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La prevenzione e la repressione efficaci della criminalità nei ranghi delle polizie sono possibili

A proposito dei fatti della caserma dei Carabinieri di Piacenza

La prevenzione e la repressione efficaci della criminalità nei ranghi delle polizie sono possibili (a proposito dei fatti della caserma dei Carabinieri di Piacenza)

La vicenda della caserma dei Carabinieri di Piacenza sicuramente resterà come uno dei casi più scioccanti di questi ultimi anni. I numerosi reati gravissimi praticati da anni dai militari di questa caserma fanno pensare a una vera e propria associazione a delinquere che riusciva a beneficiare della copertura di essere anche unità dell’Arma dei Carabinieri.

Ancora più grave è che per anni questa caserma sia stata considerata un’eccellenza e ricevesse premi per la sua alta “produttività”. Come ha scritto qualche osservatore, appare allora palese il sospetto che questa unità abbia goduto di una benevole se non complice indifferenza o tolleranza da parte dei superiori (forse non solo a livello locale) ma anche di un meccanismo perverso.

Questo meccanismo perverso è quello che sta sempre dietro tutte le vicende simili che come tutti sanno sono decine e decine in tutt’Italia (così come nei ranghi delle polizie di altri Paesi detti democratici). Se si sfogliano i media nazionali e locali degli ultimi anni si trovano facilmente casi alquanto simili a quello della caserma dei CC di Piacenza.

Cioè operatori delle polizie che si coprono facendo tanti arresti grazie ai loro confidenti, i quali sono anche complici nel giro di spaccio di droga o di merci da ricettazione.

La logica dominante è premiare questo genere di produttività che non a caso finisce per coprire chi pratica abusi e persino crimini gravi da associazione a delinquere. Non si premia invece chi – poche persone –  combatte la schiavizzazione di italiani e immigrati e chi è responsabile di disastri sanitari e ambientali (**).

Queste sono le insicurezze ignorate dalla maggioranza di tutte le polizie nazionali e locali che invece perseguono persino le vittime anziché i carnefici, cioè le “prede facili” perché prive di tutela e quindi alla mercé di ogni sorta di criminale aggressione tanto più se viene da operatori delle polizie.

Cosa permette la riproduzione di questi fatti? Questa è la domanda assai semplice che i vertici delle polizie dovrebbero porsi e che sembra non vogliano porsi.

Se ci si pone questa domanda appare chiaro che la questione riguarda l’assenza di prevenzione.

Ma questa prevenzione come potrebbe essere praticata con efficacia ed efficienza? Solo con :

a) il monitoraggio continuo dei casi di devianza e criminalità nei ranghi delle polizie;

b) l’analisi dei casi;

c) l’adozione delle misure appropriate per intervenire prima incentivando e proteggendo la vigilanza da parte di tutti gli operatori e anche dei cittadini (quelli che si chiamano whistleblowing o “denunciatori di comportamenti illeciti”); la giusta sanzione di questi reati e quindi il netto e chiaro messaggio che le polizie non garantiscono più l’impunità e la tolleranza di comportamenti e atti criminali.

La riproduzione della devianza e della criminalità nei ranghi delle polizie c’è sempre stata e sempre ci sarà così come in tutti i settori dello Stato, di tutti i paesi; ma siamo in un contesto economico, sociale, culturale e politico che rischia di far proliferare questi casi. L’impunità di questi casi è certamente la prima causa della loro riproduzione.

Sin quando i vertici delle polizie non adotteranno questo metodo di prevenzione e repressione dei comportamenti devianti o criminali nei loro ranghi ci sarà sempre rischio di riproduzione di questi e grave discredito dello stato di diritto democratico che appare come un’ipocrisia se non addirittura l’eterogenesi delle democrazia che lascia libero campo agli illegalismi dei forti, dei dominanti, di chi gode dell’impunità.

Salvatore Palidda

(**) come quelli che hanno fatto l’inchiesta su Fincantieri oppure Roberto Mancini che scopri “la teŕra dei fuochi” e ne morì di cancro.

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