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Le ragioni del conflitto sociale in Francia

Come spiegare il continuo rilancio della mobilitazione popolare in Francia? È una domanda che vale la pena porsi, in particolare in Italia dove la possibilità di questo tipo di mobilitazioni sembra estinta e irriproducibile.

di Salvatore Palidda

Il primo elemento per rispondere lo si trova nella sequenza di mobilitazioni che si è avuta in Francia. Senza risalire a tempi remoti (la rivoluzione francese, la Comune di Parigi, il Fronte popolare del 1936) va però capita la memoria di quella che si può chiamare non la nazione su cui si basa lo Stato, ma l’aggregazione popolare e la consapevolezza di avere diritti e di poterli conquistare (esito -a dispetto dall’assolutismo francese- di fatto maturato nella storia e memoria popolare).

È anche vero che ci sono sempre periodi in cui si ha l’impressione che la società sia narcotizzata, “in depressione” o come si diceva una volta “in riflusso”. Ma poi esplodono le grandi mobilitazioni. Ecco la sequenza delle principali dagli anni ’80 a oggi (non solo a Parigi).

1982-83: (dopo la vittoria di Mitterrand grazie al Fronte delle sinistre) mobilitazione e vittoria degli “OS-à-vie”, i non qualificati escludi dalla mobilità socio-professionale, quasi tutti immigrati.

1984: nasce SOS Racisme Touche pas à mon pot (contro il razzismo, l’antisemitismo e tutte le forme di discriminazione).

1984: Unica grande mobilitazione di destra: 1,5 milione (850 000 secondo il min. degli interni a Parigi per la difesa della scuola privata (ma solo dei cattolici) contro il progetto di legge socialista sulla scuola laica.

1986: cominciano le rivolte nelle banlieues; la prima è a Villurbanne, vicino Lione, e poi in quasi tutte le periferie francesi; è la rivolta della “posterità inopportuna” come suggerì Sayad (che aveva parlato anche di “enfants illégitimes” i figli illegittimi di una Francia che aveva voluto l’immigrazione ma dopo l’avvento del liberismo non voleva la posterità …); non solo i figli degli immigrati, ma in generale i figli della popolazione relegata nei quartieri popolati appunto le banlieues prima organizzate per riprodurre forza-lavoro (cfr. vedi link).

Gli anni ’80 sono anche quelli in cui comincia il terrorismo “islamista” e la “guerra di religione” aizzata dalla destra e anche dagli universalisti sciovinisti dell’ex-sinistra (compresi tanti celebri intellettuali fra cui Elisabeth Badinter, Taguieff e persino Noiriel – vedi link). Ma questa guerra -che piace a Macron e in generale va a favore della dinamica liberista alla francese- non riesce a spezzare l’unione popolare contro la deriva auspicata dal padronato e in genere dai dominanti; ricordiamo che il più ricco del mondo è diventato un francese e Macron ha fatto stanziare per questo quinquennio la gigantesca somma di 413 miliardi per il dispositivo militare. La cosiddetta “frattura sociale” e la “frattura religiosa” non impediscono l’unità dei lavoratori insieme ai giovani e alla maggioranza della popolazione, compresi il pubblico impiego. E contrariamente a quanto asseriscono i “nazionalisti -o sciovinisti- di classe” l’intersezionalismo (e cioè l’antifascismo, l’antirazzismo, l’antisessismo e in genere la pluralità di motivi per la lotta) non va contro la mobilitazione sociale di massa ma vi contribuisce.

1986: sciopero di 200 mila studenti (un milione secondo gli organizzatori contro il progetto di legge Devaquet (governo di destra in coabitazione con Mitterrand)

1987: sciopero ferrovieri

1988: mobilitazione in parte sindacale e di non sindacati degli infermieri (osteggiata dalla CFDT) ma molto importante perché innesca una dinamica di auto-organizzazione assai efficiente; c’è una sorta di “stati generali permanenti”, una sperimentazione molto significativa che resta nella memoria delle lotte di categoria anche perché in Francia la segmentazione eterogenea e discontinua e l’atomizzazione dei lavoratori è meno forte che in Italia; le economie sommerse e quindi il precariato e il nero esistono ma lungi dal 32% del PIL che abbiamo in Italia.

