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La repressione del popolo sardo

Compagni di Ampi Orizzonti, senza ombra di dubbio va un grande ringraziamento a voi, poiché ci date l’opportunità di leggere l’opuscolo da voi redatto e allo stesso tempo ci permettete di rimanere aggiornati della situazione delle carceri in Italia. Io ho provato in questo mio umile scritto, a spiegare quanto ho sofferto e quanto hanno sofferto gli altri compagni di sventura che eravamo detenuti in quei periodi neri, certo non è che adesso è una pacchia, poiché vi è ancora tanto lavoro da fare e soprattutto da sopportare le ingiustizie che ci fanno.

La mia vita è stata un calvario, tutto ha avuto inizio nel mese di Maggio del 1979, le campagne della Sardegna erano in pieno rigoglio e il clima mite permetteva un esercizio sereno. Marieddu era un umile pastorello sardo. L’istruzione che aveva non era tanta e leggeva benino ma l’usare con dimestichezza la penna lasciava a desiderare. Non avevo tendenze politiche, anzi non conoscevo niente, nemmeno i nomi dei ministri che componevano il governo, conoscevo a malapena che il presidente della Repubblica era Sandro Pertini, se uno mi avresse chiesto chi è Sandro Pertini? Cosa avrei potuto rispondere? Non conoscevo niente della sua vita, come il fatto che era un partigiano, che era stato in prigione, a quei tempi la mia ignoranza era come un’immensa montagna sulle mie spalle, e certamente ancora oggi non posso affermare di averla vinta, quel peso enorme mi tiene ancora ancorato a terra, m’interessava soltanto il mio lavoro che era quello di andare dietro al bestiame che avevo in mezzadria, per me non c’erano giorni di festa, per me non c’erano domeniche, per me c’era soltanto lavoro e fatica, dall’alba fino al tramonto. Erano tre anni che non vedevo il mio paese d’origine Arzana con la luce del giorno. Dal mio ovile situato nel Campidano che distava poco più di 2 ore di macchina, facevo rientro circa una volta al mese, arrivavo verso le 21- 22. La mia povera Madre mi preparava da qualche giorno prima tutto quello che dovevo portarmi all’ovile, le provviste e il cambio vestiario e poi verso le 3 di notte di nuovo all’ovile. Ero dentro ad un cerchio magico, seppur con tanto sacrificio portavo avanti il mio lavoro con una tale serenità dentro, che il più delle volte mi meravigliavo io stesso, non sentivo nessuna stanchezza eppure il lavoro era tanto, era un lavoro per me piacevole per sentirne il peso, un lavoro che mi permetteva di fare dei progetti, mi volevo creare una famiglia, sposarmi avere dei figli.
Solamente che un Magistrato non gli piacevano le persone come me poiché li voleva tutti delatori, ed io avrò tutti i difetti di questo mondo, ma spia non sono e non lo sarò mai, spia si nasce e a me quello che mi hanno inculcato i miei genitori è soltanto l’onestà, ma Lombardini di tutto questo non ha voluto saperne e ha rotto quel cerchio magico che mi stavo creando. Un uomo che anche con il suo ultimo respiro ha voluto trasmettere a tutti quanto era vigliacco, negli interrogatori con i poveracci che tante volte incastrava con accuse costruite ad arte faceva il duro, la maggior parte ne avevano paura, anche se devo dire la verità con me avuto tutto un altro atteggiamento, e se un giorno vi capiterà di leggere la mia autobiografia “Decenni nel buco del Diavolo”, vi accorgerete che nella sua lucidità malvagia sapeva distinguere con chi osare e con chi rallentare la corsa verso la sua miserabile carriera, e se davanti si trovava un uomo vero, anche lui non era immune ad innervosirsi, perdeva subito la calma rendendolo una persona a volte volgare, e lo faceva in un modo da non poter nascondere quanto anche lui era fragile. Quando le sono state mosse accuse specifiche sul sequestro di Silvia Melis, ed ad interrogarlo è arrivato a Cagliari il Procuratore Caselli con altri Giudici da Palermo, gli è mancato quel coraggio che usava dall’alto del suo “trono”. Quando di fronte a se, vi erano persone che non sapevano nemmeno parlare faceva il gradasso. Io che ho affrontato il primo processo dell’anonima sequestri, mi sono reso conto quanta ignoranza c’era tra di noi imputati, e li la bestia se ne approfittava, che “coraggio!!!”, ma con il Dottor Caselli non è stato così arcigno. Poiché prima dell’interrogatorio ha chiesto di potersi appartare un minuto nel suo ufficio …si è sentito solo un botto, il vile con la sua 357 Magnum che usava per minacciare gli altri, si era sparato un colpo in bocca, questo è essere vigliacchi, uno deve sapere affrontare il peso delle sue azioni, e se ce da pagare non deve avere paura della sanzione, chi non può evitare la paura è colui che tantissime volte in Italia si vede sanzionare anche con pesanti condanne ed è innocente, ma lui non era nato con la stoffa da uomo duro, che cercava di dimostrare di essere quando aveva davanti uno sventurato.
