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L’intervento della suprema corte nella ‘guerra’ al terrorismo. Verso il diritto penale del nemico?

L’intervento della Suprema Corte nella ‘guerra’ al terrorismo, con particolare riferimento al tentativo di arruolamento (Cass. Sez. VI 9 settembre 2015, n. 40699). Verso il diritto penale del nemico?

di Luigi Romano (da iurisprudentia.it )

Indice:

1. I fatti di Parigi.

2. Dagli attentati di Londra e Madrid ai giorni nostri: il quadro normativo.

3. L’intervento della VI sezione della Corte di Cassazione, 9 settembre 2015, n. 40699. – 3.1 I fatti. – 3.2 Il diritto: 3.2.1 La tesi del ‘Riesame’, 3.2.2 La volontà delle parti: l’accordo, 3.2.3 L’abnormità

4. Dall’emergenza allo stato di eccezione permanente

  1. I fatti di Parigi.

            Gli attentati di Parigi lasciano attoniti, sono atti ignobili e codardi che hanno portato la morte di civili senza alcuna colpa. Anche questa volta, gli uomini del commando armato non hanno colpito i simboli del potere – economico o politico – occidentale e si sono concentrati su obiettivi prettamente civili. Mirando a comuni luoghi di ritrovo, la furia cieca della cellula islamista ha sottolineato, forse in modo del tutto involontario, lo scontro di civiltà che il jihad sostiene: da una parte l’Occidente infedele e corrotto, dall’altra la legge dello Stato Islamico[1] unito nella parola del Califfo[2].

            Il ciclo del terrore non ha tardato a iniziare il suo corso: la risposta dell’aeronautica francese è stata repentina e ha colpito parte degli ‘obiettivi sensibili’ siriani (anche durante queste azioni militari hanno perso la vita moltissimi innocenti). Dopo poche ore dal bombardamento militare Bruxelles è stata trascinata nel panico. I reparti di intelligence sono riusciti a sgominare una cellula terroristica operativa in Belgio e il premier belga Charles Michel ha reagito al pericolo disponendo lo stato di allerta di livello 4 (il massimo)[3]. Alla luce degli ultimi eventi, l’area francofona, colpita anche nel gennaio 2015 con gli attentati nella sede del settimanale satirico ‘Charlie Hebdo’ , sembra essere terreno fertile per l’islam radicale, che riesce a dare lettura al disagio di molti giovani, francesi ma figli di migranti, per molti aspetti emarginati[4].

            La diffusione mediatica della nuova strage ha accresciuto notevolmente il coefficiente di angoscia collettiva e non sono mancati episodi di isteria sociale[5]. La paura si diffonde tra gli Stati penetrando nel vissuto quotidiano delle comunità e l’interrogativo riguardo al modo più efficace di evitare il pericolo si presenta come assillo per i ministri degli Interni: come fronteggiare il ‘nemico invisibile’? Da sempre, il terrorismo di matrice islamica pone non poche difficoltà ai meccanismi di controllo. La guerra santa si combatte in modo ambiguo, su due fronti: il jihad chiama alle armi il mondo islamico per rinsaldare il fronte del neo-califfato siriano e si appella ai fratelli musulmani residenti negli stati occidentali per organizzarsi e destabilizzare i governi infedeli.

            Le organizzazioni jihadiste intervengono in modo diverso e su diversi fronti e ciò stimola la cooperazione degli apparati d’intelligence, per cui l’adeguamento ai modelli di sicurezza internazionali sembra diventare il leit motiv delle politiche governative.

  1. Dagli attentati di Londra e Madrid ai giorni nostri: il quadro normativo.

            Il parlamento con la legge del 31 luglio 2005, n. 155, convertì, con ampissima maggioranza il D.L. 27 luglio 2005, n. 144, il quale introdusse nel nostro ordinamento «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale». Il governo diede un segnale forte alla comunità internazionale reagendo in tempi brevissimi agli attentanti che avevano colpito Madrid e Londra. L’iniziativa di legislazione emergenziale si riallacciava ai precedenti interventi legislativi che avevano fatto seguito agli attentati dell’11 settembre a New York (momento cruciale della nuova stagione di lotta al terrorismo internazionale): il D.L. 28 settembre 2001, n. 353, convertito con legge del 27 novembre 2001, n. 414, «Disposizioni sanzionatorie per la violazione delle misure adottate nei confronti dei talebani», e il D.L. 12 ottobre 2001, n. 369, convertito con legge del 14 dicembre 2001, n. 431, «Misure urgenti per reprimere e contrastare la lotta al terrorismo internazionale» (provvedimento importante perché istituì il Comitato di sicurezza finanziaria per monitorare l’approvvigionamento economico delle cellule di Al Qaeda).

