anche la riconsegna delle persone che sono state soccorse in acque internazionali dai mezzi di servizio delle navi umanitarie. Una Guardia costiera supportata dai sostenitori dei respingimenti facili, che con le linee annunciate dai partiti che potrebbero formare i prossimi governi potrebbero proseguire le politiche inaugurate da Minniti, con modalità ancora più esplicite e brutali, di cui oggi si è avuta una prima anticipazione.

Dopo i ritardi seguiti all’iniziale rifiuto delle autorità maltesi che non volevano fare sbarcare tre persone in pericolo di vita, altri ritardi sono derivati dalla linea di chiusura imposta alla Guardia costiera italiana da Minniti, in missione in Niger per spostare ancora più a sud la frontiera dei respingimenti europei. Come se il diritto internazionale del mare consentisse che uno stato già competente alla riconduzione nei propri porti dei naufraghi soccorsi in acque internazionali, potesse trasferire la responsabilità SAR ( ricerca e salvataggio) ad uno stato come la Libia, o quello che ne rimane, quindi il governo di Tripoli,che neppure rispetta le Convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione di Ginevra del 1951, al punto da sottrarre i comandi della Guardia costiera italiana (IMRCC) alla responsabilità di offrire un porto di sbarco sicuro in Italia ( place of safety).

La nuova operazione Themis lanciata da Frontex non può giustificare alcuna deroga al diritto internazionale ed al Regolamento Europeo n.656 del 2014, che impone a tutte le unità di Frontex precisi obblighi di soccorso, al punto che l’Agenzia, per eluderne l’applicazione, ha allontanato dalle coste libiche tutti i suoi assetti navali, massicciamente presenti fino alla metà del 2017. le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) dispongono che il governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito. L’Italia non può cedere di volta in volta responsabilità sulla zona SAR in acque internazionali che la Libia non riesce a presidiare per salvare vite umane in mare, ma nella quale scorrazza in armi per riportare indietro i migranti intercettati in alto mare.

Queste le regole sul luogo di sbarco nei documenti internazionali adottati dall’IMO e dall’UNHCR. Regole internazionali che non possono essere modificate né da Minniti nè dai vertici di Frontex che hanno ideato l’operazione Themis proprio per ridurre la portata degli obblighi di soccorso a carico dell’agenzia previsti dal Regolamento Europeo 656 del 2014. Regolamento che può essere modificato soltanto con un voto del Parlamento europeo e non per le decisioni elettoralistiche di burocrati e generali. Che hanno referenti politici bene individuati. di aiuto

Di fronte ad un rifiuto di indicare il luogo di sbarco da parte delle autorità italiane, e soprattutto di fronte alla sistematica delega alle autorità navali del governo di Tripoli delle competenze di intercettazione in acque internazionali, frutto del Memorandum d’intesa del 2 febbraio 2017 e dei successivi accordi operativi segreti negoziati da Minniti e dai vertici di Frontex con le autorità libiche, occorre apprestare mezzi di tutela dei migranti e degli operatori umanitari. Occorre aumentare la capacità di trasmettere informazioni veritiere all’opinione pubblica, mobilitando rappresentanti locali ed esponenti politici anche a livello europeo. Occorre dare voce a chi non riesce a fare arrivare le sue urla  in Europa.

Negli interventi della Guardia costiera libica, consentiti in acque internazionali dal Comando centrale della Guardia costiera italiana (IMRCC), si può ravvisare una lesione degli articoli 1 (Diritto alla vita) e 3 (Divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, e la violazione del divieto di respingimenti collettivi (articolo 4 del quarto Protocollo allegato alla CEDU), direttamente imputabile all’Italia, in quanto paese che ha ricevuto per prima la segnalazione di soccorso, e dunque per questo responsabile del coordinamento SAR.

La delega di vere e proprie operazioni di respingimento collettivo congiunto alle autorità libiche costituisce un aggiramento dei divieti sanciti dalla Convenzione EDU, tanto che la Corte di Strasburgo potrebbe almeno accertare la mala fede del governo italiano che ha concluso accordi con le autorità libiche ed inventato una zona SAR che agli atti dell’IMO ( Organizzazione marittima internazionale) ancora non esiste. Nessun paese può istituire unilateralmente o in accordo con un paese vicino, una propria zona SAR. Di certo il governo italiano si potrebbe difendere argomentando che la competenza delle attività SAR è stata trasferita alle autorità libiche, pur essendo l’Italia il primo paese che ha ricevuto la chiamata di soccorso. Una argomentazione che oggi viene anticipata nel comunicato del Comando centrale della Guardia costiera italiana, evidentemente ispirato dal Viminale, dal quale sono anche filtrate notizie contraddittorie sul luogo di sbarco, affidate in anteprima, come al solito, al Corriere della Sera.

È molto difficile che le vittime respinte o trattenute in Libia, legittimate a ricorrere alla Corte Europea di Strasburgo , anche in via d’urgenza, possano fare valere la lesione dei diritti fondamentali che scaturisce giorno per giorno dalla applicazione degli accordi tra il governo Gentiloni e il governo di Tripoli. Vediamo tutti in quali condizioni arrivano i migranti dalla Libia ed i loro racconti sono agghiaccianti.

