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I MIEI FIGLI AL 41 BIS – come mi sono stati tolti i figli

Salve, mi chiamo Rosanna e fino a qualche anno fa ero una mamma.
Proverò a racconare la mia storia, in maniera molto succinta naturalmente, perché non è una storia da poter raccontare in poche righe, ne uscirebbe sicuramente un libro (che sto scrivendo), di come i miei figli sono finiti al “41 bis degli affetti”.
Anni fa, dopo tutta una serie di violenze, denuncio e lascio mio marito, ma sorge il problema di una casa per me e per i miei bimbi, e non per volontà, ma per necessità, lascio temporaneamente i miei figli ai miei suoceri, dopo aver chiesto invano ai servizi sociali una sistemazione. L’inesperienza, la credulità e la fiducia riposta nel prossimo sono stati sempre il mio punto debole… Io non potevo immaginare ciò che sarebbe potuto succedere. I miei (ora ex) suoceri, valutati idoneamente dal servizio sociale, mi negano gli incontri e persino le telefonate con i miei figli. Disperata, chiedo supporto per l’ennesima volta al servizio sociale affinchè possano riavvicinarmi ai miei figli; questi mi propongono un regime di visite in quello che viene da loro definito spazio neutro, ma che ricorda molto il 41 bis (e che pare essere una prassi per i servizi sociali): una stanza di pochi metri quadri alla presenza di un operatore per due ore ogni 15 giorni dopo circa due mesi in cui non avevo avuto modo di vederli. Quattro sole visite, fino a dicembre 2010 dove i miei figli vengono affidati dal servizio sociale che mi convince a firmare per la nuova collocazione presso gli zii paterni. Altri due mesi senza vederli (ambientamento, così lo hanno definito) e nuove visite ogni 15 giorni in quel triste spazio neutro ora ancora più angusto in altro paese, da febbraio fino a luglio 2011. Da quella data la mia bimba di 9 anni, viene trasferita in una comunità a 60 km dalla mia sistemazione, il piccolo di 7 anni resta con gli zii paterni. Continuo a vedere mia figlia in comunità dopo l’ennesimo ambientamento (altri mesi persi), ma sempre naturalmente in regime di 41 bis, mentre contemporaneamente mi vengono totalmente negati gli incontri con il maschietto.
Ho sempre manifestato il mio dissenso per il trattamento inumano che stavo subendo da parte del servizio sociale a cui i miei figli erano stati affidati da un decreto del tribunale dei minori, da un giudice che ancora oggi a distanza di quasi 4 anni, non conosco. Alle mie pressanti richieste di poter riavere i miei figli, o quantomeno poterli rivedere insieme e più spesso, mi venivano invece proposti percorsi psicologici, incontri di gruppo e colloqui con la psicologa il cui “leit motiv” era…”Signora, finché non si renderà conto di ciò che ha fatto non potrà certo rivedere i suoi figli”. Cosa avevo fatto?
Nel settembre 2011, vengo convocata in tribunale per assistere dietro uno specchio all’incidente probatorio dove scopro che i miei figli durante il periodo in cui li ho lasciati dai nonni hanno subito violenza. Assisto con un groppo alla gola e le lacrime che mi scendono silenziose al racconto dei miei figli che hanno subito…., non sapevo nulla, non mi è stato detto niente, non potevo immaginare, non potevo crederci.
Poco dopo mi viene notificato un ordine di comparizione in tribunale; l’accusa è di favoreggiamento in abuso sessuale e maltrattamenti. Ora capivo tutto, o meglio… la frase che più mi aveva colpito detta da quelle streghe del servizio sociale era quella famosa “Signora, lei non ha capito cosa ha fatto”, quella che non capivo, quella che più mi faceva male e quella che più mi ha macerato l’animo ora diventava chiara. Ma loro si, lo sapevano dall’inizio del 2010 e non me l’hanno mai detto, doppiamente infide perché conoscevano i fatti e sapevano perfettamente della mia estraneità, ma chissà per quale meccanismo perverso se ne sono autoconvinte tanto da condannarmi in un impeto di delirio onnipotente o in virtù di una scienza inventata a loro giovamento. Mi hanno condannato all’esilio dai miei figli, colpevolizzandomi a priori, arrogandosi il diritto di rendere i miei figli orfani di genitore in vita prima che un giudice chiaramente mi assolvesse (sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto e per totale estraneità del 3 luglio 2013).