            In pochi anni il legislatore intervenne per tre volte sulla stessa materia[6], ma solo il ‘Decreto Pisanu’, n. 155 del 2005, immise nell’ordinamento nuovi anticorpi: le modifiche riguardarono sia il profilo procedurale sia quello sostanziale. In particolare, l’art. 270 sexies definì le condotte con finalità di terrorismo, il 270 quinquies rese punibile anche le attività di addestramento al compimento di atti terroristici e il 270 quater colpì l’attività di arruolamento nelle file delle organizzazioni terroristiche.

            Da subito, la dottrina mosse critiche aspre alla definizioni delle ‘condotte terroristiche’ sottolineando la vaghezza di alcune scelte linguistiche del legislatore: quali sarebbero state le fattispecie idonee a cagionare un ‘grave danno al paese’ cui fa riferimento l’art. 270 sexies? Oltre alla genericità della definizione del bene giuridico, si preavvisarono ulteriori difficoltà in relazione alla gradazione del danno: quando il danno sarebbe stato ‘grave’?[7] L’altra innovazione che destò non poco stupore riguardava i cd. foreign fighters: il legislatore arretrò decisamente la soglia della rilevanza penale, perché sanzionò la semplice attività di arruolamento indipendentemente dal compimento effettivo degli attentati[8]. Altre perplessità riguardarono la tecnica normativa: in che modo bisognava definire l’attività di arruolamento’? Sarebbe stato sufficiente tenere presente l’art. 244 c.p., in cui lo stesso è inteso come iscrizione del combattente nei ruoli del servizio militare o bisognava definirlo diversamente?

            L’emergenza sembra non essere mai finita e, dopo soli dieci anni, a seguito degli attentati nella sede di ‘Charlie Hebdo’, il governo è intervenuto nuovamente sulla stessa materia: il D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito con L. 17 aprile 2015, n. 43, da un lato inserisce nel nostro ordinamento ulteriori fattispecie criminali[9], dall’altro aumenta la soglia di punibilità del 270 quater anche agli arruolati, con pena da tre a sei anni di detenzione. L’innovazione legislativa non ha cambiato i dubbi sull’intera materia. Difatti, rimangono molte perplessità riguardo alla tipicità delle condotte e ai confini del bene giuridico oggetto della tutela e si dovranno attendere le pronunce dei tribunali per capire come vivranno nella prassi le intenzioni del legislatore.

  1. L’intervento della VI sezione della Corte di Cassazione, 9 settembre 2015, n. 40699.

           Gli attentati dell’11 settembre hanno segnato l’inizio di un ‘nuovo’[10] ciclo di prevenzione che ha riguardato tutti i paesi occidentali. Mentre la concezione classica della sicurezza presupponeva la distinzione tra ordine e disordine, nel cui ambio poteva inserirsi l’eccezione, la distruzione delle Twin Towers ha determinato un cambiamento di paradigma: il discorso securitario si è concentrato a prevenire il pericolo continuamente. La nascente ‘società del rischio’ impone, oggi come prima, all’operatore giuridico la gestione costante dell’insicurezza .

            A tale riguardo, la recente sentenza della Corte di legittimità disegna un modello d’intervento preventivo. Infatti, i giudici in questa sentenza si confronteranno con la circostanza problematica dei combattenti volontari, ipotesi criminale, come detto in precedenza, inserita da pochi anni nel nostro ordinamento.

3.1 I fatti.

            Gli eventi presi in esame dalla Corte riguardano il caso dell’arruolamento di due uomini nelle milizie dell’Isis: Elezi Elvis, di origine albanese e residente in Italia, avrebbe arruolato El Abboubi Anas e Ben Ammar Mahmoud. Le indagini condotte dalla Procura sui rapporti intercorsi tra i tre soggetti hanno portato alla verifica di due condotte diverse: in particolare, l’effettivo arruolamento riguarda il solo El Abboubi, il quale è risultato presente in Siria a seguito di intercettazioni. Secondo gli inquirenti, le operazioni di ‘leva’ si sono rese possibili grazie all’intermediazione di un quarto uomo, tale Elezi Alban. Costui, dimorante in Albania e imparentato con Elezi Elvis, è stato il tramite diretto con le strutture dell’organizzazione terroristica occupandosi del trasferimento degli aspiranti miliziani.

