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L’autocelebrazione di Minniti e Gabrielli

Come ogni anno, il 10 aprile scorso s’è svolta la celebrazione del 166° anniversario della creazione della polizia. Lo scenario e gli attori ne hanno fatto una delle più importanti occasioni istituzionali per cercare di riaffermare il ruolo della polizia come l’istituzione che si vuole cruciale nell’organizzazione politica della società, cioè dello stato.

C’erano tutti: dal presidente della Repubblica ai presidenti di Camera e Senato e ovviamente il ministro del Ministero dell’interno e il capo della polizia e tutti i vertici di tutte le polizie, delle forze armate e dell’autorità giudiziaria insieme a orfani, vedove, genitori anziani. La banda musicale che suona brani da Giuseppe Verdi a Ennio Morricone (presente e commosso).

E non mancavano i leader politici in ascesa. Colpo di scena: una poliziotta schierata nel plotone davanti alla tribuna sviene e il neo-presidente della Camera, Fico, si alza per fermare il ministro Minniti che aveva appena cominciato il suo discorso e che non lo riprende sino a quando la svenuta non si riprende. Applausi e allora Minniti e poi Gabrielli tengono i loro discorsi che, a parte la retorica abituale, meritano attenzione. Il ministro dell’interno ancora in carica vuole mostrare il suo senso dello stato affermando: “Le forze di polizia non hanno magliette … appartengono all’Italia. Non se lo dimentichi nessuno. I ministri passano, la polizia resta. Succede da 166 anni. Io aggiungo: grazie a Dio. …

L’ultima parola del ministro che passa e che ha avuto il privilegio di lavorare con persone straordinarie è: grazie, grazie, grazie”. Il suo discorso, di fatto, punta a mostrare innanzitutto che durante il suo mandato sono stati realizzati risultati straordinari, impensabili. Sbandiera quindi il dimezzamento degli arrivi di migranti che da due anni, a più riprese, ha ricordato di essere riuscito a ridurre in misura considerevole. Secondo lui: “un colpo straordinario ai trafficanti di esseri umani” …

Ovviamente, non dice nulla della censura e condanna dell’ONU e di tante ONG (fra le quali Amnesty, Medici senza Frontiere e altre) dell’accordo (o “sporco baratto”) che ha imbastito con la Libia dove si arrestano i migranti per conto dell’Italia e dell’Europa e si praticano su di loro “esecuzioni e torture”. Segue la lista dei successi delle attività delle forze di polizia e in particolare della polizia di stato. E qui Minniti sottolinea: “un risultato straordinario che l’Italia farebbe male a dimenticare”, come a dire: chiunque andrà al governo sappia che non c’è mai stato un ministro dell’interno migliore di me … insomma, una nota che suona come sorta di candidatura a tale dicastero di un governo di qualsivoglia colore.

“Nel 2017 –continua Minniti- si è registrato il più basso tasso di reati degli ultimi dieci anni … la sicurezza è comunque un sentimento e ha bisogno di prossimità da parte delle forze di polizia e di controllo del territorio … Vicinanza e rispetto dovuti anche dai cittadini … Nessun malinteso ideale giustifica chi lancia bombe carta con chiodi o chi colpisce carabinieri caduti a terra: sono atti criminali, punto e basta”. Le manifestazioni contro il G7, quelle dei No-Tav, No-tap e altre sembrano preoccupare non poco così come gli episodi del periodo elettorale “che ha visto inasprirsi il clima tra opposte fazioni”. Il capo della Polizia, commentando il bilancio delle attività nel 2017, ha ripreso un’opinione da tempo corrente fra una parte delle polizie (anche in Francia e altrove): “Troppo spesso [le polizie] sono bersaglio di atti violenti da parte di manifestanti le cui istanze dovrebbero essere risolte in altri contesti” … ci sarebbe stato un “inasprimento delle conflittualità che ha spesso trasformato le piazze in stanze di compensazione di ragioni contrapposte, in un mondo in cui a volte la polizia viene erroneamente percepita come controparte e non come garante del rispetto delle leggi”.

