La storia di Moses. Così l’Italia respinge arbitrariamente i migranti.
Moses: espulso subito dopo lo sbarco nel porto di Taranto, tra misure inconstituzionali e hotspot informali.
“Sono arrivato il 7 dicembre del 2015 dal porto di Taranto. Lì tutti parlavano soltanto italiano. Nessuno ha parlato con me in inglese o nella mia lingua. Non ho saputo come chiedere protezione. Ho soltanto messo la mia firma su diversi fogli ma non saprei dire cosa ci fosse scritto”. È il racconto reso il 18 dicembre da Moses, 25enne di nazionalità nigeriana, davanti al giudice della seconda sezione civile del tribunale di Bari, Maria Rosaria Porfillo, che era stata chiamata a pronunciarsi in relazione al provvedimento di respingimento disposto dal Questore di Taranto e al successivo decreto di trattenimento firmato dal Questore di Bari.
L’udienza di convalida del provvedimento si è svolta lo scorso 18 dicembre nei locali del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Bari, dove l’uomo è recluso dal 7 dicembre. All’indomani è giunta la sentenza. Sussiste una gravissima violazione degli articoli 13 e 24 della Costituzione è scritto così nel decreto di pronunciamento. In pratica – secondo il giudice ordinario – le questure di Bari e Taranto avrebbero violato la libertà personale di Moses, dato che in Italia, come recita la carta costituzionale: “non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Non solo. Poiché la difesa è un diritto inviolabile “in ogni stato e grado del procedimento” e il nostro ordinamento riconosce e assicura anche ” ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione” sono stati considerati illegittimi, sia il provvedimento di trattenimento firmato dal questore di Bari, che il provvedimento di respingimento del questore di Taranto.
In particolare, si giudica quest’ultimo atto come “affetto da microscopici vizi di legittimità e di merito”. Perché non è stato tradotto nella lingua madre dello stesso né in lingua veicolare conosciuta (nella fattispecie la lingua inglese) e perché nella traduzione della notifica “non vi è corrispondenza tra i motivi ivi espressi per il respingimento – sottrazione ai controlli di frontiera – con le motivazioni del respingimento contenute nell’atto amministrativo notificato all’uomo, e cioè quello di essere “uno straniero non rientrante nelle categorie di soggetti protetti”. In quanto tale, dunque non meritevole di protezione internazionale.
Inoltre, visto che non è indicata specificatamente l’autorità giudiziaria competente a decidere sull’eventuale opposizione al decreto di respingimento, “non potendo l’uomo essere autonomamente a conoscenza del riparto di giurisdizione, dato il complesso ed elefantiaco sistema giudiziario italiano, essendo giunto in Italia lo stesso giorno in cui gli è stato notificato il provvedimento del Questore di Taranto, il 7 dicembre”; per tutti questi motivi il giudice ordinario del tribunale di Bari (Got) ha disposto “l’immediata cessazione degli effetti della misura”. Moses ora è libero, grazie anche alla memoria difensiva e di ricostruzione dei fatti presentata dall’avvocato che lo ha assistito, Dario Belluccio.
Restano sullo sfondo – a leggere i documenti prodotti dall’ufficio immigrazione della Questura di Taranto – diverse domande. Le stesse questioni già poste lo scorso 21 ottobre dall’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) in una lettera al Ministero dell’Interno. Ovvero: “dopo che il Consiglio europeo ha approvato nel settembre 2015 le decisioni sulla ricollocazione dei richiedenti asilo dall’Italia verso altri Stati dell’Unione europea, in Italia le forze di polizia e le autorità di pubblica sicurezza sembrano avere modificato le prassi circa il soccorso, l’identificazione e l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei migranti stranieri soccorsi e sbarcati”.