            Vicenda in parte differente è quella avvenuta tra Elezi Elvis e Ben Mahomoud. Le loro condotte non sono sussumibili al dettame dell’art. 240 quater, perché Elezi avrebbe solo ‘tentato di arruolare’ Mahomoud, per il quale è stata disposta misura cautelare dal GIP di Brescia; in relazione allo stesso accaduto, il Tribunale del Riesame, non convinto delle prove a carico dell’‘arruolatore’ Elezi Elvis, ha disposto la liberazione con ordinanza emessa in data 24 aprile 2015.

            I rapporti tra Elezi Elvis e il minorenne Ben Ammar Mahoumud sono stati ricostruiti tramite alcune conversazioni chat. Proprio in quell’occasione, secondo il Gip, si mostrerebbe la chiara volontà del ragazzo di combattere per il Jihad. Altre intercettazioni attestano alcuni contatti avvenuti tra Elezi Elvis e lo zio Elezi Alban. I due discutono sulla possibilità di aggregare il nuovo combattente e sono convinti che bisogna attendere ancora qualche passaggio per esserne sicuri e organizzare il trasferimento. D’un tratto i piani programmati saltano, accade qualcosa che attiene proprio alla natura dei ragazzi giovani: la volontà manifestata precedentemente non sembra più la stessa. Il carico di responsabilità è enorme perché al minore si chiede il sacrificio e per questo il ragazzo non si mostra convinto a raggiungere la Siria. Di conseguenza, non rispetta più gli accordi presi con Elezi. Anche se l’arruolamento non è stato portato a compimento, secondo il Gip di Brescia le condotte possono essere punite come un ‘tentato arruolamento’. Come già accennato, il Tribunale del Riesame si è espresso con diverso avviso. Il quadro indiziario, sufficiente secondo il Gip a sostanziare le esigenze cautelari, è apparso troppo debole. In particolare, il Collegio ha giudicato precaria la costruzione del tentativo. Infatti, la fattispecie di arruolamento è stata introdotta dal legislatore con la volontà di anticipare la tutela dei beni giuridici. Un arretramento ulteriore della soglia di rilevanza penale avrebbe creato scompensi nelle relazioni con altre fattispecie criminose.

            Infine, oltre a rivalutare il quadro accusatorio a carico di Elezi Elvis, i giudici del Riesame hanno modificato le misure cautelari riguardo a un altro imputato, tale Halili Madhi. I pubblici ministeri hanno mosso nei suoi confronti le contestazioni di apologia di reato aggravata dalla finalità di terrorismo, condotta che sarebbe avvenuta tramite la diffusione telematica di un documento a difesa delle ragioni dell’Isis. Il Tribunale del Riesame, seppur ritenendo legittima l’applicazione delle misure cautelari, ha modificato la custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari e con la stessa ordinanza (del 24 aprile 2015) ha dichiarato l’incompetenza del Tribunale di Brescia. Il Pubblico Ministero ha reagito alle riletture del Collegio ricorrendo in Cassazione.

3.2 Il diritto.

3.2.1 La tesi del ‘Riesame’

            Il ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame è stato accolto nella parte in cui il giudice del Riesame non ha legittimato la costruzione del tentato arruolamento. Il quadro normativo preso in esame dal Tribunale di primo grado, pocanzi illustrato, presenta molti dubbi interpretativi e l’intervento dei Giudici di legittimità è riuscito a chiarire le idee su alcune delle scelte compiute dal legislatore. Un primo punto della sentenza riguarda proprio l’interpretazione del temine ‘arruolamento’: a tal proposito, la Corte ha posto le basi del ragionamento sul distinguo tra l’art. 270 quater c.p. e l’art. 244 c.p. («Atti ostili avverso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra»[11]). Su quest’ultima fattispecie si è basata l’interpretazione del Tribunale del Riesame, che ha individuato l’arruolamento come attività d’iscrizione materiale del soggetto nei ruoli del servizio militare. Infatti, l’analisi della fattispecie è caratterizzata dalla forte adesione al dato materiale della condotta: il reato si consuma non quando sussiste il semplice accordo ma nel momento in cui il soggetto viene inserito nelle liste di leva.

