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Contro i migranti è in atto una lotta di classe

Lo stato di emergenza per i migranti è uno stato di eccezione per la democrazia. Invertiamo la rotta, dunque: ad approcci colonialisti e razzisti, espressione di una cultura fascista sempre più arrogante, contrapponiamo un diritto di asilo inteso come diritto di migrare in nome del «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, comma 2), il cuore della Costituzione antifascista

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Ciò che oggi si manifesta con prepotenza e arroganza nel nostro Paese è la rivendicazione di una cultura fascista e il misconoscimento dell’antifascismo: dalle minacce agli insegnati che rivendicano la cultura della Costituzione da parte del ministro dell’istruzione (… e del merito) alla mancata condanna degli atti squadristi, dall’incapacità di pronunciare la parola “antifascisti” del(la) Presidente del Consiglio alle intollerabili parole del Presidente del Senato su via Rasella. È in questo contesto che si collocano norme e politiche che mescolano neoliberismo e autoritarismo, nazionalismo conservatore e razzismo. Era da facili profeti il 25 settembre temere che i primi provvedimenti del Governo e del Parlamento sarebbero stati contro i migranti, il dissenso, il disagio sociale. Così è stato, con una virulenza, forse, ancora maggiore di quella che si poteva immaginare.

Le politiche nei confronti dei migranti sono emblematiche in quanto coniugano il “Dio, patria e famiglia” con un vera e propria guerra di classe. Non è una guerra solo italiana, ma il Governo Meloni si sta distinguendo per la volontà di ostacolare e criminalizzare la solidarietà (decreto legge n. 1 del 2023) e per la neutralizzazione della protezione speciale (decreto legge n. 20 del 2023). Contro i migranti è in atto una guerra (Pagliassotti, La guerra invisibile, 2023), che si inscrive nell’orizzonte di un violento scontro di classe su scala globale. Nelle politiche sull’immigrazione la necropolitica oscura finanche la dimensione del doppio binario, che contempla, accanto alla repressione (controllo, detenzione, respingimenti), l’integrazione intesa come riconoscimento di diritti. Nello scontro “sovranità degli Stati versus universalità dei diritti” si impone una versione crudele della sovranità, che si manifesta materialmente come «controllo sulla mortalità» (Mbembe). I diritti della nuda persona umana naufragano: come osservava Hannah Arendt, la perdita di una comunità politica, garante dei diritti, esclude l’individuo «dall’umanità» e la perdita dei diritti nazionali porta «con sé in tutti i casi la perdita dei diritti umani». Non solo: è come se le persone che si presentano ai confini fossero ree di un “atto di aggressione” che si integra semplicemente attraverso la rivendicazione della possibilità di esistere; la volontà di vivere una vita degna diviene un attentato ai confini nazionali. All’“aggressione” i supposti aggrediti rispondono con la costruzione di muri fisici (sono 2048 i chilometri di recinzione ai confini europei) e giuridici.

In un contesto di diseguaglianze crescenti, di guerre e violenze, di devastazioni climatiche, i migranti sono una «minaccia ibrida», concetto che nasce in ambito NATO ed esonda nelle politiche dell’Unione europea: sono pedine, merce di scambio nel contesto geopolitico (la Dichiarazione Unione europea-Turchia del 2016 insegna), carne da cannone di guerre miste e “a pezzi”. Sono il substrato che regge un modello – economico, sociale, politico, antropologico – strutturalmente diseguale e, insieme, il suo prodotto: sono gli oppressi della storia, ovvero i dannati della terra, i nemici di classe. Sono “nemico reale” di un neoliberismo che si blinda e “nemico ideale” all’interno delle cittadelle fortificate per evocare paure e distogliere l’attenzione dalle diseguaglianze e dai muri sociali, per compattare in un nazionalismo razzista escludente e occultare il conflitto sociale. Per tacere della loro “utilità” – attraverso la politica dei decreti flussi – nel rappresentare una manodopera à la carte e un esercito di riserva utile in un’ottica di controllo dei lavoratori e di abbassamento del costo del lavoro. Il migrante, come i colonizzati, è come relegato «in una zona intermedia fra la condizione di “soggetto” e la condizione di “oggetto”» (Mbembe).

