La propaganda di guerra è propaganda di odio che divide popoli e costringe a schierarsi dalla parta di una bandiera: russi o ucraini, russi o amerikani.
I media occidentali sono perlopiù megafoni che assecondano le parate del potere, diventando corresponsabili delle azioni discriminatorie contro cittadini (persino bambini) russi.
Rifiutare questa logica, oltrepassare i confini nazionali, è il primo passo per liberarsi dalla gabbia delle bandiere nazionali.
In questo clima di terrore i dissidenti russi pagano un prezzo altissimo, soprattutto nella Russia di zar Putin.
Marchiati come «agenti stranieri» o criminali, decine di intellettuali, giornalisti, militanti, femministe vengono perseguitati, rinchiusi o uccisi.
La legge «anti-fake» proibisce la diffusione di notizie non conformi alla propaganda: si può essere condannati per «vilipendio dell’esercito russo» anche solo per aver scritto «No alla guerra» sulla neve.
Chi riesce lascia il paese, chi resta resiste e subisce la violenza di polizia ed estrema destra.
Putin e il suo sistema usano ancora i vecchi metodi del Kgb, come per esempio servirsi di piccoli criminali per brutalizzare i dissidenti.
Il dipartimento per il controterrorismo del ministero degli Interni trasmette gli indirizzi dei dissidenti agli attivisti di estrema destra che li fanno circolare nei loro ambienti politici e criminali.
Ogni giorno sui siti dei canali di estrema destra vengono pubblicati insulti e minacce accompagnati dagli indirizzi di casa dei dissidenti.
Sulle porte di casa dei dissidenti viene dipinta una grande Z bianca, per qualcuno la lettera dell’alfabeto latino indica “zapad”, ovest, la direzione di marcia dell’attacco all’Ucraina e nella guerra contro l’Occidente, per altri allude allo slogan bellico russo “za pabedu”, per la vittoria.
La grande Z bianca è diventata il segno di Putin, il simbolo della guerra esibito sulla fiancata delle auto e sulle bandiere sventolate dai seguaci del capo del Cremlino.
Non tutti i russi sono Putin, non tutti i Putin sono russi.
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