3.2.2 La volontà delle parti: l’accordo

            Il Collegio ha ribaltato completamente il risultato del ragionamento giuridico esposto finora. Dunque, pur salvando le premesse riguardo all’art. 244 c.p., ha ritenuto che la fattispecie di arruolamento contenuta nell’art. 270 quater c.p. debba interpretarsi seguendo quanto prescritto dall’ art. 12 delle ‘Disposizioni sulla legge in generale’, carpendo quindi il senso delle disposizioni dall’intera proposizione normativa. A ragion veduta della Suprema Corte, si comprende la volontà del legislatore solo se si collega l’arruolamento al compimento degli atti con finalità terroristica, elemento decisivo della fattispecie perché definisce il fine dell’organizzazione eversiva. Non esiste dubbio per la Cassazione: «Il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo (e ancor di più il sabotaggio) non implica né presuppone l’esistenza di un regolare esercito, quanto di formazioni organizzate di tipo paramilitare anche con ristretto numero di aderenti, a composizione mobile, necessariamente idonee alla mimetizzazione, fermo restando che nei casi di maggiore gravità – come quello oggetto del procedimento qui scrutinato – possono riscontrarsi forme organizzative dotate di tendenziale stabilità e rilevanza locale che ne accentuano il carattere militare». Da ciò, i giudici hanno dedotto che il termine ‘arruolamento’ ha come reciproco significato il concetto più ampio di reclutamento, equiparabile a sua volta alla nozione di ingaggio «[…] intesa come raggiungimento di un ‘serio accordo’, tra soggetto che propone (il compimento , in forma organizzata, di più atti di violenza ovvero sabotaggio con finalità di terrorismo) e soggetto che aderisce». A suffragare il ragionamento della Cassazione, vi sarebbero due fonti del nostro ordinamento che insieme spingerebbero l’interprete ad attribuire un senso più ampio all’arruolamento: da un lato la legge di ratifica, n. 210 del 12 maggio 1995, della convenzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 4 dicembre del 1989, mirata a definire figure di reato capaci di reprimere l’utilizzo dei mercenari per fini contrari all’ordine costituito[12]; dall’altra il recente decreto antiterrorismo, D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, che, andando a punire anche la condotta dell’arruolato, indicherebbe il momento dell’accordo come identificativo della consumazione[13]. La configurazione estensiva della fattispecie anticipa sul piano sostanziale il momento consumativo del reato, perché, eliminando il parametro analogico dell’art. 244 c.p. e integrando l’esegesi con la disciplina internazionale[14], il solo accordo per arruolarsi determina la soglia di rilevanza penale del fatto. Una volta assodato questo presupposto, è possibile individuare una progressione nella formazione delle volontà: laddove l’accordo sia serio, rispetto all’autorevolezza della proposta e alla fermezza della volontà di adesione al progetto, diventeranno rilevanti tutti i passaggi significativi per la costruzione del negotium illicito. Alla luce delle considerazioni fatte dal Collegio, diventa essenziale l’applicazione del tentativo, ex art. 56 c.p., in quanto fattispecie giuridica costruita per sanzionare i momenti preparatori alla realizzazione del delitto[15].

            Per quanto riguarda il fatto discusso in sentenza, secondo i Giudici le condotte di Elezi Elvis e Elezi Elban sono in concorso tra loro per realizzare l’arruolamento di Ben Ammar e, in base alle risultanze probatorie, entrambi sono considerabili come tramiti ‘sicuri’ e ‘affidabili’ per portare a compimento le aspirazioni del giovane. Per questi motivi, la Corte ha accolto il ricorso del Pubblico Ministero e ha rimesso la qualificazione del fatto alla cognizione del giudice del rinvio, rivalutazione del caso da compiere alla luce dei principi di diritto esposti.

3.2.3 L’abnormità     

            Nella stessa sentenza la Suprema Corte, rigettando il ricorso perché inammissibile, hanno chiarito alcuni punti di diritto riguardo all’istituto ‘giurisprudenziale’ dell’abnormità. Tale categoria nasce per sanzionare gli atti dell’organo giudicante che pone in essere provvedimenti non impugnabili e allo stesso tempo tenta di risolvere i comportamenti dei giudici non previsti dall’ordinamento. La Cassazione è arrivata alla decisione di rigetto dopo aver distinto l’abnormità in due profili rilevanti. Uno strutturale, l’altro funzionale. Secondo il primo punto, l’atto abnorme proviene o da un potere che non è previsto dall’ordinamento oppure si manifesta in una circostanza completamente diversa rispetto ai precetti normativi. Invece, si parla di abnormità funzionale nelle circostanze in cui il processo è impossibilitato a proseguire e «[…]va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento». Secondo questo ragionamento il Collegio ha ritenuto che il provvedimento del Tribunale del Riesame non rientrasse nelle ipotesi di abnormità. Infatti, la VI sezione della Cassazione ha più volte precisato che è dovere del Tribunale in sede di Riesame, anche quando dovesse essere incompetente, valutare tutti i presupposti applicativi della misura cautelare. L’atto, di per se precario in quanto proveniente da un organo incompetente, è necessario perché in gioco c’è un bene maggiore, quello della libertà personale dell’imputato. Per queste ragioni di diritto i Supremi Giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso nei confronti di Hali El Mahdi.

