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Lettera aperta al ex capo della Polizia Gianni De Gennaro

Signor capo di gabinetto del ministro degli interni Giuliano Amato, vedo che una qualche rete di protezione si è subito aperta sotto il suo culo – perdoni il linguaggio familiare – e ha ammorbi-dito assai la sua caduta dal vertice della polizia di Stato. I giornali che annunciavano, martedì scorso, che lei era sì stato sostituito dal suo vice [e socio e amico, par di capire] Antonio Manganelli, ma allo stesso tempo destinato all’incarico più alto del ministero, hanno tralasciato di ricordare che sul suo capo pende un’accusa di «istigazione alla falsa testimonianza». Da quel che si è saputo, lei ha indotto l’ex questore di Genova all’epoca del G8, e chissà quanti altri dirigenti della polizia, a mentire ai giudici che stanno processando gli imputati per la «macelleria messicana» della scuola Diaz. Almeno, i magistrati genovesi pensano che lei lo abbia fatto, e pare abbiano una conversazione telefonica tra l’ex questore e un suo collega, a dimostrarlo. [Già, noi che in quei giorni, a Genova, eravamo dall’altra parte dei vostri manganelli «tonfa», non decidiamo a prescindere che qualcuno è colpevole e ne inventiamo poi le prove, come avete fatto voi].Lei mi permetterà di scusarmi intanto con i lettori, ai quali parrà che siamo un po’ ossessionati da Gianni De Gennaro, la cui faccia era sulla nostra ultima copertina e del quale abbiamo spesso e a fondo scritto negli ultimi sei anni. E confesso che sì, in un certo senso ne abbiamo fatto una questione personale. Perché eravamo di persona nelle strade di Genova e molti come noi erano di persona dentro la Diaz e nelle celle di Bolzaneto e una persona come noi era Carlo Giuliani. Lei era personalmente il capo della polizia, in quei momenti. Ma, per quel che mi riguarda, il fatto personale consiste anche nella circostanza – di cui ho già scritto una volta – che sono figlio di un poliziotto. Mio padre, Vincenzo, era quando morì «per causa di servizio» [si dice così] maresciallo della polizia stradale. Quel che è rimasto nella mia memoria, di quell’uomo in divisa grigioverde [all’epoca], è la sensazione di un limite. Mio padre era a suo modo influente, nei posti dove abbiamo abitato, e qualche piccolo vantaggio ne ricavava, e il comandare altre persone gli aveva lasciato addosso l’odore della caserma. Ma c’era un limite che non avrebbe mai valicato, quello della – non so come dire – obbedienza alla legge. Portava sempre la divisa, e non l’ho mai visto in borghese, perché ne aveva rispetto, e pretendeva il rispetto altrui.Ora, io non so in cosa consiste la rete che le si è aperta sotto per impedirle di farsi male cadendo, se la massoneria, gli americani di cui lei è tanto amico, una lobby potente dentro la polizia, delle carte che lei conserva in qualche buco segreto e che molti politici non vorrebbero mai fossero rese pubbliche, o semplicemente la corporazione che si crea tra politici e funzionali in cerca di riconferma e di cui il ministro Amato è un terminale, o la complicità dei giornalisti cui lei passa sottobanco informazioni. Certo deve essere una rete robusta, per fare arrabbiare i prefetti, i quali sostengono che un poliziotto non era mai arrivato all’incarico di capo di gabinetto del Viminale per la semplice ragione che è meglio evitare accumuli di potere, in una democrazia. Forse tra vent’anni History Channel le dedicherà una monografia intitolata «Tutti gli amici di Gianni De Gennaro», e allora sapremo, se saremo ancora vivi, per quale miracolo della fisica lei rimane sempre a galla.Ma quel che è certo fin da ora è che lei quella divisa diventata nel frattempo blu non l’ha rispettata. E non ci vogliono i giudici, a deciderlo: anche se non guasta che qualche verità venga a galla, contro ogni abitudine di un paese in cui nessun poliziotto è stato mai condannato per aver ucciso a colpi d’arma da fuoco un manifestante: tutti che inciampano e gli scappa un colpo. Genova è una ferita aperta: i media possono anche dimenticarsene, come lamentava giorni fa Marco Imarisio, redattore di un giornale, il Corriere della Sera, più smemorato di altri. Genova è una domanda sospesa sulla democrazia del nostro paese, e lo resterà anche se il centrosinistra promette e non istituisce la commissione parlamentare di inchiesta, e la sinistra radicale si spaventa di aver ottenuto la sua rimozione, accetta il suo vice come nuovo capo della polizia, e non protesta se lei resta in sella. E Genova è una macchia nella biografia delle forze dell’ordine, che lei e la sua lobby ai piani alti del Viminale continuerete a nascondere, invece di lavarla via.Guardi, capo di gabinetto, come per sei anni abbiamo inseguito la sua coda, continueremo a farlo per i prossimi sei, e se occorre per altri sei. Noi non valiamo gran che, siamo un piccolo giornale, però siamo tenaci. Fastidiosi come zanzare.
Pierluigi Sullo – direttore CARTA

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