L’associazione di giuristi ha puntato il dito contro l’istituzione arbitraria degli hot spot (metodi o luoghi, la cui istituzione e attività è di per sé priva di alcuna efficacia giuridicamente vincolante in Italia perché nessuna norma italiana o dell’UE li precisa) e gli impegni presi dal Governo italiano nella Italy’s road map inviata il 15 settembre alla Commissione europea, impegni considerati privi di qualsiasi efficacia giuridica diretta nel diritto nazionale, essendo inseriti in un mero documento di lavoro, per di più riservato. “Tali nuove prassi adottate spesso comportano atti illegittimi e lesivi dei diritti di cui godono i migranti e i richiedenti asilo soccorsi in mare e sbarcati sul suolo italiano”, si legge ancora nella lettera e in cui si segnalano molti casi di provvedimenti di respingimento adottati dai Questori nei confronti di stranieri soccorsi in mare e sbarcati sul territorio italiano, attuati prima che potessero effettivamente manifestare la loro volontà di presentare domanda di asilo.
Provvedimenti adottati nell’ambito del cosiddetto approccio hotspot. In pratica, nell’ambito del piano redatto dal Governo italiano volto a canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettuate tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri.
A partire da settembre 2015, quattro porti italiani sono stati individuati come hotspot: Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e l’isola di Lampedusa. In ognuno di questi sono disponibili strutture di prima accoglienza con una capacità complessiva di circa 1.500 posti.
Luoghi nei quali operano le forze di polizia italiana, insieme ai rappresentanti delle agenzie europee Frontex, Europol, Eurojust. È qui che sarebbero poi distinti e qualificati come richiedenti asilo o migranti economici e a seconda di questo tipo di “catalogazione” sommaria sarebbero poi inviati alle strutture di accoglienza per richiedenti asilo, oppure sarebbero destinatari di un provvedimento di respingimento per ingresso illegale e poi lasciati sul territorio italiano. Altre due aree hotspot chiuse, atte a ricevere i cittadini di Paesi terzi, saranno pronte nei porti di Augusta e Taranto entro la fine del 2015, si legge nel rapporto governativo.
Ad ascoltare la storia di Moses sembra che nella città pugliese sia già attiva una logica di questo tipo. È il contenuto del decreto firmato dalla dirigente dell’ufficio immigrazione della questura tarantina, dottoressa Rossella Fiore a confermare questa ipotesi.
In esso si legge soltanto che: “il cittadino extracomunitario di nazionalità nigeriana è stato rintracciato al largo delle coste siciliane da personale della Marina Militare Italiana Aviere, nell’ambito dell’operazione Triton, al di fuori dei posti di frontiera autorizzati, dopo aver tentato di eludere il dispositivo di prevenzione degli sbarchi clandestini e subito dopo è sbarcato nel porto di Taranto”. Si rileva anche che l’uomo “ è stato ammesso nel territorio nazionale per mere necessità di pubblico soccorso e successivamente accompagnato in questa provincia”. Sulla base di queste scarne considerazioni e del foglio notizie consegnato all’uomo in cui è indicato soltanto il nome, il cognome, la nazionalità e null’altro, si è decretato: “il respingimento verso il paese di provenienza dello straniero”.
Dunque, ecco come in Italia si può respingere arbitrariamente un migrante, sotto l’ombrello semantico dell’approccio hotspot, nonostante il protocollo 4 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo consideri espressamente tali decreti come atto di espulsione collettiva. Poiché – come denunciato ancora dall’Asgi – nei porti in questione nessuno può verificare con certezza se prima dell’adozione di provvedimenti di respingimento o di espulsione lo straniero sia stato effettivamente informato in modo completo e in lingua a lui comprensibile del diritto di presentare domanda di asilo.
La storia di Moses e quelle di altre centinaia di migranti espulsi o respinti illegittimamente dal nostro Paese a partire da settembre impongono la necessità che il Ministero dell’Interno, come chiesto da Asgi già ad ottobre, modifichi “subito le prassi amministrative per garantire sempre i diritti di ogni straniero soccorso in mare e sbarcato”. Non solo. Che gli stessi possano ricevere informazioni complete e comprensibili sulla loro condizione giuridica; e non essere respinti o espulsi soltanto per la loro nazionalità. E nessun”altra motivazione.
Gaetano de Monte da dinamopress.it