  1. Dall’emergenza allo stato di eccezione permanente[16].

            La difesa ostinata dell’ordine costituito nella storia del diritto ha sempre rappresentato un momento particolare della vita della collettività, perché in molte occasioni ha comportato la sospensione delle garanzie e delle prassi costituzionali ordinarie. Il modello del senatus consultum de re publica defendenda[17], con cui il Senato romano represse la ‘rivoluzione’ dei Gracchi, sembra ripetersi ogni qualvolta gli ordinamenti si trovino a fronteggiare un ‘nemico’ ritenuto eccezionale. Gli hostes rei publicae – siano essi tribuni della plebe, briganti del XIII secolo, giacobini rivoluzionari, o ancora anarchici del primo Novecento – rappresentano agli occhi del sistema vigente forze disgreganti dell’assetto giuridico, stranieri ostili alle norme sociali[18].

            Sulla base di quanto detto il ragionamento espresso in sentenza presenta diversi profili problematici. La riflessione dei giudici dimostra coerenza con la volontà che sorregge l’intera manovra di contrasto ai fenomeni terroristici: aumentare la prevenzione estendendo l’area della rilevanza penale. La fattispecie discussa è costruita secondo la struttura del reato di pericolo astratto. Il legislatore, infatti, ha compiuto una valutazione a monte giudicando pericolosa l’azione e anticipandone la tutela[19].

            La materia è stata oggetto di continue modifiche: si contano dal 2001 a oggi circa 5 interventi innovativi dell’intera disciplina. Tutti casi che riguardano legislazioni emergenziali sorrette dal comune timore di combattere una guerra aperta e invisibile. L’angoscia collettiva influisce fortemente sulla costruzione del ‘nemico’[20]: l’impatto mediatico è tanto forte da trasformare il piano discorsivo dell’intervento penale da extrema ratio a regola. Il meccanismo trasfigura la funzione cardine del diritto, quella di prevenire e regolare i comportamenti sociali, perché la norma nasce sulla scorta dell’emergenza in relazione a fatti già accaduti[21]. L’estensione dell’area penale si traduce con norme molto elastiche, poco precise, e questo complica gli obiettivi di prevenzione generale: come si possono orientare i consociati quando non sono chiari i comportamenti soggetti a sanzione[22]?

            La verifica dei presupposti del tentato arruolamento (atti idonei e fine non equivoco) si fondano, secondo la Suprema Corte, sulla progressione dell’accordo illecito. Quindi, come si dovrà dimostrare in sede probatoria l’‘affidabilità del proponente’ e la ‘serietà dell’accettazione’?

            Con l’ulteriore arretramento della tutela dell’art. 270 quater (già di per sé arretrata) si complica l’indagine sulla responsabilità perché i confini dell’azione rilevante diventano incerti. In tali circostanze, il giudice dovrà incentrare il giudizio sulla formazione delle volontà dei soggetti che si accordano. A questo punto, quando l’accordo si considera concluso? Qual è il momento in cui termina l’ideazione criminale e comincia il tentativo? Come si individua la desistenza e il recesso[23]? A queste inevitabili incertezze, si aggiunge il pericolo di sottoporre a procedimento (indagini–misure cautelari–processo) un numero indeterminato di soggetti che non avranno alcun rapporto con le organizzazioni terroristiche e che sono magari esaltati millantatori, fanatici dell’islam o migranti provenienti da zone di guerra dove il fondamentalismo islamico è maggiormente radicato.

            Il sistema penale è continuamente stressato dalla tensione all’estensione e le fattispecie criminali finiscono per confinare le une con le altre. L’ordinamento penale, depotenziato dei suoi principi (sussidiarietà, tipicità, offensività dell’azione), diventa un corpo elastico e multiforme. Tornando al caso in esame, la distinzione tra un ‘tentato arruolamento’ e una ‘apologia di reato’ o una ‘istigazione a delinquere’ dovrà essere compiuta caso per caso.

