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Migranti al confine con Ventimiglia: «Ci chiudono nei container e truccano i dati per cacciarci»

Respingimenti illegali. WeWorld accusa: «Ai minori segnano il 2000 come anno di nascita per impedire i ricorsi»

Otto ragazzi subsahariani sono fuori la stazione di polizia di frontiera di Ventimiglia, gli agenti scrivono il foglio di riammissione in Italia dopo che la polizia francese li ha bloccati, trattenuti in un container a poche decine di metri insieme ad altre 70 persone circa, e successivamente rimandate indietro, in Italia. Uno dei ragazzi dice di volere andare via, un soldato armato gli urla di non muoversi. Intanto lungo la strada transitano macchine e scooter con targhe francesi e italiane: le prime vanno a fare scorta di alcol e sigarette a Ventimiglia, le seconde approfittano delle spiagge della Costa Azzurra o vanno nel vicino Principato di Monaco. Quella che per noi è una frontiera senza nessuna barriera, per i migranti è un valico difficile da passare.

«NON È COME NEL 2016 o nel 2017, quando c’erano migliaia di persone ammassate sulla spiaggia, però anche oggi è difficile gestire questo flusso e questa quantità di respingimenti. La media è tra le 80 e le 100 persone al giorno» ci racconta Simone Alterisio, della Diconia Valdese per il progetto di Ventimiglia, che da anni lavora per supportare i migranti bloccati nella cittadina ligure. Dopo essere state registrate, le persone risalgono la strada che costeggia la montagna e dopo circa un chilometro trovano Kesha Niya, un collettivo internazionale che offre colazione e un primo ristoro in un piccola piazzola a lato della strada, da dove si vede bene la Costa Azzurra, gli yacht e i grattacieli del Principato. I migranti respinti riposano a terra, cercano di dormire dopo la notte nel container e i maltrattamenti della polizia.

LA DISTOPIA È BEN EVIDENTE da questa piccola terrazza: i ricchi nel mondo di sopra, quello alla luce del sole, i poveri sotto degli alberi, nascosti nel mondo di sotto ma con vista sul mondo di sopra, quello che sognano. «Sono arrivato un mese fa a Trieste, sono partito dal Pakistan tre anni fa e voglio andare in Francia, dove ho gli amici» racconta Arif, che dalla polizia francese è stato identificato con un altro nome. «Non è la prima volta che mi succede. Hanno il mio documento eppure ogni volta mi cambiano nome e data di nascita» aggiunge mentre con altri due amici fa colazione guardando Menton.

OLTRE A KESHA NIYA, a dare prima assistenza c’è anche Save the children, che si occupa di denunciare le violazioni. «È capitato che respingessero dei minori falsificando i documenti, mettendo il 2000 come anno di nascita in modo che non potessero fare ricorso. La polizia italiana, anche se c’è un documento di registrazione in Italia come minore, si attiene a quello dei colleghi francesi» racconta Ghufran, mediatore culturale di WeWorld che lavora in collaborazione con la Caritas e la Diaconia Valdese. «Facciamo assistenza legale a chi decide di restare in Italia. Molti hanno già chiesto i documenti ma aspettano da tanto tempo e magari hanno perso il lavoro così vogliono pensano in Francia o in Germania. Oggi è più difficile perché hanno chiuso il campo, dove andavamo direttamente a dare assistenza» racconta Simone Alterisio. L’area di cui parla è il Campo Roja, gestito da Croce Rossa su assegnazione della prefettura. È stato aperto nel 2016: «Fino al marzo scorso c’erano tra le 400 e le 500 persone all’interno, con la pandemia il prefetto ha bloccato gli accessi e così, un trasferimento alla volta, a inizio agosto è stato chiuso» aggiunge Alterisio.

NELLA SEDE DELLA CARITAS, fuori la stanza dello sportello legale, c’è un cartello delle Sncf, le ferrovie francesi, con un disegno di un ragazzo dai tratti subsahariani e la scritta non attraversare i binari perché è pericoloso. «È successo che alcuni si accampassero di notte proprio sui binari o che provassero ad attraversare il confine lungo la ferrovia, non sapendo che passano i treni merci» racconta Ghufran.

