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Il massacro dei bambini dello Yemen con l’appoggio degli Usa. Ma la guerra “dimenticata” è un conflitto strategico

Secondo un rapporto Onu la coalizione guidata da Riad e appoggiata dagli Usa è responsabile del 60% dei morti e dei feriti tra i bambini. Gli Stati Uniti hanno dato carta bianca a Riad per far fuori i ribelli e aiutano l’aviazione dei sauditi che nonostante l’apporto di mercenari pagati dagli Emirati sono sprofondati in un Vietnam arabo

Guerra dimenticata? Conflitto per procura? Ennesima puntata della rivalità tra i Saud e gli ayatollah iraniani in corso dal 1979, quando l’Imam Khomeini andò al potere? Lo Yemen è tutto questo ma anche qualche cosa di più, un duello quasi rusticano con una posta geopolitica essenziale, tra il Golfo e lo Stretto di Bab el Mandeb, per il controllo delle rotte dove viaggia il 40% dei rifornimenti petroliferi mondiali.

Quando vidi per la prima volta gli Houthi nel Nord dello Yemen era l’inverno del 2009 e già allora i sauditi bombardavano con l’aviazione i ribelli sciiti per conto del loro alleato, il presidente Abdallah Saleh che ricevendomi al palazzo di Sanaa fu assai esplicito: “In Yemen _ disse_ siamo 25 milioni con 25 milioni di fucili”.

Ma non poteva immaginare, in quel momento, che quei giovani combattenti, stanchi per la battaglia, avvolti in turbanti e fusciacche colorate, armati soltanto di kalashnikov e con qualche pick up scassato, sarebbero arrivati a conquistare la capitale Sanaa. E ora persino a minacciare con i missili, come è accaduto ieri, il palazzo reale saudita a Riad.

Nel 2012 il presidente yemenita Saleh fu costretto a lasciare il potere dopo oltre trent’anni sull’onda delle rivolte arabe e finì per allearsi con gli Houthi contro la coalizione saudita. Ma quando Saleh ha fatto l’ennesimo voltafaccia riaprendo i negoziati con Riad, gli Houthi qualche settimana fa lo hanno massacrato senza pietà. Gli Houthi non sono più soltanto dei ribelli ma qualche cosa di più: un’altra pistola puntata da Teheran contro la casa reale saudita impantanata in un confitto che non riesce a vincere.

Il fronte sunnita che ha già dovuto accettare la permanenza di Assad al potere a Damasco difficilmente riuscirà a inghiottire un’altra in vittoria in Yemen della Mezzaluna sciita. La posta in gioco geopolitica è di grande importanza: i sauditi sono con Israele il pilastro delle alleanze americane in Medio Oriente mentre Mosca e Teheran rappresentano i concorrenti più agguerriti, appoggiati anche dalla Turchia.

Per quale motivo dunque la guerra in Yemen è rimasta a così a lungo dimenticata? Per la ragione esattamente contraria a quella della Siria. Mentre era ovvio mettere sotto torchio il regime autocratico e brutale di Assad, qui nello Yemen, percorso da un decennio dal terrorismo di Al Qaeda, è assai più difficile ammettere cosa accade da anni:  2,5 milioni di persone sono alla fame, 800mila colpite dal colera, i morti sono alcune migliaia, i rifugiati interni milioni.

I sauditi, per fare la guerra agi Houthi, sciiti zayditi appoggiati dall’Iran, stanno massacrando la popolazione civile. Secondo un rapporto Onu la coalizione guidata da Riad e appoggiata dagli Usa è responsabile del 60% dei morti e dei feriti tra i bambini. Gli Stati Uniti hanno dato carta bianca a Riad per far fuori i ribelli e aiutano l’aviazione dei sauditi che nonostante l’apporto di mercenari pagati dagli Emirati sono sprofondati in un Vietnam arabo.

Riad deve uscire in maniera onorevole da questa guerra altrimenti rischia una sconfitta epocale. Il confronto con l’Iran è quasi impietoso. Nonostante le spese di Riad per la difesa siano state nel 2016 di circa 64 miliardi di dollari e quelle iraniane di 12 i sauditi rischiano una debàcle colossale. I dati sulla potenza militare pendono dal lato iraniano per numero di soldati e in alcuni settori ma i sauditi possono contare su un arsenale tecnologicamente più avanzato. Eppure i sauditi, che pure godono dell’appoggio aereo degli americani, non riescono a battere la resistenza degli Houthi. Il conflitto tra Riad e Teheran resta quindi per il momento una guerra per procura e si potrebbe dire anche per fortuna: basti pensare a cosa potrebbe significare in termini di rifornimenti petroliferi sui mercati vedere in fiamme i terminal del Golfo.

La guerra in Siria e la campagna saudita in Yemen contro gli Houti sciiti sono gli ultimi due capitoli del faccia a faccia tra iraniani e sauditi cominciato quando nel 1980 Saddam attaccò Teheran con il sostegno finanziario delle monarchie del Golfo. In Siria l’Iran vuole mantenere al potere Assad e ora, dopo l’intervento militare della Russia, ha accentuato la sua presenza con l’esercito regolare e i Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione. Riad continua a insistere perché Assad venga sbalzato dal potere ma di fatto, insieme alla Turchia e al fronte sunnita, ha perso questa guerra mentre non riesce a vincere neppure quella nel “cortile di casa”.

Per questo lo scontro si è fatto ancora più acceso: vincerà non solo chi ha più risorse, tenuta e alleati ma chi saprà attuare la strategia più sofisticata e lungimirante.

Alberto Negri, editorialista e inviato di guerra

da Tnews

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