            Le emergenze si susseguono e, diventando ‘norma’, muovono l’ordinamento verso uno stato d’eccezione permanente[24]. Ritorna così l’ombra del delitto penale del nemico, funzionale alla paura allevata durante una guerra continua. In questo clima di tensione e incertezza strisciante, riecheggiano come monito le parole di George Orwell scritte per il manuale di Emmanuel Goldstein (l’oppositore del Grande Fratello) nel romanzo 1984: «Non importa che la guerra si combatta per davvero e, poiché una vittoria definitiva è impossibile, non importa nemmeno se la guerra vada bene o male: la guerra è fatta per non finire mai»[25].

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Note:

[1]          In verità la giustificazione dottrinaria della violenza terrorista, compiuta a difesa dell’Islam ortodosso, è una volgare rivisitazione della sharia. Infatti, si può leggere tra le pagine del Al-Muwattà, trattato del 759 d.C. contenente le principali questioni dell’antico diritto islamico, che si compie peccato quando la guerra santa colpisce le donne e i bambini. Questo testimonia l’uso strumentale delle ragioni religiose da parte delle attuali organizzazioni terroristiche islamiche. Sul punto si veda R. Tottoli (a cura di), Mālik ibn Anas, Al–Muwattà. Manuale di legge islamica (Torino 2011), 322–323. I momenti rilevanti della costruzione del nuovo concetto del jihad sono delineate da N. Mouline, La genesi del jihadismo, in Le Monde diplomatique. Il manifesto, n. 12 (2015), 14 ss.
[2]          Sull’organizzazione del Califfato di Abū Bakr Al-Bāġdādī si veda E. C. Del Re, Il senso di Dā’Iš per lo Stato, in Limes 11 (2015), 77 ss.
[3]              Si vedano i commenti di A. Dal Lago, È un conflitto di religione, in ‘Il manifesto’ del 25.11.2015, S. Palidda, Escalation della guerra permanente, in www.alfabeta2.it .
[4]          Cfr. J. Pouchepadass, Les émeutes du “93” sont-elles postcoloniales ?, in L’Homme 3 (2008), n. 187–188, 413 ss.; P. Tevanian, Il razzismo repubblicano e le sue metafore, in D. Costantini (a cura di), Multiculturalismo alla francese? Dalla colonizzazione alla immigrazione (Firenze 2009), 145 ss., di opinione diversa è O. Roy, L’islam è un pretesto, in Internazionale 1130 (2015), 47 ss. Il legame tra terrorismo e piccola criminalità emerge dalle parole di L Shelley, direttrice del Terrorism, Transnational Crime and Corruption Center (Virginia Usa), sul punto si veda L. Caracciolo e F. Maronta (a cura di), Criminalità e terrorismo sono due facce della stessa medaglia, in Limes 11 (2015), 95 ss.
[5]              Si veda la notizia dell’episodio xenofobo ai danni della moschea di Giugliano, provincia di Napoli, v. A. Manzo, Giugliano, un raid contro i musulmani, in Il Mattino del 26.11.2015, o la notizia dell’allerta diffusa per aver scambiato una bandiera della squadra di rugby degli All Blacks per quella dell’ISIS, cfr. Rassegna stampa. Federazione rugby italiana, sabato 21 novembre 2015 (Verona 2015), spec. 15.
[6]              A cui si aggiungono le disposizioni che estesero i termini di durata delle indagini preliminari previsti per i reati di criminalità organizzata ai delitti commessi con finalità di terrorismo, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convalidato con L. 19 gennaio 2001, n. 4, e al D.L. 5 aprile 2001, n. 98 convalidato con L. 14 maggio 2001, n. 196.
[7]          Si vedano le osservazioni al ‘Decreto Pisanu’ di A. Valsecchi, Brevi osservazioni di diritto sostanziale, in Dir. pen. e proc. 10 (2005), 1222 ss., Id. Il problema della definizione del terrorismo, in Riv. it. dir. e proc. pen. (2004), 1127 ss. Recentemente è intervenuta la Corte di Cassazione in materia di terrorismo, la vicenda riguardava l’inchiesta sul movimento ‘No-Tav’. In quell’occasione la Corte chiarì le condotte con finalità terroristica in relazione all’operatività del principio di offensività (Cass. pen., sez. VI, 15 giugno 2014, n. 28009).