DI FRONTIERA SI MUORE e i modi sono diversi. C’è il «Passo della morte», un sentiero che collega Grimaldi, un piccolo paese prima del confine, a Menton, in Francia, usato dagli ebrei per scappare alle leggi razziali. Alcuni migranti in passato lo hanno percorso di notte: sono caduti nei dirupi e sono morti. Chi invece prova col treno viene bloccato alla stazione di Menton, dove la polizia fa scendere tutti gli stranieri dai vagoni per controllarli. Anche in questo caso violazioni e violenza fisica non mancano.

CHI È FERITO VIENE CURATO sia dai medici al ristoro di Kesha Niya sia in un parcheggio a Ventimiglia, dove la sera alle 19 i volontari del collettivo 20k curano le ferite, le infezioni e danno la possibilità di ricaricare i telefoni con un piccolo generatore a benzina. «Da quando non c’è più il campo la sera trovano ripari di fortuna, chi sotto al ponte della superstrada, chi in spiaggia e chi vicino alla stazione» racconta uno degli attivisti mentre viene identificato dalla polizia, come tutti gli altri italiani presenti nel parcheggio. «Ogni sera fanno così, anche se siamo sempre gli stessi. In qualche modo pensano di scoraggiarci» chiosa un’altra attivista di 20k.

Valerio Nicolosi

da il manifesto

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I respingimenti dei migranti a Ventimiglia e le violazioni dei diritti lungo la frontiera francese

A giugno i respingimenti compiuti dalla polizia di frontiera francese sono stati 1.377. Le organizzazioni del territorio denunciano detenzioni arbitrarie e impossibilità di presentare richiesta di asilo, anche per i minori non accompagnati. A Ventimiglia è stato chiuso il solo centro per transitanti e chi arriva in città è costretto a rimanere in strada

A Ventimiglia, sulla frontiera franco-italiana, sono ricominciati i respingimenti dei migranti da parte della polizia francese. Nel mese di maggio, secondo i dati ottenuti da Altreconomia, sono state 453 le persone respinte in Italia dalle autorità d’oltralpe. Sono state 1.377 a giugno. “Gli arrivi a Ventimiglia, provenienti in particolare dalla Rotta Balcanica, sono ripartiti con la fine del  lockdown. E con la ripresa dei flussi, sono ripresi gli allontanamenti in Italia. Si arriva fino a 100 persone rimandate indietro in una sola giornata. Solo mercoledì 19 agosto i respingimenti sono stati 66”, spiega ad Altreconomia Simone Alterisio, referente territoriale di Diaconia Valdese, presente nella città ligure dall’agosto del 2017. Oggi è una delle poche organizzazioni a occuparsi dei migranti che arrivano a Ventimiglia dove, insieme alla Caritas e alla onlus WeWorld, fornisce una prima assistenza per le famiglie e supporto legale.

“Le violazioni dei diritti sulla frontiera sono le stesse cui continuiamo ad assistere da quattro anni: impossibilità di fare richiesta d’asilo, respingimenti dei minori non accompagnati, comportamenti brutali della polizia e detenzioni arbitrarie”, prosegue Alterisio. Le persone rintracciate dalla gendarmerie francese senza un documento valido sono condotte negli uffici della Police Aux Frontières (PAF) dove dovrebbero essere identificate confrontando le informazioni raccolte con i dati contenuti nell’Eurodac, la banca dati dell’Unione europea contenente le impronte digitali dei richiedenti asilo. L’identificazione dovrebbe avvenire alla presenza di un mediatore culturale che traduca le informazioni fornite dalla polizia ma non sempre l’iter è rispettato. Quando l’ufficio di frontiera della polizia italiana è chiuso, dalle 18 del pomeriggio fino alle 8 della mattina seguente, i migranti sono trattenuti in container prima di essere espulsi in Italia. Non è fornito loro un avvocato né un mediatore. Collocata presso la stazione ferroviaria di Mentone, la struttura usata per la detenzione è “sporca, non ci si può stendere e non è stato garantito il distanziamento fisico per chi è stato fermato nei mesi dell’emergenza sanitaria”, aggiunge Alterisio. Nonostante la pandemia lo scorso 14 maggio una donna centroafricana che viaggiava insieme al figlio ammalato di cinque anni, è stata respinta in Italia anche se aveva espresso alle autorità francesi la volontà di fare domanda d’asilo. A luglio il Consiglio di Stato francese ha decretato che, non registrando la domanda e non esaminandola secondo le procedure previste, le autorità di confine hanno compiuto una grave violazione del diritto d’asilo. “Una situazione di illegalità che denunciamo da tempo”, afferma Alterisio.