1990: manifestazione liceali contro legge Jospin e poi ancora nel 1994 contro il CIP (Contrat d’Insertion Professionnelle): prima mobilitazione degli studenti sullo “studio-lavoro”.

1995: contro la riforma della Sécurité Sociale (plan Juppé): due milioni di manifestanti (la difesa del servizio pubblico che in Francia la maggioranza della popolazione considera indiscutibile sin dai tempi del Fronte popolare che garantì anche le vacanze pagate e il salario minimo garantito)

2000: allo sciopero contro la chiusura dell’impresa i salariati minacciano di gettare acido in un fiume per attirare l’attenzione sulla loro sorte (una minaccia che oggi appare impossibile).

2002: sciopero della funzione pubblica contro la riforma delle pensioni (piano Fillon, governo di destra Raffarin). È la prima grande mobilitazione contro questa riforma liberista! Nel 2013, 180 manifestazioni in tutta la Francia riuniscono 1,13 milione di persone!

2006: nuova mobilitazione contro il contratto di primo impiego: fra uno e 3 milioni di manifestanti (alla prima manifestazione avevano partecipato 400 000 persone, dopo un milione e ancora dopo 530 000 secondo la polizia e 1,5 milione secondo i sindacati.

2009: 3 milioni di manifestanti per la più importante mobilitazione delle 4 giornate di sciopero organizzate dagli 8 sindacati contro la riforma delle pensioni.

2010: ancora scioperi e ancora 3 milioni in 239 città, 300 000 a Parigi in due cortei durante sei ore (secondo il min degli Interni 997 000 in tutta la Francia e 65 000 a Parigi)

2016: movimento contro la legge El Khomri (legge sul Lavoro -governo socialista Valls -Hollande pres.). Inizio di Nuit Début che occupa le piazze.

2017: movimento contro la legge lavoro 2 (per decreti – presidenza Macron).

2018: movimento ferrovieri

2018-2019: movimento Gilet gialli in tutta la Francia!!! (per una buona ricostruzione del movimento vedi qui). Una mobilitazione del tutto inedita, non interclassista, ma popolare e trasversale nel senso che riunisce anche tantissime persone che non hanno mai partecipato ad alcuna lotta in particolare nelle zone rurali. Si innesca così una dinamica collettiva in luoghi quasi mai toccati dalle mobilitazioni sociali e politiche. La perseveranza, la combattività e l’originalità della modalità del movimento che ogni sabato manifesta a Parigi è straordinaria, mette in scacco e certo lascia il segno anche nei confronti dei sindacati che sono sollecitati a riapprendere a mobilitarsi seriamente. In questa esperienza che dura quasi due anni matura un netto antagonismo contro i “poteri pubblici” e in particolare contro Macron. Il movimento rivendica la democrazia diretta, referendum e degli “stati generali” sulle principali questioni economiche e sociali. Macron tocca la più alta impopolarità e scatena una polizia feroce che provoca circa cinque mila feriti di cui molti gravi e alcuni morti. Per “calmare le acque” Macron concede un aumento di 100 euro sul salario minimo mensile garantito, la defiscalizzazione dello straordinario, l’esenzione di alcune tasse per le pensioni inferiori a 2 mila euro, ma rifiuta la reintroduzione della tassa sui ricchi che la maggioranza dell’opinione pubblica reclama. Le promesse annunciate da Macron sono poi riunite nella legge del dic. 2018 sulle misure d’urgenza economiche e sociali dell’ammontare di 10,3 miliardi.

2018: sciopero liceali contro la riforma del ministro fascista Blanquer

2019: movimento contro la riforma delle pensioni fra 806.000 manifestanti secondo la polizia e un milione e mezzo secondo diversi giornali

Dal 2018 al 2019 diversi movimenti sociali durante il settennato di Macron contro l’impoverimento generale dei servizi pubblici

2020:  Parigi prima grande manifestazione antirazzista promossa dal Comité “La vérité pour Adama Traoré” (forte partecipazione dei giovani delle banlieues della regione parigina) e poi altre.

2022: scioperi contro l’inflazione.