[8]              La finalità della realizzazione degli atti terroristici servì al legislatore per caratterizzare l’elemento soggettivo del dolo specifico, sul punto si veda G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte speciale4, Vol. I, (Bologna 2012), spec. 50; L. Pistorelli, Punito anche il solo arruolamento, in Guid. dir. 33 (2005), 55 ss.
[9]          Con l’art. 270 quater .1 si punisce anche l’organizzatore, il finanziatore o chi propaganda viaggi finalizzati al compimento di condotte con finalità di terrorismo. La forte soggettivizzazione delle condotte –i viaggi devono essere finalizzati al compimento di condotte a loro volta finalizzate– complica il piano probatorio. Ricostruire la volontà dell’indagato/imputato diventa un’operazione complessa, per non dire impossibile. Sul punto si veda, A. Cavaliere, Considerazioni critiche intorno al D.L. antiterrorismo, n. 7 del 18 febbraio 2015, in www.penalecontemporaneo.it; S. Colaiocco, Prime osservazioni sulle nuove fattispecie antiterrorismo introdotte da decreto–legge n. 7 del 2015, in www.archiviopenale.it; F. Fasani, Le nuove fattispecie anti-terrorismo: una prima lettura, in Dir. pen. proc. 8 (2015), 926 ss.
[10]         In realtà il nostro ordinamento ha già conosciuto una fase emergenziale durante i cd. ‘Anni di piombo’. Il legislatore intervenne in modo durissimo con la ‘Legge Reale’, n. 152/1975, sul punto si veda R. Coronelli, Paura e ordine nella modernità (Milano 2008), 13 ss.
[11]         Si veda G. Ariolli, Art. 244. Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra, in E. Aprile, G. Ariolli, F. Nuzzo ( a cura di), Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Vol. 4 (Milano 2010), 36 ss.; e tra la letteratura più risalente R. Quadri, s.v. «Atti ostili verso uno stato estero» in Enc. Dir. Vol. 4 (Milano 1959), 65 ss.; F. Dean, Brevi osservazioni in tema di atti ostili, in Riv. it. dir. e proc. pen. (1959), 235 ss.
[12]            Quando si legge l’art. 4 della l. 210/1995, si coglie subito la scelta del legislatore di menzionare la condotta di reclutamento.
[13]         I Giudici di Cassazione avevano compiuto un ragionamento simile interpretando la fattispecie dell’art. 73, D.P.R. 309/1990, «Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope». Infatti, con la sentenza, 14 aprile 2010, n. 14183, la Cassazione, I sez. pen., confermava un orientamento giurisprudenziale secondo cui la consumazione del reato si raggiunge nel momento dell’accordo.
[14]         Oltre alla Convenzione delle Nazioni Unite del 4 dicembre del 1989, la Corte riporta il riferimento all’art. 11 della Convenzione di Varsavia del 2005 che penalizza una serie di condotte ad ampio senso, come training, recruitment, solicit.
[15]         Rispetto ai profili problemi della costruzione del tentativo si veda F. Palazzo, Il tentativo: un problema ancora aperto? (tipicità e offensività tra passato e futuro), in Riv. It. Dir. e proc. pen. (2011), 38 ss.; F. Cingari, Gli incerti confini del tentativo punibile, in Dir. pen. e proc. (2009), 859 ss.
[16]         A tal proposito risulta ancora interessante la lettura di F. Cordero, Il diritto nell’era del terrorismo, in La Repubblica 28.8.2006.
[17]             Sullo stato d’emergenza nella storia antica si veda R. J. Bonner, Emergency Government in Rome and Athens, in The Classical Journal, 18 (1922), pp. 144-152. In relazione al provvedimento senatorio che stravolse le garanzie costituzionali e aprì le porte alla crisi della Repubblica si veda L. Labruna, Nemici non più cittadini. Riflessioni sulla cd. rivoluzione romana e i rapporti governanti/governati nella crisi della res publica, in Cahier des Étudies Anciennes 26 (1991), 145 ss. [=Id. Nemici non più cittadini ed altri testi di storia costituzionale romana2 (Napoli 1995), 1 ss.]; U. Vincenti, Brevi note in tema di ‘senatus consultum ultimum’, in V. Giuffrè (a cura di) Soliditas. Scritti in onore di Antonio Guarino, Vol. IV (Napoli 1984-85), 1941 ss. Si veda la letteratura più recente, C. Masi Doria, «Salus populi suprema lex esto». Modelli costituzionali e prassi del ‘Notstandsrecht’ nella «res pubica romana», in Id. Poteri magistrature processi nell’esperienza costituzionale romana (Napoli 2015), 1 ss.
