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Livorno: sei anni dopo non c’è verità sulla morte di Marcello Lonzi

L’11 settembre c’è stata la fiaccolata per Marcello Lonzi. Da piazza della Repubblica fino alla prefettura. Centinaia di torce accese nella notte per ricordare Marcello Lonzi, quel ragazzo che morì all’interno del carcere delle Sughere l’11 luglio del 2003 in circostanze misteriose. In quell’occasione i manifestanti (volontari, ma anche il Movimento Antagonista Livornese e Rifondazione Comunista assieme ad Heidi Giuliani) hanno consegnato una lettera al prefetto di Livorno Domenico Mannino di cui pubblichiamo alcune parti. “Ci rivolgiamo a Lei perché si faccia interprete presso le sedi competenti per la ricerca della verità sul caso di Marcello Lonzi, sia ai fini di rendere giustizia alla madre sia per ridare trasparenza alle istituzioni carcerarie nel nostro paese. Marcello ha 29 anni quando viene trovato morto nel Carcere delle Sughere n Livorno, dove scontava una breve condanna. Qui il giorno 11 luglio 2003, Il decesso sì è verificato tra le 19.45 e le 19.50. Il corpo di Marcello è riverso sul pavimento tra la cella n.21. Sezione Sesta, padiglione “D” e il corridoio. La sua testa ostruisce la chiusura della porta. Tutto intorno sangue, sotto il cadavere e anche fuori dalla porta. In gocce o in strisciate circolari dai contorni netti. Eppure “Marcellino” stava bene. L’ultima volta che qualcuno vede il giovane Lonzi in vita e “in buone condizioni di salute” (deposizione di un agente di custodia davanti al Pm Roberto Pennisi – 12 luglio 2004) l’orologio segna le 19.40. A parlare è un detenuto lavorante che stava rientrando dalla doccia al quale Marcello offre un caffè dalle sbarre della porta delta cella, nella quale, oltre a Marcello, c’era un altro detenuto che dormiva (deposizione dell’agente al Pm).
Da subito emergono inquietanti discrepanze tra il referto del medico legale che esegue l’autopsia in cui si parla di morte per cause naturali (arresto cardiaco per aritmia cardiaca , che procurerà al giovane una fulminea perdita di conoscenza con successiva caduta contro lo stipite della porta della cella e ferita lacerocontusa in sede frontale sinistra che si approfondì sino al piano osseo con fuoriuscita continua e abbondante di sangue) e le testimonianze che propongono altri scenari. Tanti minuti di incertezza per una morte così immediata da non aver lasciato a Marcello Lonzi – si legge nell’autopsia – neppure il tempo “di mettere in atto alcun meccanismo di difesa prima di cadere a terra”. L’avvocato Vittorio Trupiano dice: “In quelle foto ci sono i segni di vere e proprie vergate, striature viola sulla pelle gonfia e rialzata… ecchimosi che possono essere state fatte solo con un bastone, un manganello. Certo, non sono i segni di una caduta”. Grazie al costante impegno della madre di Marcello, degli amici, dei conoscenti e di tutti coloro che hanno a cuore la verità e la giustizia, il 28 agosto 2006 viene riaperto il caso della morte di Marcello Lonzi. Il corpo viene riesumato e sottoposto a una nuova perizia medico-legale da cui si evince che nessuna ferita è compatibile con la versione ufficiale della sua morte : l’arresto cardiaco non è avvenuto per cause naturali. Da allora Maria Ciuffi continua a chiedere giustizia: “Voglio sapere la verità su come è morto mio figlio”. La sua è una legittimo richiesta e appartiene anche a tutti noi che la sosteniamo”. Ed è per questo che adesso Maria Ciuffi si è rivolta al prefetto, attendendo una risposta scritta. Certa che arriverà in tempi brevi.
fonte: Corriere di Livorno

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