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Manifestazione nazionale per la pace: dall’appello scompare il disarmo

Cancellate rivendicazioni importanti come la richiesta di stop all’invio di armi e la solidarietà con i pacifisti russi. Marco Bersani: «Forzatura dei confederali». Molte realtà stanno ritirando la firma, ma saranno comunque in piazza. Un brutto segnale mentre parlamento e stampa trascinano il paese in un clima sempre più isterico

Sabato 5 marzo a Roma si terrà la manifestazione nazionale contro la guerra in Ucraina. L’appello, lanciato lunedì 1 marzo dalla Rete italiana pace e disarmo, ha inizialmente sorpreso per la velocità della convocazione. Visto che un corteo nazionale implica autobus, logistica, impegno economico che non sempre le strutture autorganizzate riescono a mettere a disposizione in così poco tempo.

Tuttavia lo stesso appello aveva visto una pioggia di adesioni giustificate dall’urgenza della situazione e dal bisogno collettivo di agire, tanto più dopo un fine settimana di manifestazioni riuscite in tante città della penisola. Inoltre in molte e molti avevano apprezzato le rivendicazioni contenute nel testo circolato in varie chat tra lunedì e martedì. Tra gli altri, includeva questi punti: «Siamo con la società civile, con le lavoratrici e i lavoratori ucraini e russi che si oppongono alla guerra con la non violenza. No all’allargamento della Nato. Sì alla sicurezza condivisa. Vogliamo un’Europa di pace, senza armi nucleari dall’Atlantico agli Urali».

A oggi, però, l’appello che si trova nella homepage di Ripd è molto più scarno e non contiene quei riferimenti. Francesco Vignarca, segretario della Rete, ha risposto a chi chiedeva conto di questa novità con un tweet: «Questa mattina usciremo con un comunicato che ribadirà la posizione di Ripd sull’insensatezza dell’invio di armamenti, sulla necessità di sostenere la società civile russa e ucraina».

Tuttavia la riduzione dell’appello ha stupito diversi collettivi e organizzazioni. Alcune hanno già ritirato la firma. Marco Bersani, di Attac Italia, dice a dinamopress: «Le motivazioni per cui saremo in piazza sono le stesse per le quali abbiamo ritirato l’adesione alla piattaforma di Ripd. Abbiamo spinto per una manifestazione nazionale unitaria da tenersi nel più breve tempo possibile e sostenuto la necessità di una piattaforma breve, chiara e inclusiva, che permettesse a tutte e tutti di sentirsene parte, portando poi in piazza ciascuno i propri contenuti e proposte. La base condivisa su cui era stata redatta e diffusa la prima piattaforma teneva con sé la condanna dell’invasione dell’Ucraina da parte del governo e dell’esercito russo, con il No alle mire espansionistiche della Nato e all’invio delle armi all’Ucraina. Per questo avevamo aderito con convinzione».

Le cose però sono cambiate improvvisamente. Continua Bersani: «Ieri quella piattaforma è stata stravolta con un atto di forza di Cgil-Cisl-Uil, che hanno eliminato ogni riferimento alla Nato, alla solidarietà pacifista, al disarmo nucleare e all’invio di armi all’Ucraina. Un fatto inqualificabile nel merito e nel metodo. Nel merito, perché senza tutti quei riferimenti la piattaforma diventa un sostegno di fatto alla cultura politica e ai provvedimenti bellici presi del governo Draghi (e questo era, a nostro avviso, l’intento sottaciuto). Nel metodo, perché si è utilizzata la legge del più forte (a proposito di cultura della guerra) per imporre interessi politicisti su una costruzione ampiamente condivisa di una manifestazione nazionale. Abbiamo di conseguenza ritirato la nostra adesione alla piattaforma. Sabato 5 marzo saremo in piazza, ancor più convinti di prima. Del resto le piazze sono di tutte e di tutti, non certo di qualche burocrazia politico-sindacale. Ci saremo, sicuri di essere in ottima e numerosa compagnia: quella di tutte le donne e gli uomini che da sempre sono contro la guerra senza se e senza ma».

