Il sesto rapporto del network inter-europeo Protecting rights at borders (Prab) fotografa le violazioni dei diritti umani e i gravi abusi ai danni di migranti e richiedenti asilo lungo le frontiere dell’Unione europea. Il 16% dei respingimenti ha riguardato minori. Quasi ovunque è segnalata l’impossibilità di accesso alle procedure di asilo
di Elena Paparelli
Con il titolo-denuncia “What we do in the shadows” (“Che cosa facciamo nell’ombra”) il sesto rapporto del network inter-europeo Protecting rights at borders (Prab) pubblicato a fine maggio fornisce nuovi dati sulle pratiche di respingimento sistematico messe in atto lungo diverse frontiere dell’Unione europea: una prassi che nel primo trimestre del 2023 avrebbe interessato oltre 10mila persone.
Di queste, circa 1.600 sono state coinvolte dai ricercatori del network, che hanno condotto interviste approfondite per registrare i dati demografici, le rotte migratorie e le violazioni dei diritti a cui sono stati esposti. Più del 60% degli intervistati ha raccontato di aver subito abusi fisici e/o aggressioni al confine fra Ungheria e Serbia, e più del 50% in quello greco-turco. L’impossibilità di accedere alle procedure d’asilo “è stata segnalata ai partner del Prab nel 44% di tutti i casi di respingimento registrati al confine tra Croazia e Bosnia ed Erzegovina, nell’88% di quelli registrati al confine tra Ungheria e Serbia, e nell’85% al confine tra Italia e Francia”.
Le cifre reali restano ignote ma il numero delle vittime intercettate e le loro storie restituiscono uno spaccato del dramma in atto lungo le frontiere esterne dell’Unione europea: tra gennaio e marzo 2023 più di 5.400 migranti e richiedenti asilo sono stati respinti lungo il confine tra Bielorussia e Polonia, più tremila lungo quello italo-francese. Il numero relativo alla Grecia è di appena 174 unità, ma si tratta di un dato sottostimato, vista la difficoltà per le associazioni del network di monitorare quello che avviene lungo le aree di confine e le operazioni di frontiera con la Turchia.
La necessità di istituire un meccanismo indipendente di monitoraggio delle frontiere è quanto chiesto alle autorità greche dalla commissaria europea per la Migrazione e gli Affari interni, Ylva Johansson. Domanda rafforzata dalla grande eco mediatica avuto dal video, girato dall’attivista austriaco Fayad Mulla ad aprile scorso e pubblicato poi dal New York Times, che ha documentato la storia di un gruppo di richiedenti asilo provenienti da Eritrea, Somalia ed Etiopia (tra cui un bimbo di sei mesi) abbandonati dalla Guardia costiera greca in mezzo al Mar Egeo.
“Il video -si legge nel report– conferma quanto riferito da Ong, media e persone in movimento sulla situazione in Grecia da anni: le violazioni del diritto internazionale sono ricorrenti e le persone in cerca di sicurezza vengono sistematicamente respinte”. Secondo quanto riferito dalle vittime, i regolari respingimenti dalla Grecia (Paese dove arrivano persone da Palestina, Afghanistan e Sierra Leone), alla Turchia, si caratterizzano per essere violenti e spesso informali.
Nella “Fortezza Europa” ai respingimenti, che non risparmiano nessuna nazionalità, e ai metodi violenti della polizia continuano a sommarsi le denunce di episodi drammatici: “Almeno 17 persone sono state lasciate morire al confine tra la Bielorussia e i Paesi confinanti con l’Ue. Fatmata, una donna di 23 anni della Sierra Leone, è stata uccisa a colpi di arma da fuoco davanti al marito dopo aver attraversato il confine greco-macedone settentrionale ad aprile”.
Le parole di una vittima di respingimento al confine fra Croazia e Bosnia ed Erzegovina descrivono la brutalità dei metodi adottati: “La polizia ci ha visto da un drone sopra di noi. Hanno cominciato cercando tra le nostre cose personali e borse. Hanno preso i nostri soldi. Ognuno di noi aveva 50-100 euro. Hanno anche rotto i nostri cellulari. Ci picchiavano duramente con i bastoni e ci hanno preso a calci. Ci hanno anche obbligato a toglierci le scarpe e a metterle in acqua, per poi rimetterle ai piedi”.
Il report evidenzia anche come le condizioni di accesso in Polonia siano “sempre più restrittive”: tra gennaio e marzo 2023 l’ingresso nel Paese è stato negato a 3.750 cittadini ucraini, a 736 bielorussi e a 103 russi. Mentre al confine bielorusso, dove nel primo trimestre è cresciuto il numero di morti e scomparsi, vengono segnalati “violenze, abusi e trattamenti disumani”. I respingimenti non tengono conto neppure delle condizioni di salute delle persone in movimento: come nel caso, citato nel rapporto, di un richiedente asilo siriano con sintomi di ipoglicemia che sarebbe stato picchiato, riportando delle fratture, a seguito di uno svenimento.
“Le Ong attive alle frontiere segnalano casi di trattamento degradante, come persone costrette a spogliarsi al freddo e a giacere a terra nude, ammanettamenti prolungati senza motivo e diniego di utilizzo il bagno -si legge nel report-. I telefoni delle persone vengono regolarmente distrutti, il cibo, i vestiti e i documenti presi, riducendo notevolmente le loro possibilità di sopravvivere nei boschi dopo il respingimento”.
Alla frontiera italo-francese, nelle grandi città è “quasi impossibile” accedere alle procedure d’asilo, mentre nei piccoli centri occorre aspettare da tre a cinque mesi; e il richiedente asilo, rimasto nel frattempo in un limbo, si trova privo di assistenza o protezione, e di un alloggio dignitoso come invece è previsto dalla normativa italiana.
Il report fa anche il punto sul quadro giuridico preoccupante di alcuni Paesi: la Lituania il 3 maggio scorso ha adottato una legge finalizzata a “legalizzare la politica di respingimento dei migranti alla frontiera” mentre in Polonia è stata adottata lo scorso 7 aprile una norma che ha accresciuto i poteri della Guardia di Finanza. Mentre in Italia il cosiddetto “Decreto Cutro” convertito nella legge 50/2022 punta a rafforzare la rete dei centri per il rimpatrio: “Centri di detenzione di fatto -sottolinea il report- dove sono detenuti migranti e richiedenti asilo, mentre i rimpatri spesso non avvengono a causa di mancanza di accordi bilaterali fra Italia e Paesi di origine”.
L’ingiusto trattamento delle persone in cerca di sicurezza ai confini Ue, che spinge i cittadini a mobilitarsi, è una sfida aperta per il Parlamento europeo nella direzione di modificare i meccanismi di monitoraggio inefficaci di oggi (come è stato quello della Croazia creato nel 2021) nella direzione di una maggiore garanzia di indipendenza, di “accesso effettivo e senza restrizioni ai luoghi in cui è probabile che si verifichino respingimenti”, di procedure disciplinari e “percorsi verso la giustizia per le vittime di pratiche di respingimento”.
da altreconomia
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