L’unica figura salvaguardata nella guerra contro i migranti era – e sottolineo l’uso del tempo passato – il richiedente asilo: la sola persona per la quale il diritto di «lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio» sancito da norme internazionali implica il diritto di ingresso nel territorio di un altro Stato e non una catena di inumani respingimenti. Ma anche il diritto di asilo è ora svuotato: l’hotspot approach, non-luogo e limbo giuridico, con l’ansia di distinguere il richiedente asilo e il migrante economico e di smascherare eventuali truffatori dell’asilo, l’esternalizzazione delle frontiere e dell’asilo stesso (si pensi all’accordo inglese con il Ruanda), la categoria dei Paesi terzi sicuri, l’eliminazione della protezione umanitaria (e la neutralizzazione di quella speciale), la detenzione per i richiedenti asilo e il peggioramento delle condizioni di “accoglienza”, ma anche concetti prima facie positivi come corridoi umanitari e vulnerabilità, lasciano in vita poco dell’«animo fraterno» e del riconoscimento al rifugiato di «tutte le cure che si possono prodigare» di cui discutevano i costituenti.

La Costituzione, all’art. 10, comma 3, detta una norma che non ha eguali per l’ampiezza e per l’insistenza sull’effettività, sulla concretezza: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Dal diritto di asilo, memoria viva del regime fascista, si può muovere per rompere i muri fisici e giuridici eretti contro il nemico “migrante”. Anche da qui passa l’antifascismo. Con un atto di insorgenza rispetto all’interpretazione dominante, dal riconoscimento del diritto di asilo a chi si veda impedito l’effettivo esercizio delle «libertà democratiche» si possono trarre argomenti per scardinare la distinzione tra migrante economico e richiedente asilo. In una democrazia fondata sull’uguaglianza sostanziale, sociale, consapevole dell’inscindibilità fra i diritti civili e sociali, qual è il senso di riconoscere l’asilo a chi si vede impedito l’esercizio della libertà di espressione ma non a chi non ha garantito il diritto di istruzione? Perché riconoscere il diritto di asilo a chi fugge dalla guerra e non a chi fugge della povertà? Il motivo, certo, è chiaro (in sintesi, la conservazione di un diseguale status quo), ma proprio per questo è necessario rompere la gabbia dell’esistente, con uno strappo del pensiero ai rapporti di forza, con la forza di immaginare come «fare pensante», «componente essenziale» dell’«autotrasformazione della società» (Castoriadis) che caratterizza una Costituzione che è utopia concreta.

Il trattamento riservato alla nuda persona umana si riflette sulla qualità, o sull’esistenza, di una democrazia: la natura egualitaria, inclusiva ed emancipante è imprescindibile per una democrazia. Non solo: frontiere e disumanità sono virus contagiosi, veicolo di una militarizzazione e di una negazione dei diritti che si riverberano nella costruzione di confini interni verso la povertà, il disagio, il dissenso. Non è un caso che nel Consiglio dei ministri dell’11 aprile 2023 sia dichiarato lo stato di emergenza «in relazione all’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti in ingresso sul territorio nazionale attraverso le rotte migratorie del Mediterraneo» e approvato un disegno di legge «che introduce disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici», alias teso a inasprire le pene per gli atti di disobbedienza civile degli ecologisti. Lo stato di emergenza per i migranti è stato di eccezione per la democrazia. Invertiamo la rotta, dunque: ad approcci colonialisti e razzisti, espressione di una cultura fascista sempre più arrogante, contrapponiamo un diritto di asilo inteso come diritto di migrare in nome del «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, comma 2), il cuore della Costituzione antifascista.

da Volere la Luna

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