Marjan Jamali, la “scafista immaginaria” in carcere senza una prova tra accusatori spariti e pm “sordi”. Al Tribunale di Locri due testimoni hanno detto di essere stati invitati dalla polizia a farsi i fatti propri quando, in tanti, sono andati ad avvisare che era stata arrestata la persona sbagliata
di Angela Nocioni da l’Unità
Chissà perché il Tribunale di Locri è così sordo alle ragioni della difesa di Marjan Jamali, 30 anni, iraniana, scappata nell’ottobre del 2023 da Teheran con il figlio Faraz, di otto anni, e sbattuta in cella in Italia con l’accusa di essere una scafista. Contro ogni logica e senza uno straccio di prova. Anche la settimana scorsa il Tribunale di Locri – presidente Rosario Sobbrio e giudici a latere Mario Boccuto e Raffaele Lico – ha respinto la richiesta di revoca degli arresti domiciliari, decisi a maggio dal Tribunale del riesame dopo che la richiesta di sostituzione della detenzione in cella con i domiciliari era stata respinta dal Tribunale di Locri con una mezza paginetta in cui la si liquidava con la frase “non è emerso alcun novum”.
A mostrare l’inconsistenza dell’accusa non c’è solo la logica: come si può credere che una ragazza iraniana con un bambino possa governare una barca di maschi iracheni sunniti? C’è la prova del pagamento del viaggio: la ricevuta dell’agenzia in un centro commerciale in Ferdosi Street a Teheran dei 14mila dollari dati dal padre della ragazza perché i trafficanti facessero partire Marjan e il bambino. Ci sono le solide testimonianze di migranti a bordo della stessa barca. Confermano che ad additare Marjan alla polizia allo sbarco sono stati tre uomini che le avevano messo le mani addosso in barca mentre lei dormiva e che avevano minacciato di vendicarsi per il suo rifiuto. In collegamento dalla Germania una testimone, Arezoo Abassi, ha detto il 24 febbraio al Tribunale che Marjan le aveva confidato subito d’essersi svegliata con le mani di uomini che la palpeggiavano e di aver urlato. Un secondo testimone, Morteza Abassi, ha dichiarato di aver sentito Marjan gridare: “Non mi toccare, allontanati”.
Entrambi hanno dichiarato al tribunale di aver saputo da altre persone a bordo dell’intenzione dei molestatori di vendicarsi contro Marjan non appena sbarcati a terra (teste Arezoo Abassi: “il ragazzo ha detto stanno minacciando Marjan, che faranno qualche cosa contro di lei”). Entrambi hanno detto che, non appena appresa la notizia dell’arresto della ragazza, poche ore dopo lo sbarco, insieme ad altri passeggeri sono andati nell’ufficio dove erano già stati identificati per avere notizie e chiedere il motivo dell’arresto e di aver detto che lei era una passeggera, una migrante come loro. Hanno raccontato d’essersi sentiti rispondere dagli agenti che non era affar loro. I giudici, a queste parole, non hanno fatto una piega. Non una domanda, una richiesta di approfondimento, nulla. Come se non l’avessero sentiti.
Eppure sono dei testimoni che nel corso di un processo hanno detto al tribunale di essere andati in tanti da agenti delle forze dell’ordine a spiegare che la persona arrestata è innocente e che sono stati dai poliziotti ignorati ed invitati a non impicciarsi. Possibile che i giudici non abbiano una domanda da fare al riguardo? Un chiarimento, dei dettagli? Marjan e suo figlio nella notte tra il 22 e il 23 di ottobre 2023 salgono a bordo di una barca a vela di quindici metri insieme a un centinaio di persone. Il cibo scarseggia, quasi subito finisce l’acqua. Tensioni. Liti sottocoperta per accaparrarsi un posto dove circoli un po’ d’aria. Un giorno durante la traversata, Marjan – con il bambino accanto – si sveglia di soprassalto sentendosi mani che le si infilano sotto i vestiti, la palpano. Lei strilla. Chiede aiuto alle persone stipate insieme a lei lì sotto. Solo un ragazzo la difende. Iraniano, come lei. Si chiama Amir Babai e la pagherà carissima.
