L’Argentina concede l’estradizione per l’ex Br Leonardo Bertulazzi
- luglio 02, 2025
- in misure repressive
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La corte suprema argentina ha dato il via libera alla estradizione verso l’Italia di Leonardo Bertulazzi, ex Br riparato in America Latina, prima in Salvador poi in Argentina fin dai primi anni 80. La polizia lo ha già prelevato per condurlo negli uffici dell’Interpol. La decisione della corte suprema e l’immediato intervento della polizia imprimono una accelerazione alla vicenda con l’evidente obiettivo di forzare la decisione sul rifugio, o addirittura aggirarla, ovvero la richiesta di ripristino dello status di rifugiato politico (che impedirebbe l’estradizione). Status che gli era stato revocato con un’azione di forza dal governo del neofascista Milei, amico della presidente del consiglio italiano Meloni.
Si tratterebbe, a quanto si apprende, di una conseguenza della riforma varata da Milei lo scorso ottobre che prevede la revoca dell’asilo agli accusati di terrorismo. Non è ancora chiaro se l’eventuale ulteriore conferma dello status da parte del Conare (il Consiglio nazionale per i rifugiati) possa o meno avere conseguenze sull’estradizione.
In Italia, comunque, l’ex brigatista potrebbe chiedere un nuovo processo e, nel caso decidesse di farlo, dalla procura di Genova (competente sul caso) non arriverebbero opposizioni di sorta: questa condizione era stata messa nero su bianco dagli inquirenti liguri il 26 settembre del 2024, quando il governo italiano aveva avviato la richiesta di estradizione. Nel nuovo dibattimento italiano – che si svolgerebbe con le regole del rito accusatorio – e l’imputato potrebbe presentare nuove prove.
«Io ho lottato per un presente diverso. Nel giudicare il passato, non si può prescindere da questo presente, che è quello a cui hanno condotto coloro che ci hanno sconfitto. Non regalerò un mea culpa ai guerrafondai, a quelli che hanno provocato il rigurgito fascista», aveva detto Bertulazzi a marzo in un’intervista al manifesto.
Ma non è ancora detta l’ultima parola sulla sua consegna. «Abbiamo buone aspettative – spiega il suo legale Rodolfo Yanzón -, chiediamo di sospendere urgentemente qualsiasi misura di estradizione finché non verrà presa una decisione sul suo status di rifugiato».
La questione pende ancora davanti al Conare (la Commissione nazionale per i rifugiati) e non ci sono tempi certi per una risposta. Il punto da chiarire riguarda la retroattività della riforma del diritto d’asilo voluta dal presidente Javier Milei nell’ottobre dell’anno scorso, secondo la quale è possibile revocare lo status a chi è stato condannato per fatti di terrorismo. Bertulazzi, in Argentina dal 2002, era stato arrestato già a settembre del 2024, dopo l’arrivo della richiesta di estradizione da parte delle autorità di Roma, due mesi più tardi gli sono stati concessi i domiciliari con bracciale elettronico. «Dare esecuzione immediata al provvedimento – conclude l’avvocato Yanzón – sarebbe uno scandalo».
Il sospetto è che la Corte suprema abbia deciso di forzare i tempi per prevenire il futuro intervento del Conare. «La velocità con cui hanno preso la decisione è eccezionale- dice al manifesto Bettina Kopcke, la moglie di Bertulazzi -. Anche se poi sono gli stessi giudici a dire che questa sentenza non ha niente a che vedere con la questione del rifugio. Vedremo. Io spero di poterlo vedere presto, ma non so dire quando…».
C’è in sottofondo una palese questione politica: il governo italiano, a più riprese, ha annunciato la sua intenzione di andare a riprendere in giro per il mondo i condannati per terrorismo ancora latitanti e Bertulazzi è ai primi posti della lista dei ricercati. Il rapporto tra Roma e Buenos Aires, cioè tra Meloni e Milei, è particolarmente buono e già, nel gennaio del 2024, il ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva accontentato una richiesta che proveniva dall’altra parte dell’oceano Pacifico dicendo no all’estradizione di Franco Reverberi, un sacerdote implicato nei crimini della dittatura militare negli anni Settanta. Da qui l’insistenza sul caso Bertulazzi, impropriamente definito dalla destra argentina (e non solo) come uno dei protagonisti del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro. Il motivo? I soldi usati per pagare il riscatto di Pietro Costa vennero usati dalle Brigate Rosse nel 1978 per acquistare l’appartamento dove venne tenuto prigioniero il presidente della Dc. Tanto basta per fare di Bertulazzi, esponente di secondo piano della colonna genovese, uno dei capi dell’organizzazione.
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