In altre parole, il prefetto Gabrielli sembra approfittare della congiuntura politica per avvertire il futuro governo che le polizie non vorrebbero essere usate per la gestione repressiva e violenta dei problemi economici e sociali. Ma, questa sorta di critica al potere politico ricorda anche l’abituale tattica dei vertici delle polizie così cercano di ottenere sempre più risorse e riconoscimenti … come dire: se ci rifilate il ‘lavoro sporco’ di guardia pretoriana dell’ordine economico, sociale e politico, allora dateci più poteri.

Nel contempo questo discorso che si vuole “illuminato” riflette il cambiamento delle polizie nel contesto “postmoderno”: non possono essere più solo l’arma del potere per affermare a tutti i costi e sempre l’ordine dei dominanti. Non basta più la sola legittimazione “dall’alto” (cioè da parte del potere istituzionale e politico). Conta sempre più anche la legittimazione “dal basso” (cioè da parte del popolo che sta con le polizie, a cominciare dai dominanti a livello locale, padroncini e anche caporali, ceti abbienti e cerchie sociali e di riconoscimento morale delle quali fanno parte gli stessi operatori delle polizie). Una legittimazione che tanto quanto quella dall’alto, ovviamente, è “a prescindere” se non sfacciatamente antitetica allo stato di diritto che si vuole democratico.

Ed ecco alcuni dati del bilancio operativo della polizia di stato:

“… oltre 8,7 milioni di chiamate al 112 e reindirizzate al 113; 970.294 gli interventi; oltre 4 milioni di persone e più di 7,6 milioni di veicoli controllati; 15.977 arresti, 71.050 denunce; 35.608 perquisizioni e 33.290 sequestri. Seguono in dettaglio i dati relativi ai diversi tipi di delittuosità repressa e quindi agli arresti ecc. A questi numeri si aggiungono quelli vantati dalle altre polizie dello stato e anche dalle polizie municipali/locali. Non affronto qui l’analisi di questi dati in quanto tali del tutto insignificanti ma che evidentemente servono a impressionare il pubblico dei “non addetti ai lavori”.

Ricordiamo, en passant, che ancor di più da quando l’orientamento dell’opinione pubblica è diventato cruciale per la legittimazione dei poteri istituzionali e politici, le statistiche della cosiddetta delittuosità hanno acquisito una sempre più rilevante ed evidente valenza politica.

Ogni anno, governo con il ministero dell’Interno, i vertici delle polizie, come l’autorità giudiziaria con le inaugurazioni dell’anno giudiziario, tutti prestano sempre più attenzione alla divulgazione di queste statistiche. Così, questa pratica è diventata un’ossessione, quella dei numeri, delle cifre, mania a cui in Francia, con Sarkozy, è stato dato il nome di sarkometro.

In altre parole, il neoliberismo s’è imposto nelle attività delle polizie (come in tutta la pubblica amministrazione) obbligando ad un aumento della produttività che si traduce in “più arresti, più penalità”, a discapito della prevenzione e della gestione pacifica dei problemi economici e sociali. Il “balletto” dei numeri è di fatto alquanto tragicomico: chiunque va al potere tende ad accentuare oppure a minimizzare l’andamento della delittuosità.

In realtà, le statistiche della cosiddetta delittuosità sono quindi nient’altro che la misura della sola attività repressiva delle polizie, ossia di ciò che le polizie vogliono vedere e vogliono reprimere per loro diretta iniziativa o su segnalazione di abitanti. Su input del potere nazionale e/o delle sollecitazioni degli imprenditori del sicuritarismo e dei cittadini zelanti della tolleranza zero, la maggioranza degli operatori delle polizie usano il potere discrezionale loro conferito sino ad approdare in alcuni casi al libero arbitrio. Così, un ragazzo con uno spinello può anche essere arrestato come spacciatore, un giovane che tenta di scappare fuori dal supermercato con una bistecca da 2,50 euro e cerca di divincolarsi dalla guardia giurata che lo pesta è arrestato per rapina, un povero che ruba due wurstel da due euro è condannato anche in appello nonostante il PM chieda di assolverlo perché l’avvocato del supermercato insiste asserendo che “se non si adotta una condanna esemplare in un periodo di crisi tutti i barboni penseranno di poter rubare impunemente” (tutti fatti resi noti da qualche onesto giornalista).