Dice ai quattro di smettere, di lasciarla in pace. Parte un litigio. Il bambino guarda immobile, terrorizzato. I quattro sono furibondi. Marjan ha detto subito dopo essere stata arrestata, appena ha potuto parlare con l’avvocato, che ad averle messe le mani addosso in barca sono stati Rahen Khalid Rasul, Rahman Izadi, Mohammed Lateef Hasan e Ali Bishwan Darwish. Tutti e quattro iracheni. L’ultimo, Ali Bishwan Darwish, dice Marjan, era uno dei capitani. Il più violento, dice lei, era Rahen Khalid Rasul. Bishwan Darwish l’haminacciata subito in barca dopo le sue resistenze: te la faccio pagare. Quando la barca viene intercettata e i migranti nel porto di Roccella identificati, alla solita domanda che gli agenti di polizia fanno agli sbarcati “chi sono gli scafisti?” i tre a rispondere sono proprio, Rahman Izadi, Mohammed Lateef Hasan e Ali Bishwan Darwish, ossia tre degli aggressori della ragazza.
Indicano come scafisti lei e Amir Babai, l’iraniano che l’ha difesa. Non solo la detenuta in attesa di giudizio non è stata sentita per mesi dalla pm Luisa D’Elia nonostante le richieste della difesa (e Marjan ne aveva di informazioni da riferire). Non solo i suoi accusatori sono stati presi per oracolo dagli inquirenti nonostante si siano dileguati e resi irreperibili appena firmata la dichiarazione d’accusa. Non solo lei è stata trasferita di punto in bianco, appena depositata la denuncia per violenza, al reparto psichiatrico dell’ex manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto senza che fosse avvisato il suo difensore, senza che fosse possibile farle incontrare suo figlio. Al momento non è dato sapere se qualcuno al Tribunale di Locri si sia chiesto quanto siano attendibili le accuse di tre iracheni, maschi, sunniti contro due iraniani sciiti.
Quel che è certo è che nessuno si è assicurato di avere gli accusatori a disposizione per un incidente probatorio comandato dalla legge. Gli accusatori, ovviamente, arrivederci e grazie e sono spariti. Questo succede tutti i santi giorni. Chi arriva e viene identificato come “clandestino” ha subito notificato il reato commesso (ex articolo 10 bis Testo Unico Immigrazione) e non si ferma lì cortesemente ad aspettare di passare altri guai. Si allontana prima possibile. Per mesi la pubblica accusa non ha ascoltato la ragazza indicata come scafista nonostante le richieste di interrogatorio avanzate dal difensore.
Eppure è strano che in una barca gremita di 100 persone comandi una ragazza. Nel verbale di identificazione c’è scritto che Marjan parla e capisce l’arabo. Non è vero. L’interprete è un iracheno, maschio, sunnita che forse non capisce bene il persiano che lei parla ma al verbale di tutto ciò niente risulta. Il difensore di fiducia di Marjan, l’avvocato Giancarlo Liberati ricorrerà al Riesame per ottenere la liberazione di Marjan in attesa della sentenza di assoluzione.
“Le testimonianze di altri due migranti che hanno viaggiato con Marjan hanno confermato quanto lei sostiene dal primo giorno – dice Liberati – fin dalla prima udienza abbiamo prodotto la prova del pagamento del viaggio di Marjan e la stessa Procura ha depositato le registrazioni delle conversazioni telefoniche intercettate in carcere con lo zio al quale lei aveva subito raccontato del tentativo di violenza sessuale subito in barca. Ed ancora le prove schiaccianti dell’innocenza di Marjan sono state rinvenute nel suo telefono e non lasciano spazio a dubbi. Non mi spiego il mantenimento della misura e per questo ricorrerò ancora al Tribunale del Riesame”. Il dibattimento del processo proseguirà il prossimo 24 marzo con l’esame di altri testimoni della difesa e con l’esame dei due imputati.
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