19 gennaio 2023 due milioni in tutta la Francia, 400 mila a Parigi contro la riforma delle pensioni: una mobilitazione di tutti i sindacati confederali, associazioni e di giovani che tornano in piazza anche il 21 gennaio e si prepara una nuova mobilitazione in tutta la Francia per il 31 gennaio

Questa sequenza mostra che in Francia le mobilitazioni economiche e sociali sono abituali e “cumulative” di esperienze di lotta sia per i partecipanti sia per i militanti delle varie organizzazioni. Vanno a far parte della memoria popolare e favoriscono le convergenze che trascinano anche le componenti moderate del sindacalismo insieme a quelle più radicali. Alla manifestazione del 19 e a quella del 21 la polizia francese ha cambiato postura rispetto alla modalità brutale che aveva adottato con il precedente capo della polizia di Parigi, sodale del ministro fascista Darmanin. Evidentemente Macron e il governo hanno avuto paura dell’escalation. Ma nulla esclude che la tensione aumenti visto che Macron viole a ogni costo questa riforma.

Come osserva qualche ricercatore la questione delle pensioni è sempre connessa all’evoluzione demografica e all’invecchiamento (che in Francia sono alquanto più limitate che in Italia, che è uno dei paesi con il più forte calo demografico e il più forte invecchiamento). Allo stesso tempo il degrado delle condizioni economiche e in particolare l’attuale aumento dell’inflazione inducono la popolazione a mobilitarsi decisamente contro riforme liberiste che il governo Macron pretende realizzare secondo una logica tutta subordinata al lavoro e quindi al produttivismo sin dal periodo scolastico (come in Italia). La Francia popolare non dimentica il diritto al “congé payé” (le vacanze pagate) e il diritto a servizi sociali pubblici conquistati col Fronte Popolare del 1936; la parola d’ordine è “la pensione quando ancora si può vivere bene” “non dopo la morte”. I diritti che il welfare francese aveva garantito sino agli anni ’80 (senza paragone con quanto si aveva in Italia) sono stati erosi; ma si può dire c’è ancora uno zoccolo duro che resta.

La rivolta contro la riforma del governo non riguarda solo l’età pensionabile, ma gli anni di contributi che vuole portare a 43 e soprattutto il fatto che penalizza ancora di più le donne e privilegia sfacciatamente i salari più alti. Perciò la NUPES pensa di lavorare a un suo progetto di pensioni che mira a una concezione della società fondata sull’uguaglianza, la solidarietà e l’effettivo rispetto dei diritti di tutti. Si tratta quindi della lotta per il miglioramento del lavoro per tutti e meglio pagato, con parità tra donne e uomini e quindi una buona pensione per tutti a 60 anni. Questa lotta ricorrente da venti anni si incrocia con quella per salvaguardare i servizi pubblici, i beni comuni e l’uguaglianza donne-uomini. Da vent’anni la scommessa aperta è: lasciare trionfare il liberismo o ricominciare a costruire una società giusta?

Cosa dire allora del confronto fra la Francia e l’Italia? Sappiamo bene che sino agli anni ’80 anche in Italia c’erano forti sindacati e una sinistra ancora non approdata alla conversione liberista. Ma dopo cosa è successo? Perché il liberismo ha trionfato in Italia certamente più che in Francia? Una risposta che sembra plausibile è che in Italia c’è stato un processo di destrutturazione economica, sociale, culturale e politica molto più profondo e devastante (in particolare per quanto riguarda le grandi imprese, quelle nazionali e i servizi pubblici). In Italia con la fine delle grandi e medie unità produttive e la contemporanea rassegnazione e anche in parte corruzione dei sindacati e della sinistra, si è approdati a una “atomizzazione” generalizzata. Basti guardare cosa rimane anche nelle grandi imprese come Fincantieri dove l’80% dei lavoratori sono instabili, cioè precari della miriade di imprese del subappalto. E lo stesso a seguito della segmentazione eterogenea e discontinua di ogni sorta di attività economica. Allo stesso tempo, la deriva della sinistra storica è stata sicuramente disarmante. La maggioranza degli intellettuali di sinistra sono approdati al dialogo con i think tanks del liberismo. Si pensi, fra altro, alla rivista Stato&Mercato che negli anni ’80 e ’90 pubblicava ampi saggi sull’economia informale senza mai dire nulla sul boom delle economie sommerse e quindi del precariato, del nero e del ritorno del caporalato, ma esaltava i “distretti”, il “made in Italy” e la “terza Italia” (come genialità Italia, senza alcun accenno al lato nero di questa genialità – vedi link).