Nelle operazioni di ordine pubblico le vittime delle violenze poliziesche e gli arrestati sono quasi sempre le persone più pacifiche e non abituate a scappare e dopo quelle schedate come “sovversivi” o addirittura “anarchici insurrezionalisti”.

La persecuzione dei NOTAV è paradigmatica della difesa assoluta e di principio di un’opera sfacciatamente inutile e dannosa ma che il potere impone arrivando a voler criminalizzare chi vi si oppone come terroristi. E lo stesso accade ogni volta che c’è da ristabilire l’ordine turbato da immigrati (si pensi fra altro all’operato della polizia a Rignano e a p.za Indipendenza a Roma). E’ peraltro assai goffo che il prefetto Gabrielli giochi ad apparire illuminista democratico mentre non solo garantisce impunità ai condannati definitivi per torture di persone peraltro del tutto inermi al G8 di Genova, ma invoca anche solidarietà ai poliziotti feriti durante la gestione violenta dell’OP quando è noto che fra i reparti mobili sembra abbondare la quota neo-fascista se non neo-nazista sempre pronta a usare metodi assai muscolosi.

E’ vero che nei ranghi delle polizie ci sono persone che cercano sinceramente di difendere lo stato di diritto democratico, i deboli e le vittime dei diversi reati. Ma sono spesso frustrate e a volte persino perseguitate da colleghi e soprattutto dirigenti che mirano a ben altri interessi. Si capisce allora che raramente le attività delle polizie colpiscono i reati dei colletti bianchi, cioè dei dominanti a livello locale e nazionale e ancora più raramente i reati commessi da operatori delle forze di polizia (sui quali non esistono statistiche, ma c’è spesso garanzia dell’impunità).

Al pari delle polizie di altri paesi, infatti, quelle italiane seguono l’orientamento dettato dal discorso dominante sulla sicurezza: i “nemici sociali” e politici sono il cosiddetto terrorismo pseudo-islamista, la sovversione di ogni agitazione sociale che osa opporsi a grandi opere e misure neoliberiste, gli immigrati e ogni sorta di marginale. Quasi del tutto ignorate, invece, le insicurezze che colpiscono la maggioranza della popolazione, cioè i rischi di disastri sanitari, ambientali ed economici (fra cui neo-schiavitù, corruzione ecc.). Nessuno dice che polizie e forze armate avrebbero tanto da fare se insieme alle agenzie di controllo (isp. del lavoro, asl ecc.) si impegnassero regolarmente e massicciamente nella tutela delle popolazioni vittime di rischi di tali disastri.

Per esempio, nessuno dice che nei feudi della Lega e delle destre, ma anche di una parte del PD, la schiavizzazione degli immigrati è sempre in auge e la loro razzializzazione serve appunto a disporne a tale scopo (si veda fra altri, i casi della Valle della gomma/Sebino (BG-BS), il caso della “mafia padana” anche nei cantieri di Milano e quello dei braccianti Sikh alla mercé del caporalato protetto (con anche attacchi mafiosi al sociologo Ormezzolo da parte dei fascisti leghisti e di FdI del Lazio/).

Com’è noto, l’aspetto apparentemente paradossale e più assurdo del sistema delle polizie in Italia è la perpetua pluralità di corpi, di strutture, dispositivi e “specialità”, con uno spreco enorme a fronte di una stessa “produttività” deludente. Nessun governo ha mai osato adottare una razionalizzazione democratica di questo particolare apparato dello stato.

Dal 1945 tra potere politico e polizie s’è sempre imposto un patto inossidabile, ossia lo scambio fra fedeltà al governo e autonomia e privilegi di ogni forza di polizia. Ne consegue che il rapporto fra potere politico e polizie si attesta in una situazione di relativa soddisfazione reciproca e rinuncia di effettivo controllo politico di queste ultime. Ciò è ancor più scontato quando la legittimità popolare dei politici è alquanto debole o del tutto scarsa, mentre i vertici delle polizie cercano di fare di tutto per mostrare di essere “popolari”, integerrime e “capisaldi dello Stato”.