Il 12 maggio venni tratto in arresto per il sequestro Bussi, venni condannato a trent’anni, ma prima del terzo grado di giudizio venni scarcerato per decorrenza termini, e mandato al confino all’isola di Ustica (PA), però nel mentre avevo preso confidenza con la penna, all’inizio scrivevo tante lettere ai miei più che adorati genitori, che loro ricevevano puntualmente dopo passata per la censura, le loro risposte erano ugualmente puntuali, ma per oltre un anno di isolamento totale non ricevetti mai le loro risposte, solo alla fine di quell’anno di torture e di indicibili privazioni me le consegnarono tutte insieme. Finito l’isolamento per passare il tempo leggevo libri di qualsiasi tipo (ero proprio affamato di lettura, eppure fino allora non ero stato mai attratto dai libri, per oltre un anno, l’unica cosa che potevo comprare era la settimana enigmistica, in quel lungo e interminabile tempo non lessi mai un quotidiano, una rivista o un libro e tanto meno ascoltare la televisione o la radio che non potevo avere), soprattutto dei comitati della sinistra, le lotte del 1968 che io non conoscevo per niente, erano terminate poco più di 10 anni. Vi erano le Brigate Rosse ed altri vari movimenti, come Prima Linea, Autonomia Operaia e Barbagia Rossa, proprio di quest’ultima organizzazione ho conosciuto vari imputati, ascoltavo i loro discorsi, ero affascinato da quel mondo, poiché erano e sono persone che hanno lottato per un ideale, mi sono avvicinato a loro, vedendolo come un mondo dove molta gente metteva a repentaglio la sua libertà alle volte la sua vita, per cercare di migliorare la vita del popolo, fare qualcosa non per interessi propri, così io li vedevo e li vedo tutt’ora, allora non vedevo un mondo pieno di egoismo come lo vedo oggi. Seppur non potevo partecipare fisicamente alle loro azioni leggevo con passione ogni loro impresa che facevano… dentro il mio cuore pensavo, con il cuore e con la mente sono uno di loro.
Dopo anni mi portarono ad Ustica a soggiorno obbligato ero uscito in scadenza termini, non ci ho messo più di tanto e sono scappato, mi hanno preso dopo 10 mesi nell’Appennino Tosco-Emiliano, custodivo il sequestrato Ingegnere Gazzotti Eugenio, capitò un conflitto a fuoco, lui morì, il figlio scappò ed io rimasi gravemente ferito, fatto sta che era il mese di Aprile del 1987, mi diedero l’ergastolo (normale) anni e anni dopo diventato ostativo, perché in Italia non c’è rispetto né delle sentenze definitive e tanto meno della Costituzione, nella prima metà anni ottanta si girava per i carceri speciali, ed erano veramente speciali, ma non ci lamentavamo più di tanto, poiché altrimenti erano dispetti a non finire, ma il sottoscritto era più contento di ricevere dispetti che non darla vinta agli aguzzini di turno, rispondevo senza riguardo per nessuno, la galera, l’accusa ingiusta, mi aveva portato a non riconoscere più in me quel ragazzo giusto che ero sempre stato. Una volta riarrestato, ho iniziato nuovamente a leggere, ho ripreso a scrivere e sempre con i libri che parlavano di antagonismo in mano, li portavo anche all’aria.
