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L’assurda detenzione in Francia del No Tav Emilio Scalzo

L’incomprensibile detenzione del No Tav Emilio Scalzo in Francia. Raggiunto da un mandato di arresto europeo, utilizzato in genere per reati di estrema gravità. I giudici italiani hanno rigettato il ricorso del suo avvocato contro il Mae.

di Damiano Aliprandi

«Giuro che non ho le ansie o il magone e non sono spaventato, sono pronto anche a una sentenza assurda, lo metto in conto. Ma ciò non toglie che delle volte mi guardo intorno e con il sorriso mi chiedo che ci faccio io qua dentro». È la lettera di Emilio Scalzo – rinchiuso da oltre un mese nel carcere francese di d’Aix Luynes per un mandato europeo – inviata a Chiara Sasso, con la quale ha scritto il libro “A testa alta”, dedicato al percorso di vita di Scalzo stesso. È pescivendolo e atleta, capace di farsi carico dei problemi dei suoi otto fratelli ( alle prese con mille peripezie, tra carcere e droga), ma prima di tutto punto di riferimento del movimento No Tav.

Ma come mai si ritrova recluso nel carcere francese? Al 67enne Emilio Scalzo viene contestato, dal Tribunale francese di Gap, il reato di violenza aggravata nei confronti di un gendarme, avvenuta il 15 maggio 2021 a Monginevro, durante una manifestazione in solidarietà con i migranti, molti dei quali sono morti e continuano a morire nel tentativo disperato di attraversare la frontiera.

Sulla base del mandato europeo, il 15 settembre 2021, Emilio è stato arrestato e trasferito nella Casa Circondariale Lo Russo e Cotugno di Torino. Il 16 settembre 2021, in sede di audizione, ha dichiarato di non prestare il proprio consenso alla consegna e di non rinunciare al principio di specialità. In data 23 settembre 2021, la custodia in carcere è stata sostituita con gli arresti domiciliari. Ma in un mese sono state avviate le procedure.

Il primo dicembre gli agenti della Digos sono andati a prelevarlo nella sua abitazione di Bussoleno, in val di Susa. In quell’occasione si è svolto un comizio di solidarietà «per denunciare la vergognosa operazione e per stare a fianco a lui e alla sua famiglia», avevano fatto sapere dal Movimento No Tav. Fra i partecipanti anche Michele Rech, meglio conosciuto come Zerocalcare: «Per lui c’è un mandato d’arresto per una cosa di cui tutti si riempiono la bocca, cioè la solidarietà con i migranti al confine», ha detto il celebre fumettista, aggiungendo: «Emilio questa cosa l’ha praticata, da sempre».

Dal tre dicembre è recluso nel carcere francese. Eppure Emilio nega di aver posto in essere l’azione che gli viene contestata. Afferma, e ritiene di poter provare, che si è semplicemente difeso dal tentativo dell’agente di colpirlo violentemente con il manganello, alzando un pezzo di legno raccolto a terra per ripararsi. Il gendarme si è fratturato il braccio, probabilmente perché aveva colpito il pezzo di legno.

Ribadiamo che l’attivista è stato raggiunto da un mandato di arresto europeo (Mae), un procedimento diverso dall’estradizione. È una pratica squisitamente giudiziaria.

Nel caso di Emilio, il mandato è stato richiesto dal Procuratore della Repubblica francese del Tribunale di Gap, sulla base di una misura cautelare. Il Mae è stato trasmesso alla Corte d’appello di Torino che, nonostante la motivata opposizione avanzata dal legale Danilo Ghia, ha ritenuto di applicare la custodia cautelare in carcere. In generale il Mae viene utilizzato per reati di estrema gravità.

Ma questo non è il caso di Emilio, al quale contestano il reato di violenza ai danni di un gendarme francese. Eppure, perfino la Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal suo avvocato. Prima dell’arresto di dicembre, l’avvocato Ghia ha presentato ricorso prima alla Corte d’Appello di Torino e poi alla Corte di Cassazione per chiedere la corretta applicazione degli articoli 24 e 20 della legge 69/ 2005, che disciplina il Mae. In particolare, l’articolo 24 prevede la possibilità che il Mae venga rifiutato, nel caso in cui l’imputato abbia a suo carico un processo nel Paese di origine. Ma niente da fare, ricorso respinto.

Eppure Emilio Scalzo è sotto processo anche in Italia per l’occupazione della Casa Cantoniera di Oulx, comune dell’alta Val di Susa. Lo spazio era nato nel 2018 sotto il nome di “Chez JesOulx” dopo lo sgombero del sottoscala della chiesa di Claviere, al valico del Monginevro. Uno spazio che ha operato per tre anni, poi sgomberato, risultato fondamentale per l’assistenza dei migranti. In sostanza rispondeva a un bisogno di assistenza che la rete istituzionale composta dalla Croce Rossa e dal rifugio Fraternità Massi non riusciva a soddisfare. Ciò era reso ancora più evidente dal mutamento nella tipologia di persone che tentavano di attraversare il confine. Infatti dal 2020 la Val di Susa diventa un luogo di passaggio della cosiddetta “rotta balcanica”, ossia quel percorso di migrazione che vede l’arrivo in Europa attraverso i Balcani.

Emilio Scalzo dovrà pagare anche per questo. Come ha scritto recentemente Luigi Manconi, «le sue colpe sembrano quelle che derivano inevitabilmente dal lottare contro i mulini a vento, che qui, tuttavia, corrispondono a poteri fortissimi e a politiche inique»

da il dubbio

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