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L’inferno dei migranti di Calais tra stupri, sgomberi e ronde xenofobe

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 A Calais l’unico diritto rispettato è il diritto alla repressione

La strada che porta alla “Giungla” di Calais è una strada fangosa piena di buche e macchie di cespugli bassi che s’arrampica verso il cielo e poi ridiscende in una sorta di no man’s land. Per chi non si fosse mai addentrato su queste stradine melmose battute dal vento, dalla pioggia e dalla salsedine trasportata dalle nuvole verso l’entroterra, sembra che il mare sia prossimo ma in realtà il mare non si vede. Si vedono solo alte cancellate, fossati, barriere metalliche, camionette dell’esercito e della gendarmeria in divisa antisommossa che circondano una foresta di tende, container, camper e capanne improvvisate, il più grande campo di migranti d’Europa. Oltre 6.000 persone di cui almeno 600 donne e trecento minori secondo le stime fornite dalle ong che lavorano sul campo. La Giungla è anche il campo rifugiati più militarizzato d’Europa. I binari del treno, le autostrade, i camminamenti, i ponti, le stradine, tutti gli accessi sono bloccati e protetti da barriere, reti e cancellate invalicabili simili a quelle che si ergono a Melilla e a Ceuta. La Fortezza Europa è ora dentro l’Europa stessa.

Le autorità avevano addirittura previsto di costruire un profondo lago artificiale nei pressi dell’autostrada per impedire ai migranti di avvicinarsi al terminal dei ferries che vanno verso l’Inghilterra. Per quale motivo un lago artificiale? I più cinici pensano che sia meglio che i migranti anneghino qui dove è facile recuperarli che nella Manica, dove soprattutto durante l’inverno, vuoi per le correnti, vuoi per il mare grosso, le operazioni di soccorso sono sempre difficili. Una cosa è certa pero’. Le bianche scogliere di Dover da qui non si vedono. La Giungla è una prigione di fango e melma senza via d’uscita. Il tempo è inclemente, il gelo tiene migliaia di persone in una terribile morsa, i punti d’acqua sono scarsi, il numero di bagni insufficiente, le condizioni di vita degne di un paese sottosviluppato. L’orizzonte dei migranti è solo un cielo basso e piovoso, greve di nuvole minacciose e gas lacrimogeni che non promettono nulla di buono.

Lo sgombero della parte sud della Giungla

La decisione era nell’aria ed è caduta come un macigno il 25 Febbraio scorso. Valérie Quemener, giudice del tribunale amministrativo di Lilla, che aveva visitato il campo dopo un esposto di dieci associazioni che s’opponevano allo sgombero di questa sezione della Giungla, ha convalidato l’evacuazione dando ragione al governo francese. Dietro, c’è anche una guerra di cifre. Quante persone vivono nella parte sud della Giungla? Per la prefettura solo 800-1000 persone. Per le associazioni molte ma molte di più: almeno 3.450 secondo l’ultimo censimento effettuato il 21 Febbraio scorso. La discrepanza è troppa. Poco importa perché malgrado l’esposto l’evacuazione è partita. Battaglioni di poliziotti in tenuta antisommosa hanno investito i luoghi con l’ausilio di bulldozer e ruspe abbattendo capanne e tende, espellendo di forza gli occupanti e lasciandoli al gelo dell’inverno.

Per François Quennoc, segretario di una delle associazioni storiche qui si occupano di migranti, L’Auberge des Migrants, l’operazione messa in atto dalla polizia è “come una pugnalata alle spalle”. In effetti la prefettura aveva annunciato una proroga per permettere alle ong di gestire al meglio l’accoglienza della nuove famiglie senza tetto. Ed invece tutto è precipitato con il risultato che i rifugiati in pieno inverno dormiranno all’addiaccio in altri campi, oppure lungo il litorale, oppure nel centro città. Dall’altro lato i militanti No Border, circa 150, hanno attaccato in segno di protesta le forze di polizia con lancio di pietre e barre di ferro ed hanno incendiato alcune capanne sgombrate dalla polizia. Per tutta risposta sono partiti gli spruzzi di cannoni ad acqua e lancio di granate stordenti e gas lacrimogeni. La Giungla, già teatro di uno spettacolo desolante, si è trasformata in un campo di battaglia.

Spedizioni punitive, violenze poliziesche, volontari minacciati

La situazione nella Giungla è in realtà già esplosiva da mesi e l’evacuazione forzata è solo l’ultimo atto di una tragedia che è sotto gli occhi di tutti. Gli attentati ed i fatti di Colonia (pur completamente ridimensionati) hanno fatto precipitare le cose. La popolazione locale non vede oramai più di buon occhio i rifugiati. L’accoltellamento di un ragazzo che si è rifiutato di dare una sigaretta il mese scorso ha provocato scontri violenti con la polizia e con i migranti. Dopo quell’incidente, groppuscoli di estrema destra hanno cominciato ad organizzare “ronde serali” attorno alla Giungla. Spesso le ronde si sono concluse con sassaiole e spedizioni punitive.