Non a caso un altro aspetto significativo della differenza fra la situazione francese e quella italiana sta nella stessa storia che ha visto la fagocitazione dei sindacati italiani nella governance capitalista. Per esempio, in Francia non esistono patronati che sono stati una conquista più dei sindacati che dei lavoratori in Italia perché il servizio che offrono dovrebbe essere un servizio pubblico! Altro aspetto: l’ingresso dei sindacati italiani nei consigli di amministrazione soprattutto delle imprese statali e para-statali ma anche in quelli di casse di risparmio e tanti enti, è di fatto stato il campo del loro irretimento nella logica dominante e governativa e anche nei meccanismi di corruzione. In Francia i patronati non esistono e i sindacati sono presenti solo in alcune imprese ma solo alcuni e nel corso degli anni recenti di promozione della “cogestione” (condivisa soprattutto da CDFT e FO ma non dalla CGT qualche tranne eccezione). E non è neanche un caso che in Europa la Francia abbia uno dei più bassi tassi di sindacalizzazione (meno del 9% mentre in Italia ufficialmente si ha il 34,4 (vedi link). In realtà, arrogante per la forza che aveva nella sua ascesa e il sostegno pesante del padronato e della finanza, la governance Macron ha trascurato il “dialogo” con i sindacati e ora si trova davanti una grande mobilitazione.

Le destre hanno saputo sfruttare a pieno la deriva della ex-sinistra e lo sfacelo sociale e culturale. S’è imposto il cosiddetto furore di riuscire a tutti i costi, anche sulla pelle della famiglia (vedi il super-sfruttamento a domicilio), anche sfacendosi di cocaina nei cantieri, e ancora di più schiavizzando gli immigrati. Il furore di lavorare, guadagnare, sfruttare e consumare ha finito per disarticolare quasi dappertutto ogni dinamica collettiva in un paese con circa otto milioni di lavoratori che oscillano fra precariato, semi-nero e nero totale (ma i sindacati credono solo alle stime dell’Istat che riduce il sommerso a solo il 13%). I cosiddetti valori che allora hanno finito per egemonizzare la maggioranza della popolazione sono stati appunto la competitività in tutto e rispetto a tutti e anche a danno del compagno di lavoro o del vicino di casa. Lo spettro della povertà ben visibile in tutte le città incita a fare come i padroncini padani o meridionali, come i caporali,  perché mancano una sinistra e dei sindacati in grado di promuovere una dinamica collettiva di lotta per la conquista di condizioni di vita e di lavoro soddisfacenti.

Lo sconcerto che ha seminato l’ex-sinistra è tale che una parte del suo ex-elettorato è diventata anomica, cioè del tutto sregolata, destrutturata, può passare da sinistra a destra, alla post-politica o all’astensionismo che aumenta (vedi link). E si arriva così ad avere un governo eletto da neanche il 27% degli aventi diritto al voto, ma senza opposizione (a parte i balbettamenti del M5S che vorrebbe occupare lo spazio vuoto a sinistra).

È però vero che anche in Italia non mancano le resistenze, per esempio quelle dei lavoratori della logistica (anche tragiche come nel caso di Ahmed Abdel Salam durante il picchetto a Piacenza) e in altri casi, come per i NO-MUOS o i NO-TAV e ancora altri. Ma la convergenza delle lotte resta ancora difficile e l’espressione politica inesistente (contrariamente a quanto riesce a fare la NUPES in Francia malgrado le contraddizioni e difficoltà). È evidente in Italia che siamo in una congiuntura alquanto deprimente e che rischia di durare a lungo. Ma le Resistenze sono insite nello stesso istinto di sopravvivenza, si riprodurranno sempre.

NB: sui siti cairn.info e persee.fr si trovano tanti testi di ricerca sulle mobilitazioni sociali francesi

pubblicato anche su Effimera

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