[18]         Cfr. M. Donini, Il terrorista-straniero come nemico e le contraddizioni di una giurisdizione penale di lotta, in Quaderni Fiorentini. I diritti dei nemici. Vol. II, 38 (2009), 1699 ss.
[19]         Precisamente, la norma rientra nella categoria dei delitti di attentato che individuano la consumazione del reato molto prima del compimento dell’aggressione, sul punto v. M. Pellissero, Reato Politico e flessibilità delle categorie dogmatiche (Napoli 2000), 160 ss.
[20]         Si veda M. Donini, Il diritto penale difronte al «nemico», in Cass. pen. (2006), 735 ss., un’ ampia analisi sulle diverse tesi in relazione alla repressione del fenomeno terroristico è resa da F. Viganò, Terrorismo, guerra e sistema penale, in Riv. it. dir. e proc pen. (2006), 648 ss. Sulle distorsioni subite dall’ordinamento dalla logica del nemico pubblico v. F. Zumpani, Critica del diritto penale del nemico e tutela dei diritti umani, in Diritto e questioni pubbliche 10 (2010), 525 ss.; S. Lorusso, Sicurezza Pubblica e diritto emergenziale: fascino e insidie dei rimedi processuali, in Diritto Penale e processo 3 (2010), 269 ss.; S. Moccia, La perenne emergenza (Napoli 2011), 29 ss.; L. Ferrajoli, Diritto e ragione10 (Roma-Bari 2011), 853 ss., J. Agnoli, La logica dello Stato e il diritto alla ribellione, in Il delitto politico dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, in Aa. Vv. Il delitto politico dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri (Roma 1984).
[21]         Sul tema si guardi il lavoro di A. Amendola, L’emergenza globale tra normalizzazione ed eccezione, in A. Catania e G. Preterossi (a cura di), Forme della violenza e violenza della forma (Napoli 2007), spec. 100. L’autore sottolinea la trasformazione dei metodi di controllo dell’emergenza: scompare lo Stato reattivo perché l’azione dell’Autorità diventa proattiva, diretta al calcolo continuo della percentuale di rischio. Sul punto si veda anche E. Dinninger, Diritti dell’uomo e legge fondamentale, trad. it. (Torino 1998).
[22]         Sul punto si veda M. Caputo, Le misure urgenti per il contrasto al terrorismo, (D.L. n. 7/2015), in G. M. Baccari, K. La Regina, E. M. Mancuso (a cura di), Il nuovo volto della giustizia penale (Padova 2015) 77 ss., A. Cavaliere, Considerazioni critiche intorno al D.L. Antiterrorismo n. 7 del 18 febbraio 2015, in www.penalecontemporaneo.it .
[23]         Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione non offre criteri utili a compiere questi distinguo. Precisa solo la necessità di realizzarli: «Nel caso in esame, essendo il reato consumato incentrato su un evento (per quanto detto, il serio accordo) altamente pericoloso, è da ritenersi tollerabile e identificabile in concreto (ferme restando le complessità probatorie) una progressione (nell’attività tesa alla promozione e alla realizzazione dell’accordo) tale da integrare la soglia di punibilità della condotta, con l’ovvia necessità di distinguere i caratteri del tentativo punibile rispetto alla attività di mero proselitismo o di libera manifestazione del pensiero (circa tali aspetti Sez. I n. 4433 del 6.11.2013, dep. 30.1.2014) e con l’altrettanto avvertita necessità di confrontarsi con le scelte di incriminazione operate dal legislatore e relative a fattispecie analoghe (art. 302, art. 414 c.p.).»
[24]         Cfr. A. Tatarano, Nuovi profili autoritari nel diritto (non solo) penale: lo stadio, la piazza, il processo, in Critica del diritto, n. 1 (2014) 46 ss.; S. Moccia, La perenne emergenza2 (Napoli 2011), 29 ss., P. Raffone, La brutta china dello stato di eccezione, in Limes 11 (2015), 171 ss. Suggestivo è il punto di vista dell’operatore giuridico impegnato nella fase di esecuzione di pena, sul punto si veda S. Verde, Massima sicurezza. Dal carcere speciale allo Stato penale (Roma 2002), 159 ss.
[25]         Cfr. G. Orwell, 1984 , trad. it, (Milano 2015), 200 ss.

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