A farne le spese non solo i rifugiati (il 20 Gennaio scorso tre cittadini siriani sono stati picchiati da un gruppo di 6 persone in pieno centro a Calais) ma anche i volontari che lavorano nel campo. Minacce, furti di materiale, macchine bruciate, come racconta Christian Salomé, fondatore de l’Auberge des Migrants. I comitati cittadini ostili ai rifugiati, dal canto loro, fanno la voce grossa. Il collettivo Calaisiens en colère creato nel Giugno del 2015, è uno di questi.

La sua fondatrice, Sandrine Désert, spiega che lo scopo del collettivo è quello di difendere la sicurezza dei cittadini di Calais, non fomentare l’odio. “All’inizio eravamo una decina ad effettuare ronde la sera – spiega – poi la gente è aumentata. Noi purtroppo non possiamo controllare tutti”. Ma le accuse sono molto più gravi. Amine Trouvé-Bagdouche, responsabile dell’ong Médecin du Monde a Calais ha denunciato la chiusura di un’unità medica nella Giungla a causa delle minacce ricevute da gruppuscoli di estrema destra. La capanna di legno costruita da Médecin du Monde dove i medici solitamente curano i rifugiati è stata abbattuta a colpi di accetta. E questo in un campo che ha bisogno di medici come il pane: ogni visita dura in media tre minuti perché c’è troppa gente e troppi pochi medici, nel campo sono state reportoriate numerose patologie infettive (bronchiti, otiti, angine), dermatologiche (varricella, scabbia), infezioni e morti per annegamento durante i tentativi di passaggio.

Nonostante una situazione sanitaria deplorevole la violenza imperversa nel campo e fuori dal campo. “La polizia qui poi non va per il sottile”, spiega Amine. Nel solo Dicembre e Gennaio Médecin du Monde ha repertoriato 51 certificati medici legati alla repressione della polizia. Ematomi, fratture, slogature, colpi di flashball sul corpo, occhi infiammati a causa dei lacrimogeni. Violenza contro coloro che cercano di passare in Inghilterra ma anche arresto di coloro che si oppongono alle violenze della polizia ed altri tipi di pressione sui volontari approfittando dello stato d’emergenza oramai entrato a far parte della Costituzione francese. Un esempio, le macchine dei volontari prese dal carro attrezzi o multe salate sui parabrezza. “Qui l’unico diritto rispettato è il diritto alla repressione” chiosa Amine.

Stupri e violenze nella Giungla: la denuncia di Ginecologi senza frontiere

Non bastano le violenze che provengono dall’esterno. Ci sono anche quelle terribili dell’interno verso una popolazione femminile indifesa che rappresenta il 10% degli agitanti della Giungla e la cui fascia di età oscilla tra i 20 e i 30 anni. La denuncia è partita nei mesi scorsi dall’ong Ginecologi Senza Frontiere dopo una missione effettuata all’interno del campo. Le donne nella Giungla subiscono stupri, violenze o sono costrette per povertà o obbligate a prostituirsi per pagarsi il viaggio verso l’Inghilterra. Spesso queste gravidanze forzate conducono ad aborti in condizioni critiche che minacciano la salute delle donne. Secondo Richard Matis, vice-presidente dell’associazione, le donne subiscono violenze prima del loro arrivo, durante il tragitto ed anche dopo il loro arrivo. Gli stupri provocano la diffusione di malattie veneree mentre la mancanza d’igiene generale nel campo provoca infezioni vaginali ed urinarie.

Campo o discarica?

C’è poi un altro dato terribile e non secondario. Gran parte della Giungla sorge su una vecchia discarica in disuso. Migranti e rifugiati cioè vivono in mezzo a vecchi depositi di rifiuti. La discarica tra l’altro non è stata completamente bonificata. La zona è stata definita (secondo le normative europee che obbligano gli stati membri a repertoriare i siti industriali che presentano rischi maggiori d’incidenti) come zona «Seveso», il cui nome ricorda l’incidente, avvenuto il 10 luglio 1976, nell’azienda ICMESA di Meda, che causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube della diossina TCDD che investì una vasta area di terreni dei comuni limitrofi della bassa Brianza, particolarmente quello di Seveso. Una ragione in più per non costruire il campo in quel luogo. A Calais poi operano due industrie chimiche, Synthexim e Interor, industrie in cui si producono materiali dannosi per la salute umana e dove il rischio d’incendio o esplosione è molto elevato. Insomma come se non bastasse il luogo, infetto di per sé, le avverse condizioni climatiche, la violenza delle autorità e della popolazione locale, la Giungla di Calais puo’ dirsi un vero e proprio inferno e a tutti coloro che malauguratamente vi entrassero andrebbe ricordato il motto di Dante: “Lasciate ogni speranza voi ch’intrate”.

Marco Cesario da linkiesta.it

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