Nella seconda tornata di isolamento anche quello totale che durò altri 7 mesi, rinchiuso in un braccetto di sole tre celle, occupate da me, da un ragazzo imputato per la strage di Bologna e da un mio conterraneo che proveniva dal carcere speciale di Fossombrone per delle cure mediche, anche se loro non godevano di tutte le mie “attenzioni”, loro potevano cucinare farsi il caffè ecc., senza tralasciare che se io dovevo varcare la soglia della porta in un senso o in un altro mi facevano denudare, ragazzi, che soddisfazione poter vedere le palle di un detenuto!!! in tutto quel tempo senza fine lessi 165 libri che chiedevo alla biblioteca, visto che non mi era concesso nient’altro, ero stato privato della televisione, quotidiani, non potevo avere niente per cucinare, nell’arco delle 24 ore mi era concessa solo un’ora d’aria, però potevo scegliere di farla di mattina o di pomeriggio, che fortuna poter sceglier!!! Un giorno venne il Giudice istruttore con il mio avvocato, e durante quel colloquio mi chiese se era vero che avevo letto tutti quei libri, gli risposi che il merito era tutto suo visto che mi teneva dentro una cella spoglia 24 ore su 24, aveva dato un occhiata al registro che aggiornava ogni dieci minuti l’agente che era di turno seduto davanti alla mia cella, con il blindo rigorosamente aperto giorno e notte non mi perdevano di vista un solo minuto, venivo controllato anche quando andavo in bagno, segnavano se stavo mangiando, se dormivo, se leggevo ecc. ogni azione era affiancata dall’ora in cui avveniva l’annotazione, con affianco l’elenco dei libri che chiedevo alla biblioteca. Da tutto quanto ho letto da quando sono entrato in carcere ad oggi, ho provato anche se dopo 34 anni di galera, la mia memoria non so se mi permetterà di scrivere una sintesi di quanto capitava e che capita tutt’ora, la maggior parte dei detenuti non sapeva e non sa di tutto quello che succedeva in quegli anni …
Anche se con ritardo tramite la lettura di libri, e il contato con qualche detenuto politico presi coscienza della forza enorme che ebbe la contestazione sociale del 1968, e degli anni successivi, un mondo sconosciuto per me ma affascinante, quella contestazione cominciò a portare in Italia a rimettere in discussione un po’ tutte le istituzioni sociali, le istituzioni cozzarono con la contestazione sempre più forte, venendone sconvolte: nacque l’antipsichiatria, che sviluppava diverse strategie di affrontare i problemi della emarginazione sociale e della malattia mentale e con la riforma Basaglia chiusero i manicomi, e nacquero altre strutture per occuparsi delle malattie mentali.
Dentro le carceri nascevano dei movimenti di lotta dei detenuti (che si occupava di rivendicare le azioni esterne fatte dai loro compagni, con un traffico d’informazioni dall’esterno all’interno e viceversa) sostenute da organizzazioni politiche della sinistra che, sin dal 1968 dovettero conoscere il carcere in misura crescente.
Ci fu il caso Valpreda che permise di mettere in discussione l’operato della magistratura, per la prima volta in maniera clamorosa e in una faccenda politica; il caso Pinelli permise di aprire uno squarcio sull’operato delle forze dell’ordine. A proposito del caso Pinelli, mi ricordo di una ballata che ho trovato su un libro che parlava di Anarchia e che forse in pochi si ricorderanno:
“Quella sera a Milano era caldo, ma che caldo che caldo faceva, è bastato aprire la finestra, una spinta e Pinelli cascò. Sor Questore, glie l’avevo già detto, le ripeto che sono innocente, Anarchia non vuol dire bombe, ma giustizia per la libertà. Una bara e tremila compagni, stringevamo la nostra bandiera, quella sera abbiamo giurato, non finisce di certo così.”
Nelle carceri, la contestazione politica portò a miglioramenti solamente nel 1975, con la riforma, ottenuta dopo 7 anni di rivolte e di proteste anche pacifiche; prima della riforma praticamente il detenuto italiano non aveva diritti, non era una persona ma una cosa buttata dentro una cella, l’unico modo per farsi sentire era usare la violenza, che veniva uccisa con altra violenza, da parte degli aguzzini, anche loro figli della ignoranza, in quegli anni non si arruolavano certo diplomati o laureati, gli studi più alti che potevano avere era la quinta elementare, rara anche quella. I detenuti non avevano diritti nemmeno di leggere i giornali, le poche cose presenti erano dovute ai cappellani o alle organizzazioni interne di lavorazione; la riforma invece va nella direzione del recupero sociale delle persone detenute, innesca i diritti soprattutto, inerenti il vitto, il decoro, gli abiti (poter vestire con i propri abiti), lo studio, l’accesso alle fonti di informazione, i colloqui, i pacchi, con quella riforma cambiò tutto, ma quanto sacrificio in quelle rivolte, e se sono riusciti ad ottenere tante cose è perché allora c’era unione fra detenuti, quella che oggi non esiste più, oggi siamo un branco di sbandati. In quegli anni si creò una situazione impossibile da gestire per il governo, con la contestazione dentro e fuori dal carcere, se poi aggiungiamo le numerose evasioni da molti carceri. Sono anni in cui le carceri vengono svuotate da educatori e assistenti sociali che con il tempo, soprattutto oggi, sono sempre meno nelle prigioni.
