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Milano: "Disordini" di via Corelli a processo Imputati e pubblico si ribellano.

Si è tenuto venerdi mattina al Tribunale di Milano la prima udienza del processo per direttissima ai 14 stranieri (4 donne nigeriane, una del Gambia, quattro marocchini, 3 algerini, un cittadino della Costa d’Avorio e un portoghese) protagonisti di “disordini” nel Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano il 13 agosto scorso.La scintilla era stata la notifica della proroga della permanenza nel Cie scaturita per effetto del “pacchetto sicurezza” recentemente approvato; la protesta era iniziata nel settore maschile con materassi bruciati, termosifoni divelti e lancio di oggetti e successivamente si era estesa anche al settore femminile. Le accuse sono, a vario titolo, di violenza e resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato e incendio doloso.A presenziare, in un Tribunale deserto per le ferie estive e con lavori di manutenzione in corso, qualche giornalista, e una cinquantina di persone richiamate dall’appello del Comitato antirazzista milanese – in gran parte giovani, alcuni venuti anche da Torino. Le richieste iniziali dell’avvocato della difesa Mauro Straini, a cui si sono associati anche gli altri, sono state soprattutto rivolte a ricostruire il contesto in cui i fatti sono avvenuti. Quella di via Corelli è stata infatti una delle prime applicazioni della legge approvata il 15 luglio scorso ed è essenziale conoscere le modalità ed i criteri con cui si è proceduto, anche alla luce di altre proteste già state attuate mediante scioperi della fame e della sete. I legali hanno anche fatto cenno al caso della cittadina svizzera Marusca Schenk, uscita da San Vittore e rinchiusa nel Cie in quanto extra-comunitaria. Quindi hanno chiesto di ascoltare come testi, tra gli altri, anche il ministro dell’Interno Maroni ed il Prefetto di Milano. Queste ultime due richieste, in particolare, sono state respinte dalla giudice – dopo una sospensione di circa un’ora – in quanto «irrilevanti», altre in quanto non attinenti ai fatti in esame. Ammessi, in definitiva, tredici testi tra agenti di sorveglianza e funzionari o personale del Centro. La giudice si accingeva ad ascoltare il primo, già seduto al suo posto, quando la vista degli agenti repressori dei “disordini” (uno aveva appena fatto presente di essere in convalescenza) ha innescato un certo nervosismo e mormorii nella gabbia degli imputati, dal pubblico – fino ad un attimo prima tranquillo – si è alzata qualche parola a mezza voce, qualcuno ha gridato all’indirizzo di un poderoso agente: «Hai picchiato anche le donne!», in breve tutto il pubblico ha iniziato a gridare “Libertà, libertà” e a mostrare un lungo volantino azzurrino, intitolato “Hai capito?” e firmato «a nome di tutti i detenuti, o meglio di ogni sequestrato del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli, Milano».Per il pubblico l’udienza è finita lì, giusto con la soddisfazione di essere rimasti una decina di minuti in aula a manifestare a gran voce (nonché quella di aver consentito a due agenti in borghese di riprendere tutti con altrettante videocamere). All’uscita erano già schierati oltre trenta carabinieri, scudo di plastica ai piedi.La prossima udienza sarà martedì 25 agosto.E’ importante ci sia altrettanta presenza di pubblico, e auspicabile maggiore attenzione da parte della stampa e dell’opinione pubblica su quello che potrebbe costituire un caso-pilota sull’applicazione del “pacchetto sicurezza”. Non a caso ieri pomeriggio il vice-sindaco di Milano De Corato si è spinto perfino a chiedere solidarietà dal centro-sinistra contro chi si ribella: «Dove c’è protesta e disordine», ha detto, «in prima fila troviamo il solito centinaio di esponenti dei centri sociali a soffiare sul fuoco e ad alimentare tensioni».

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