Sulla stessa linea d’onda anche il Forum italiano dei movimenti per l’acqua, che ha fatto la stessa scelta. Mentre Emergency, in un tweet in cui tagga solo la Ripd, scrive: «L’invio di armi da parte dell’Italia a sostegno dell’Ucraina è presentato come un’azione di responsabilità. Rifiutiamo con forza quest’idea: le armi cancellano ogni possibilità di pace. Non c’è altra strada sensata che tornare a negoziare». Mentre Arci scrive in un suo appello: «Dall’Italia, dall’Europa, dalla comunità internazionale devono arrivare soluzioni politiche, non aiuti militari».

Tutto questo avviene mentre stampa e forze politiche fanno crescere ogni giorno la retorica bellicista e trascinano anche l’Europa in uno scenario di guerra. Il Parlamento ha votato compatto per l’invio di armi al governo di Zelensky, con l’opposizione della sola Sinistra italiana e qualche sparuto deputato Pd (il cui leader ha da tempo indossato l’elmetto).

Proprio in questo contesto il movimento pacifista non può permettersi di scendere a compromessi con la scelta del governo italiano di andare in deroga alla legge 185 del 1990 contro il commercio d’armi. Né può evitare di dire che l’avanzamento a est di un’alleanza militare come la Nato significa inevitabilmente adeguarsi a un piano politico che fa crescere tensioni e pericoli. Soprattutto in questo contesto.

Altre armi non metteranno fine al conflitto, né basteranno agli ucraini per respingere una potenza nucleare come la Russia. Trasformeranno invece la guerra in guerriglia.

La combinazione di sanzioni indiscriminate e ritardo nella chiusura del conflitto ha l’obiettivo di logorare i russi in funzione anti-Putin. Un azzardo, che potrebbe funzionare o no, ma che comunque rischia di costare migliaia di vite umane e ulteriori escalation. Contro questa ipocrisia bisogna tornare a trattare. Tutti devono fare un passo indietro, a partire dalle forze di invasione russe.

da DINAMOpress

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5 Marzo a Roma? Una piattaforma che porta solo acqua al mulino del Governo e della Nato, Il regno dell’ipocrisia domina nella sinistra

Sabato 5 marzo ci sarà una manifestazione nazionale a Roma indetta dalla Rete Pace e Disarmo e con numerosissime adesioni che vanno dai sindacati Cgil Cisl Uil all’associazionismo e anche a pezzi del variegato mondo comunista. Questa manifestazione nasce da un appello rivolto a cgil cisl uil e all’associazionismo che in questi mesi hanno sostenuto il Governo Draghi.

Ecco cosa scrive la Rete pace e disarmo:

Facendo seguito alle mobilitazioni dei giorni scorsi, visto il peggiorare della situazione in Ucraina, l’aggressione militare russa, gli scontri armati nelle città, le colonne di profughi, la sofferenza della popolazione civile, invitiamo tutte le associazioni, i sindacati che hanno partecipato alla manifestazione di Roma e delle altre città, ad una riunione per organizzare insieme una grande manifestazione nazionale da realizzarsi a Roma, il prossimo sabato 5 marzo

Siamo quindi in presenza del solito pacifismo generico che non muove un dito contro la Nato, la militarizzazione dei nostri territori, la partecipazione attiva del Governo italiano alla svendita di armi all’Ucraina, non una parola su quanto avviene in Siria o in Donbass, non una parola spesa sul potenziamento delle industrie di armi italiani, nessuna solidarietà ai portuali denunciati per essersi opposti al carico di armi.

Ha poco senso asserire, come fa Acerbo del Prc, che manifesteranno contro la Nato perchè nella piattaforma della manifestazione non c’è traccia alcuna perfino di una velata critica all’espansionismo e al ruolo, militare ed economico, della Alleanza Atlantica.

La inconsistenza politica di alcune organizzazioni comuniste si cela dietro a parole d’ordine che dicono magari l’esatto contrario della piattaforma di indizione della giornata del 5 Marzo ma il desiderio di visibilità in TV spinge a clamorosi abbagli e soprattutto a rinunciare ad un minimo di coerenza.

Nella adesione dell‘Arci si fa solo riferimento all’Onu nel nome della quale sono avvenute le guerre cosiddette umanitarie che hanno distrutto paesi e provocato migliaia di morti.