Non mancano peraltro i diversi casi di politici che puntano ad accattivarsi le simpatie dei vertici delle polizie per avere coperture di qualche loro maldestrezza, così come casi di simili derive da parte di dirigenti delle polizie e delle forze armate, il che aiuta ad alimentare l’interesse per coprire le reciproche malefatte. E nessuno intende rinunciare al “proprio orticello” e “cadreghe”.

Malgrado i periodi di obbligo di riduzione della spesa pubblica, ben poco si riduce delle risorse destinate alle polizie. Mentre tutta la pubblica amministrazione è stata sottoposta a ingenti tagli di bilancio, blocco delle assunzioni sino a provocare danni gravissimi per il futuro stesso del paese (si pensi al rischio di distruzione della sanità, della pubblica istruzione, delle università e peggio della ricerca oltre che della politica industriale), gli unici settori che non hanno patito questo tipo di misure sono quello della sicurezza e quello degli affari militari (in particolare grazie al PD diventato principale referente politico della lobby militare e di polizia).

Salvatore Palidda

Per approfondimenti:

– 2018. Resistenze ai disastri sanitari, ambientali ed economici nel Mediterraneo, http://www.deriveapprodi.org/

– 2017. Polizie, sicurezza e insicurezze ignorate, in particolare in Italia, Revista Crítica Penal y Poder
2017, no 13,
Octubre (pp.233-259) http://revistes.ub.edu/index.php/CriticaPenalPoder/article/download/20385/22504

– 2015. Violenze e tortura nel frame delle guerre permanenti della postmodernità liberista, in Per uno Stato che non tortura, Milan: Mimesis (https://www.academia.edu/33907505/Violenze_e_tortura_nel_frame_delle_guerre_permanenti_della_postmodernit%C3%A0_liberista)

– 2010. Razzismo democratico: la persecuzione dei rom e degli immigrati in Europa, http://www.agenziax.it/wp-content/uploads/2013/03/razzismo-democratico.pdf (anche in spagnolo, francese e inglese)

2000. Polizia postmoderna. Etnografia del nuovo controllo sociale, (monograph): https://infodocks.files.wordpress.com/2015/01/salvatore-palidda-polizia-postmoderna.pdf    and http://www.scribd.com/doc/124193247/Salvatore-Palidda-Polizia-postmoderna)

– 2015 Italian Police Forces in the Neoliberal Turn. European Journal of Policing Studies, 2015, 3, 1, 52-78; https://www.academia.edu/31446052/The_Italian_Police_Forces_into_Neoliberal_Frame_An_Example_of_Perpetual_Coexistence_of_Democratic_and_Authoritarian_Practices_and_of_Anamorphosis_of_Democratic_Rules_of_Law

2007 Missions militaires italiennes à l’étranger : la prolifération des hybrides, “Cultures & Conflits”, 67, 2007, on line 04/01/ 2010: http://conflits.revues.org/3126

Continuità nella sperimentazione delle pratiche violente del G8 di Genova e ripresa delle dinamiche collettive antiliberiste, in Black bloc. La costruzione del nemico, edited by C. Bachschmidt, Fandango Libri, Rome: 2011, pp.61-74

– Appunti di ricerca sulle violenze delle polizie al G8 di Genova, “Studi sulla questione criminale” – Dei delitti e delle pene”, Vol. 3, Nº.1, 2008 , pp. 33-50, https://www.academia.edu/716477/Appunti_di_ricerca_sulle_violenze_delle_polizie_al_G8_di_Genova

– Anamorfosi dello Stato. La gestione dell’ordine in Europa: https://www.alfabeta2.it/2016/05/29/12960/

– Sulla polizia postmoderna e la violenza https://www.alfabeta2.it/2014/05/11/sulla-polizia-postmoderna/

– G8 Genova 2015 fra ignoranza e falsificazioni: https://www.alfabeta2.it/2015/04/12/g8-genova-2015-fra-ignoranza-e-falsificazioni/

– La polizia francese, pratiche razziste e violenza neocoloniale: https://www.alfabeta2.it/2017/03/04/neo-nazionalismo-caso-della-francia/

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