Ecco che il governo, all’inizio del 1977 istituisce il circuito differenziato (Art.90), ossia un certo numero di carceri e di sezioni ove le regole ed i diritti erano molto più pesanti e limitati. In queste carceri, all’inizio sei – sette, vengono trasferiti da un giorno all’altro circa 700 detenuti, di cui meno della metà politici e gli altri scelti tra i detenuti che con il rispetto di cui godevano e la stima che si erano conquistati negli anni precedenti, erano in grado di promuovere proteste nelle carceri. La guida di queste carceri viene delegata al generale Dalla Chiesa. Questa scelta del governo verte sull’importanza attribuita al controllo e allo spionaggio sui detenuti più ribelli delle carceri, creando così la costruzione di autentici Kampi, così venivano chiamati dai prigionieri per la durezza e la spietatezza delle condizioni interne di vita, dove non mancava la violenza, privazioni di ogni tipo, totale isolamento dalle famiglie, e spesse volte omicidi. Questo tipo di sistema di controllo di questi carceri avrebbe dovuto evitare proprio gli omicidi, ed invece questi continuavano ad accadere con facilità inaudita: spesso venivano trasferiti insieme nella stessa sezione detenuti nemici tra loro od addirittura detenuti che avevano accusato altri insieme a quelli che erano stati accusati. La situazione di queste carceri era così terribile che il governo e la sua struttura carceraria, che allora si chiamava Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena (ora DAP), la quale dirigeva il lavoro del corpo degli Agenti penitenziari, presero la decisione di restringere ulteriormente le condizioni di vita e di sicurezza di queste sezioni, da una parte crearono delle speciali sezioni dette “braccetti della morte” (tra cui Foggia, il più tremendo, una sezione di Pianosa, Ascoli, ed altri), e dall’altra applicando a tutte le sezioni speciali di massima sicurezza (dette oggi di Elevato Indice di Vigilanza – A.S.1 –  in sostanza Trani, Palmi, Asinara, Nuoro, Novara, Cuneo, Fossombrone, a cui negli anni si aggiunsero Voghera per le donne – poi Latina -, ed altri istituti).
Con il famigerato articolo 90, venivano tolti tutti i diritti compresi quelli dei pacchi nella misura e a seconda delle decisioni dei Direttori e del Dipartimento. Giungendo con tale articolo alla negazione totale dei diritti, in gran parte per i prigionieri politici, tali abusi resistettero fino alla fine del 1985, quando, dopo molte contestazioni e qualche critica dei garantisti, il direttore del Dipartimento, decise di togliere l’articolo 90. L’anno dopo venne la seconda riforma, la legge Gozzini, che aprì le porte delle carceri anche agli ergastolani, con il lavoro all’esterno, e portò la liberazione anticipata a 90 giorni l’anno. Da allora gli omicidi in carcere si può dire che sono finiti: si è data una speranza, spesso solo sulla carta, anche ai “duri” delle carceri, a chi non aveva “niente da perdere”. L’emergenza creata nel paese dai potenti e dalla mafia, utile a far dimenticare Tangentopoli, servì nel 1992, dopo l’attentato a Falcone e Borsellino, a far decollare una nuova emergenza e di conseguenza un restringimento alla vitacarceraria. Si disse, utile a combattere la mafia, ma servì a creare nuovamente un circuito differenziato, che tutt’ora è attivo, ossia il famigerato articolo 41 bis, così viene istituita legalmente la tortura in Italia (anche se proprio legale il 41 bis non è mai stato perché è una legge incostituzionale), come Amnesty International e non solo qualche avvocato preso di mira dallo stato ed i radicali, hanno più volte documentato in rapporti ufficiali internazionali. Con il 41 bis, si è creato un nuovo circuito di sezioni o padiglioni interni alle carceri, queste strutture sono circa una dozzina ove vivono 6-700 detenuti. Nel circuito E.I.V. (A.5.1) ne rimangono 3-400, mentre il Dipartimento con la direzione del giudice Caselli, ha esteso massicciamente l’emergenza carceraria creando una via di mezzo della sicurezza, il circuito Alta sorveglianza A.S., e facendolo diventare di fatto un circuito speciale a tutti gli effetti. Sicché oggi ci sono in Italia circa 8.000 detenuti che hanno diritti molto limitati. Ma in parte questa situazione è stata sanata dalla legge del nuovo regolamento penitenziario del 2000 che sostituiva quello del 1976 successivo alla riforma del 1975, regolamento che estende a tutti quelli che sono a regime A.S., tutta una serie di diritti, come le 6 ore di colloquio al mese invece di 4, la telefonata settimanale anziché le due telefonate al mese, i 20 Kg. di peso dei pacchi ogni mese, il computer in cella per ragioni di studio, ecc. Cose ottenute sostanzialmente con le proteste sorte nella primavera del 2000 per l’indulto generalizzato, dopo il clamoroso pestaggio di massa di Sassari, che seguì altri gravi episodi come la morte di un detenuto a Parma subito dopo la repressione di una protesta.