Ed infine la beffa… Dopo l’assoluzione la notizia esce su diversi quotidiani a seguito di comunicato stampa del mio avvocato Francesco Miraglia, che accusa pubblicamente il servizio sociale ed il sindaco del paese di Cesate, tutore dei miei figli, di non aver tutelato sin dall’inizio i miei bambini, non vigilando sull’operato del servizio sociale che mi fa consegnare i miei figli ai loro aguzzini (vengo a scoprire precedenti penali d’ordine sessuale in quella famiglia e di cui il servizio era a conoscenza). Il sindaco risponde sulle stesse testate “difenderò l’operato del servizio sociale”. Forse lo sta facendo realmente, tant’è che queste professioniste dell’accusa e paladine della tutela dei minori ad oltranza, soprattutto a discapito delle figure genitoriali, a distanza di ormai più di 15 mesi dalla sentenza non hanno ancora stilato alcun programma per farmi riavvicinare ai miei figli. Mia figlia è stata affidata ad una nuova famiglia da settembre 2012, a oggi nonostante sia stata assolta, la vedo ancora 1 ora ogni 2 mesi in regime di 41 bis. Stessa cosa per mio figlio; l’ho visto solo 3 volte per 1 ora a distanza di 3 mesi l’una dall’altra naturalmente anch’egli in regime 41 bis. Vanno ancora protetti…da me!
Emerge ora che in questi 4 anni di allontanamento non è stato fatto assolutamente un percorso che abbia tenuto conto della possibilità di un riavvicinamento al punto che il bambino ora rifiuta la mia presenza. Vengo a scoprire da incartamenti resi pubblici solo ora dal solerte servizio sociale che ha volutamente occultato i documenti per 2 anni, che nel 2012 una psicoterapeuta ha riscontrato nella psiche di mio figlio forti criticità nei rapporti interpersonali con chiunque non faccia parte della sua “cerchia”. Qualcosa di simile sta accadendo con mia figlia più grande… Non sa più chi sono, cosa faccio, come vivo, (del resto non lo sa nemmeno il servizio sociale perché di ciò non gliene è mai importato nulla) perché questi sono discorsi tabù in quell’ora ogni 2 mesi di incontro, quindi anch’ella naturalmente ambientatasi nel nuovo nucleo famigliare ha paura di parlare con me di ciò perché teme che voglia portarla via dalla sua nuova sistemazione e quindi creare nuovo scompenso (tratto dalla documentazione ora disponibile).
All’inizio ho detto “ero una mamma”, ma lo sono ancora dentro anche se non ho i miei figli con me, non possono uccidere l’amore, non lo permetterò. Non mi sono mai arresa, non lo farò mai. Ho deciso di mettere a frutto questa mia esperienza fondando assieme ad altre splendide persone una associazione di nome “Pronto Soccorso Famiglie”. Giornalmente prestiamo supporto psicologico, legale, ma soprattutto umano, ad un numero enorme di persone che si rivolge a noi che veniamo troppo spesso a sapere perseguite da inique disposizioni del servizio sociale e del tribunale dei minori, che non esitano a sottrarre i bambini al loro nucleo d’origine con motivazioni del tutto soggettive e non supportate da fatti oggettivi. Così….,colpevolizzando chiunque o applicando etichette di disturbati psicologicamente nel nome del “supremo interesse del minore”.
Sono triste ed arrabbiata, amo i miei figli e per amore loro mi sto domandando se non sia il caso di abbandonare tutto per non turbarli ulteriormente imponendogli la mia presenza. Sarebbe un gesto di amore nei loro confronti per quanto per me struggente, ma lo sto valutando. Chissà se queste donne e madri che operano nei servizi sociali lo capirebbero….

Ottimo lavoro, i miei complimenti….

Rosanna Romano

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