I respingimenti non escludono i minori stranieri non accompagnati, nonostante le norme del “Regolamento di Dublino“. “Secondo Dublino, i minori soli che presentano domanda d’asilo in Francia non possono essere rinviati in Italia, anche nel caso in cui abbiano già presentato una domanda d’asilo”, spiega Anna Brambilla, avvocata dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). “Ai minori non accompagnati non si applica il criterio del Paese di primo ingresso (secondo il “Regolamento di Dublino”, uno dei criteri per la determinazione della competenza sull’esame della domanda d’asilo è quello del Paese del  primo ingresso, ndr). Presentata la domanda, il governo francese è obbligato a farsene carico”. Se, invece, un minore non manifesta la volontà di richiedere asilo in Francia ed è fermato nella zona di frontiera, secondo la legge nazionale può essere respinto in Italia solo dopo avere ricevuto garanzie precise, come la nomina immediata di un tutore. “Se il minore è riaccompagnato dalla polizia di frontiera francese a quella italiana, può verificarsi che quest’ultima controlli l’età della persona riconsegnata e, nel caso in cui ne constati la minore età, la riconsegni di nuovo alle autorità francesi”, spiega. “Tuttavia, come hanno sottolineato gli attivisti presenti sul territorio, sembrerebbe che nell’ultimo periodo questa procedura sia stata interrotta e che la polizia italiana si basi sull’età scritta sul refuse d’entrée (il documento rilasciato dalla polizia di frontiera francese contenente le informazioni della persona fermata e le motivazioni per cui è rimandata in Italia, ndr). Inoltre, negli anni si è più volte verificato che la polizia di frontiera francese cambiasse l’età di un richiedente asilo dichiarandolo maggiorenne”.

Un refuse d’entrée consegnato il 19 agosto 2020 a un ragazzo afghano minorenne dalla polizia francese. Si tratta di un documento rilasciato dalla polizia di frontiera francese contenente le informazioni sulla persona fermata e le motivazioni per cui è rimandata in Italia. Come indicato nel foglio, si tratta del 66esimo provvedimento di allontanamento della giornata

“Il controllo che la Francia fa delle sue frontiere interne è una conseguenza della reintroduzione temporanea dei controlli alle frontiere. La reintroduzione dei controlli, prevista dal Codice Frontiere Schengen, potrebbe durare al massimo due anni e in Francia è in vigore dal 2016”, prosegue Brambilla. “Ora stiamo assistendo a una situazione cruciale dal punto di vista giuridico: applicando una sorveglianza equivalente alle verifiche di frontiera, la Francia inizia a considerare le frontiere interne al pari di quelle esterne. Le persone respinte è come se si considerassero mai entrate sul territorio francese. Si assiste a una vanificazione del ‘Regolamento di Dublino’ perché si considera ogni fermato come ‘irregolare’: una persona fermata, che ha fatto ingresso in altro Paese Ue, e che ha manifestato alla frontiera la volontà di chiedere protezione internazionale, dovrebbe essere fatta entrare in procedura e poi eventualmente trasferita in applicazione del ‘Regolamento Dublino’”, aggiunge. “E la Francia non è sola. La Germania si comporta nello stesso modo nella porzione di frontiera con l’Austria, dove applica accordi di riammissione bilaterali. Una deriva pericolosa”.

A luglio a Ventimiglia è stato chiuso il Campo Roja -il solo centro per migranti in transito presente in città, gestito dalla Croce Rossa Italiana- dalla Prefettura di Imperia. “Ora chi arriva è costretto a dormire all’aperto, lungo il fiume e in strutture abbandonate senza che siano state organizzate attività istituzionali per prevenire possibili contagi da Covid-19”, conclude Simone Alterisio. Gli unici sostegni sono forniti dalla Caritas e dagli attivisti, come i volontari dei progetti 20K e Kesha Niya, che distribuiscono cibo e acqua a chi dorme in strada. “Sembrerebbe che si vogliano condizioni ostili per chi prova ad attraversare la frontiera. Ma questo non scoraggerà nuovi arrivi”.

Marta Facchini

da altreconomia

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