Sempre l’Arci rivendica la  fine al commercio di armi senza limiti e senza controlli. Si impieghino le risorse per le armi a favore della sanità, istruzione, sicurezza sul lavoro, attuazione di tutti i diritti per tutti. E una Europa di pace, senza armi nucleari, che fondi le sue relazioni internazionali sulla sicurezza comune e condivisa, sul disarmo, sulla neutralità attiva.

Rivendicazioni condivisibili che stridono con l’effettivo operato del Governo italiano e del centro sinistra che invece promuove produzione e vendita delle armi all’estero in nome del rilancio dell’economia italiana. E anche in questo caso non si guarda a quanto avviene in casa nostra con i territori italiani attraversati da convogli di armi molte delle quali provenienti dalle basi Usa e Nato.

Poi c’è chi, come  l’associazione per il rinnovamento della sinistra, che si limita a parlare di contrarietà all’allargamento della Nato accettandone di fatto l’attuale struttura che ha visto negli ultimi 20 anni numerosi ingressi di paesi un tempo neutrali o provenienti dal Patto di Varsavia (che con il crollo del Muro di Berlino si è dissolta al contrario della Nato in continua espansione)
Che senso ha allora manifestare con questa piattaforma il 5 Marzo  a Roma? 
 
Per noi significa assecondare quel pacifismo che spera nella pace senza mai individuare le cause economiche e militari delle guerre e senza mai confrontarsi con le politiche del Governo Italiano.
 
I porti e gli aeroporti italiani sono già zone di guerra adibite al carico e scarico di armi, stesso discorso vale per le basi militari Usa e Nato sul nostro territorio. Ma di questo, e di molto altro, la piattaforma del 5 Marzo non parla.
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Disertiamo la logica bellica, fermiamo l’escalation militare

Siamo convinti e convinte che proprio in questi momenti sia necessario e fondamentale rifiutare la logica degli schieramenti e interrogarsi su cosa vuol dire animare oggi un pacifismo non velleitario, in grado di costruire le condizioni per evitare l’escalation

di ESC Atelier

Lo scenario aperto con l’invasione russa dell’Ucraina è totalmente inedito e su questo sono già stati spesi fiumi di inchiostro. L’orizzonte della guerra mondiale nucleare è entrato a far parte delle possibilità concrete, spinto da un improvviso afflato bellicista di tutti i governi europei, in primis quello italiano.

Dopo l’iniziale timidezza rispetto all’applicazione delle sanzioni, il governo Draghi ha varato un decreto che sancisce l’invio di armi e materiale militare in Ucraina, per “armare la resistenza Ucraina”, con il consenso (quasi completo) dell’intero arco parlamentare e una retorica intrisa di nazionalismo. La decisione del governo italiano rappresenta la codardia di chi fomenta una guerra senza vederne da vicino il sangue, il dolore e la distruzione che porta con sé.

Gli interessi in campo sono tanti e contrapposti, due distinti blocchi con le proprie oligarchie e politiche di potenza, si affrontano tenendo in ostaggio la popolazione ucraina e facendo pagare il prezzo più alto, come sempre succede, ai più poveri.

Il clima costruito dai media e dalla politica europea spinge tutti a dover fare una scelta di campo, con noi o contro di noi, dentro una spirale destinata a portare il mondo sull’orlo di una catastrofe.

Vergognosa in tal senso la “caccia al russo” scatenata sui terreni più disparati, da quello sportivo con l’esclusione di atleti ed atlete russe dalle competizioni, a quello culturale e letterario fino alle decisioni delle grandi multinazionali dell’entertainment che cancellano le squadre russe dai loro videogiochi.

Siamo convinti e convinte che proprio in questi momenti sia necessario e fondamentale rifiutare la logica degli schieramenti e interrogarsi su cosa vuol dire animare oggi un pacifismo non velleitario, in grado di costruire le condizioni per evitare l’escalation, fermare la guerra e costringere un cambio radicale all’interno delle relazioni internazionali.

Per queste ragioni saremo in piazza Sabato 5 marzo, per opporci all’invasione infame di Putin e portare solidarietà al popolo ucraino. Al tempo stesso, riteniamo vergognosa la scomparsa, dalla piattaforma di lancio del corteo, di alcuni punti che sono per noi al centro di un’azione concreta e non ipocrita contro la guerra.