Nel 41 bis ancora oggi per poter telefonare ai familiari, questi devono recarsi in un carcere vicino alla propria residenza, non possono ricevere a casa loro la chiamata; in tutti i carceri effettuano colloquio dietro il vetro blindato, senza poter accarezzare la mano ai propri cari. Nel circuito A.S.1 – A.S.2 – A.S.3., hanno gravi difficoltà a vedersi accordare benefici e permessi, spesso negati per i divieti emergenziali dell’articolo 4 bis della riforma, aggiunto nel 1992, che vieta talune concessioni a chi è stato condannato per reati di mafia, terrorismo, sequestro di persona con omicidio e traffico internazionale di stupefacenti. Questi divieti oggi sono una normalità anche per motivi sanitari, dato che si impedisce loro di curarsi o farsi visitare in ospedali pubblici e si cerca di trasferire i detenuti che chiedono esami specialistici nei “centri clinici” (i più terribili Parma, Opera) e sezioni bunker ospedaliere (tra le più allucinanti quella delle Molinette di Torino) ¬ delle specie di lager mascherati da ospedali interni alle galere – anche per semplici visite ortopediche od audiologiche, anche se ci sono sempre le eccezioni come qui nel carcere di Spoleto, che in genere vieni portato all’ospedale civile per eseguire la visita. Infatti dal giugno 2003 è scaduto il decreto Bindi che gestiva le prestazioni specialistiche nelle carceri, e il Dipartimento non avendo più il fondo di spesa ha tolto moltissime prestazioni specialistiche esterne da quelle prescrivibili dai medici delle carceri, che a loro volta sono una categoria un po’ più carceraria che sanitaria di quanto la Costituzione non vorrebbe. Questa situazione è ben conosciuta in Europa oltre che da deputati e avvocati italiani, e dall’inadempiente Commissione Carceri di Montecitorio, ed ha portato più volte a condannare l’Italia per violazione dei diritti umani dei carcerati. Amnesty International e il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura si sono più volte pronunciati, e non solo sulle gravissime condizioni di vita in carceri giudiziari sovraffollatissimi come San Vittore, Marassi, Poggioreale, ecc., ma anche e specificamente sulle sezioni speciali, ma senza ottenere grandi risultati. Infatti anche nella sinistra nel nostro paese permane un atteggiamento punitivo e di lassismo nei confronti di queste situazioni, che comportano oltretutto la morte per suicidio di 50-70 detenuti all’anno e la morte per motivi di salute per circa 200 detenuti ogni anno; detenuti ai quali spesso non è concesso da Magistrati di sorveglianza (allarmati ed impediti dall’opinione pubblica) neppure di morire in un letto di ospedale. La mancata concessione di un indulto generalizzato è ben coerente con questa realtà “speciale” per un paese che vorrebbe dirsi importante, ricco e democratico come il nostro.
Sono passati 34 anni da quel Maggio del 1979 ed ancora quel’ex pastorello sardo è ancora in carcere, comunque se volete saperne di più, potete cercarmi su facebook, sia voi che gli amici (Spero in tanti), il mio sito è Mario Trudu (L’Ostativo).
Fortha paris po s’indipendhenthia

Presone de Ispoleto 13 Agosto 2013

Mario Trudu, Via Maiano 10 – 06049 Spoleto (PG)

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  • […] La repressione del popolo sardo Compagni di Ampi Orizzonti, senza ombra di dubbio va un grande ringraziamento a voi, poiché ci date l’opportunità di leggere l’opuscolo da voi redatto e allo stesso tempo ci permettete di rimanere aggiornati della situazione delle carceri in Italia. Io ho provato in questo mio umile scritto, a spiegare quanto ho sofferto e quanto hanno sofferto gli altri compagni di sventura che eravamo detenuti in quei periodi neri, certo non è che adesso è una pacchia, poiché vi è ancora tanto lavoro da fare e soprattutto da sopportare le ingiustizie che ci fanno. […]

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