Non ci sono altre voci che filtrano dall’inferno libico. In Libia gli avvocati e i giornalisti indipendenti rischiano la vita, le ONG che sono state arruolate dal governo italiano per “umanizzare” alcuni centri di detenzione, ben difficilmente si impegneranno per raccogliere le procure di chi ha subito un blocco in mare per effetto degli accordi conclusi dalla Guardia costiera “libica” con Minniti. Tocca ai cittadini solidali, ai giornalisti indipendenti, agli avvocati democratici fare valere quei diritti che le persone sequestrate in Libia non possono fare valere.

Al di là dei procedimenti giudiziari che si possono instaurare davanti ai tribunali nazionali ed internazionali occorre fare uno sforzo straordinario di comunicazione per diffondere notizie degli abusi commessi in territorio libico e in alto mare, ben fuori dalle acque territoriali, e dell’aggiramento del diritto internazionale che si sta verificando per responsabilità delle autorità italiane ed europee. Un primo passo importante è stata la Sessione del Tribunale Permanente dei Popoli che si è svolta a Palermo lo scorso dicembre, che si è conclusa con una sentenza di condanna che inchioda il governo italiano e l’Unione Europea su tutte le responsabilità derivanti dall’abbandono dei migranti nei lager libici e nelle acque internazionali.

Gli ordini di Minniti, condivisi dalla Guardia costiera “libica”, stavano crando oggi un grosso incidente internazionale.
#migranti @RadioRadicale. “Coraggio @OpenArms_fund, ho parlato con il ministro degli esteri che se ne sta occupando con l’ambasciata in Italia. Forza e resistenza, non siete soli, siamo in tanti a ringraziarvi per il vostro lavoro umanitario!”. Ada Colau, sindaco di Barcellona.
Animo @openarms_fund, he hablado con ministro @AlfonsoDastisQ y me ha confirmado que ahora hacía gestión con embajada en Italia. Mucha fuerza y aguantad, no estáis solos y somos muchos los que os agradecemos vuestra tarea humanitaria!
È stata dunque importante la mobilitazione internazionale che oggi, dopo il tentativo di blocco imposto dal comando della Guardia costiera italiana, ha raggiunto il sindaco di Barcellona Ada Colau che, a sua volta, ha sollecitato il governo spagnolo perché respingesse la cinica pretesa del ministro dell’interno italiano. Con Minniti che pretendeva che fossero le autorità spagnole a farsi carico della richiesta di un luogo di sbarco lanciata dalla nave di Open Arms, dopo avere soccorso migranti in acque internazionali, sotto minaccia armata della Guardia costiera “libica”. Una Guardia costiera “libica” che non garantisce una effettiva copertura delle attività di soccorso, ma che è molto più propensa a inseguire ed a intercettare le imbarcazioni di migranti per riportare i fuggitivi nei centri di detenzione, soprattutto se riceve segnalazioni da parte delle navi europee presenti nell’area. Un assetto navale militare legato in vario modo alle milizie che si contendono la Libia, da Zuwara a Sabratha, da Zawia a Garabouli, guidato da uomini che hanno dimostrato un totale spregio per la vita dei migranti, anche se si avvale di mezzi donati dall’Italia. Mezzi che ancora oggi godono del supporto operativo, della formazione e della manutenzione garantita anche in Libia dalla Marina militare italiana e dalla Guardia di finanza.

Quanto avvenuto oggi in acque internazionali, e la missione a Niamey confermano il tentativo di Minniti, non a caso in Niger, e all’attacco sulla questione accoglienza, un ministro “in scadenza”, in attesa di trovare una ricollocazione in un nuovo governo di larghe intese, come adombrato in serata dal giornalista Paolo Mieli nel corso di una trasmissione della Sette condotta dalla Gruber. Per Mieli, in materia di immigrazione, tema cruciale della campagna elettorale, “nessuno potrebbe fare meglio di Minniti”. Perché la riduzione degli arrivi dalla Libia rispetto allo scorso anno viene ancora utilizzata come argomento di propaganda, piuttosto che inchiodare alle proprie responsabilità gli autori di una politica di sbarramento, che è costata migliaia di vite, con il pretesto della lotta all’immigrazione illegale ed alla tratta di esseri umani. Mentre le organizzazioni criminali prosperano proprio sulla mancanza di canali legali di ingresso e di un effettivo riconoscimento del diritto alla protezione internazionale.

Quanto successo oggi in acque internazionali agli operatori umanitari della nave di Open Arms rappresenta un ennesimo inasprimento delle politiche di contrasto dell’immigrazione sulla rotta del Mediterraneo centrale. Vedremo presto, sui corpi dei superstiti, dopo lo sbarco a terra, gli effetti dei ritardi imposti dalle autorità italiane, e quali torture vengono inflitte nei centri di detenzione in Libia. E cosa avrebbero potuto subire ancora, se gli ordini di Minniti, in collusione con la Guardia costiera “libica”, avessero raggiunto l’obiettivo di fare riconsegnare ai carcerieri libici persone, donne, bambini, che si trovavano già in territorio europeo, a bordo di un gommone di servizio di una nave umanitaria, in acque internazionali. Oltre ai barconi e agli esseri umani, sta affondando anche il diritto internazionale.

Fulvio Vassallo Paleologo

da Adif

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