Non è possibile, ad esempio, rimuovere le responsabilità della NATO e della sua politica espansiva degli ultimi trent’anni: la subalternità atlantica di tutti i governi europei e l’asservimento alle scelte degli Stati Uniti hanno non solo prodotto e alimentato questa situazione ma rischiano oggi di impedire una soluzione efficace al conflitto in corso.

L’invio di armi all’Ucraina, lungi da rappresentare una soluzione in grado di ribaltare le sorti di questa guerra asimmetrica, rappresenta solo un modo per prolungare il conflitto, al costo di un bagno di sangue tra la popolazione, alimentare una guerra civile e distruggere per lungo tempo il tessuto economico e sociale del paese, senza contare il rischio che, come avvenuto in Afghanistan con i Talebani, questi armamenti finiscano in massa nelle mani dell’esercito russo nel caso di una probabile sconfitta ucraina. La popolazione ucraina sta combattendo per la propria libertà, la nostra responsabilità è quella di impedire che il prezzo da pagare per loro e per tutti e tutte sia ancora più alto.

Allo stesso modo le sanzioni fin qui imposte colpiscono solo parzialmente il potere economico degli oligarchi, che possono continuare a mantenere i loro patrimoni miliardari nelle banche off-shore. Mentre la popolazione russa, già inserita in uno dei contesti più economicamente diseguali del globo, perde in poche ore circa il 40% del suo potere d’acquisto.

Affamare la popolazione (che, ricordiamolo, in questi giorni sta sfidando Putin scendendo in piazza contro la guerra, rischiando arresti e condanne pesantissime) per colpire il suo governo è una scelta scellerata, miope, inaccettabile e dalle conseguenze imprevedibili, tranne quella di rafforzare ancora una volta i nazionalismi.

In tutti i paesi e in ogni occasione possibile bisogna affermare senza timidezze che la pace si costruisce disertando le guerre, il linguaggio bellico e la logica dell’escalation. Bisogna chiedere il disarmo nucleare e la fine delle relazioni internazionali basate sulla lunga coda della guerra fredda, bisogna imporre all’Unione Europa un ruolo reale e concreto di mediazione e costruzione di pace, ruolo di cui si sta privando attraverso l’invio delle armi.

Avere coraggio oggi non vuol dire indossare un elmetto, soprattutto a migliaia di chilometri di distanza dalla vera guerra e dai suoi effetti, comodamente seduti nelle redazioni dei giornali, nelle segreterie di partito (sconcertanti le dichiarazioni che arrivano dal Nazareno) o dietro lo schermo di un computer: avere coraggio oggi vuol dire disertare qualunque schieramento.

Contro la guerra di aggressione di Putin, contro le mire espansionistiche della NATO, contro ogni tentazione bellica dell’Unione Europea. Facciamo la nostra parte, prima che sia troppo tardi.

da DINAMOpress

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Fermiamo la guerra, ora!!!

L’assemblea cittadina romana contro la guerra  tenutasi a Roma il 3 marzo, ritenendo totalmente inadeguata la nuova piattaforma della manifestazione per la pace convocata per sabato 5 marzo, non aderisce ma partecipa alla giornata di mobilitazione contro la guerra, dandosi appuntamento alle ore 14.00 in Piazza Esquilino.

Saremo in piazza ma su contenuti ben diversi da una piattaforma diventata un documento di consenso alla linea guerrafondaia e all’economia di guerra annunciate dal governo Draghi sul conflitto in Ucraina.

Saremo in piazza con uno striscione che afferma “Fuori l’Italia dalla guerra, No all’invio di armi, via dalla Nato”.

Sabato 5 marzo invitiamo tutte e tutti a concentrarsi alle ore 14.00 a Piazza Esquilino.

Inoltre, l’assemblea ritiene decisivo mettere in campo una manifestazione cittadina contro la guerra entro i prossimi quindici giorni con l’obiettivo di interloquire con la società e i settori popolari sui rischi di un un coinvolgimento dell’Italia nella guerra e le conseguenze dell’economia di guerra annunciati dal governo Draghi