La premier che voleva inseguire gli scafisti per il “globo terracqueo”…
Meloni voleva inseguire gli scafisti per il “globo terracqueo”, nella realtà li mette in salvo con un volo di Stato. Njeem Osama Almasry Habish, conosciuto come Elmasry è rientrato ieri a Tripoli con un Falcon dell’intelligence italiana. Ad attenderlo una folla in festa. Ricercato dalla Corte di giustizia internazionale per crimini di guerra, il capo della polizia giudiziaria è considerato una delle figure chiave nel traffico di migranti ma l’Italia l’ha lasciato andare con tante scuse.
È l’11 marzo del 2023 e Giorgia Meloni è a Cutro dove si è riunito simbolicamente il Consiglio dei Ministri. Due settimane prima al largo della costa del comune jonico, era avvenuto il naufragio di una nave carica di migranti. I morti accertati sono 94, i dispersi mai restituiti dal mare un numero mai stabilito con certezza. Sull’imbarcazione partita dalla Turchia secondo le testimonianze viaggiavano almeno 160 persone, i superstiti saranno 54.
Finito il vertice del Governo con al centro il tema dell’immigrazione, la Presidente del Consiglio spiega in conferenza stampa:
Non colpire solamente quei trafficanti che noi troviamo sulle barche, ma colpire i trafficanti che ci sono dietro. E per me questo è un elemento molto importante, perché cambia completamente l’approccio del governo italiano rispetto a quello che abbiamo visto negli ultimi anni. Noi siamo abituati a un’Italia che si occupa soprattutto di andare a cercare i migranti per tutto il Mediterraneo. Quello che vuole fare questo governo è andare a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo perché vogliamo rompere questa tratta.
L’immagine di Meloni a caccia di scafisti per il globo terracqueo diventa subito un meme, il video virale, la frase un riferimento del programma della destra al governo. Rimane che le parole della premier sono chiarissime: colpire le organizzazioni a partire dai vertici, non dando loro tregua anche oltre i confini italiani.
Peccato che martedi Njeem Osama Elmasry Habish, conosciuto come Almasry , uno dei personaggi considerato un perno del traffico di esseri umani è stato rimandato in Libia con tante scuse a bordo di un Falcon 900 dei nostri servizi d’intelligence.
Osama al-Najim, è stato accolto all’aeroporto internazionale di Mitiga, a Tripoli, come un eroe. Un’immagine diffusa sui social media mostra il generale libico scendere da un aereo della flotta di Stato italiana: ad accoglierlo sulla pista c’era il comandante salafita Abdul Rauf Kara, leader della potente Forza di deterrenza speciale (Radaa). Altri video e immagini pubblicate dai social documentano il ritorno trionfale del generale di brigata, «noto per il suo rigore, la sua dedizione e la sua professionalità», come scritto ieri su numerosi social istituzionali libici, mentre il governo di Tripoli non ha fatto ancora nessuna dichiarazione ufficiale sul suo rilascio.
Le forze Radaa sono considerate una delle «principali forze di difesa» del governo di unità nazionale (Gnu), guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, riconosciuto a livello internazionale dall’Onu. In questi anni il gruppo armato è stato in prima linea sia nella difesa contro le forze del governo di stabilità nazionale (Gns) di Bengasi – guidato dal primo ministro Osama Hammad con il supporto militare del vero uomo forte della Cirenaica, il maresciallo Khalifa Haftar-, ma soprattutto nella lotta contro lo Stato Islamico.
La forza di Radaa, composta da circa 1.500 uomini, ha avuto un ruolo fondamentale nello sconfiggere la rete tripolina dell’organizzazione terroristica e attualmente controlla l’unico aeroporto di Tripoli, a Mitiga. Oltre a un’imponente flotta di berline che pattuglia la città, le milizie salafite dispongono a Mitiga di un «carcere» in cui sono rinchiusi sostenitori di Daesh e migranti, tutti sottoposti a «rigidi programmi di rieducazione».
«Rieducazione» che, secondo le indagini della Corte Penale Internazionale, include «torture fisiche e psicologiche, privazioni estreme e morti», con centinaia di persone misteriosamente scomparse. Figura centrale di questo sistema di «violenza istituzionalizzata» sarebbe proprio Elmasry, «capo dell’amministrazione carceraria di Tripoli», con sedi a Ain Zara e Mitiga, considerate il simbolo della «detenzione arbitraria, della tortura e degli abusi», come indicato da diversi report di Amnesty International e Human Rights Watch.
Secondo le accuse per «torture e crimini di guerra», Almasry sarebbe «l’anima operativa, il garante del controllo brutale su detenuti arrestati senza accuse formali, torturati e uccisi», con una «partecipazione attiva» anche riguardo alle fosse comuni scoperte a Tarhuna.
Come molte altre milizie nella Libia occidentale, le Forze Radaa e la milizia Al Khaniat sono state coinvolte nelle atrocità commesse durante la guerra civile, dopo il rovesciamento del dittatore libico Muammar Gheddafi nel 2011. Uno dei simboli di queste violenze è, secondo l’Onu, il ritrovamento delle 29 fosse comuni a Tarhuna con «oltre 338 persone trucidate», come denunciato da Hrw.
Nelle sue indagini la Cpi ha osservato che gli attacchi sistematici e diffusi contro i migranti potrebbero costituire «crimini contro l’umanità», esprimendo «forte preoccupazione» per il ritrovamento sempre più frequente di fosse comuni. L’ultimo risale allo scorso agosto, con un sito contenente «almeno due dozzine di corpi non identificati a Sirte», oltre ai 65 cadaveri ritrovati a marzo nel sud-ovest della Libia.
Il governo sapeva da sabato che il criminale ricercato dalla Cpi stava arrivando in Italia. Nordio ha mentito. Il Falcon mandato a Torino a prenderlo prima della sentenza della Corte d’appello di Roma. Chissà se qualche sostenitore del governo Meloni si infastidisce a vedere un pericoloso criminale, arrestato due giorni prima a Torino dalla polizia giudiziaria, scendere col sorrisone da un Falcon col tricolore a Tripoli accolto da banditi in tripudio perché il loro capo ha scampato un processo per reati contro l’umanità.
«Senza preavviso» e senza «consultazione». Così la Corte penale internazionale, in un comunicato uscito nel tardo pomeriggio di ieri, ha definito il ritorno in Libia dall’Italia di Osama Najeem Elmasry Habish, il capo della polizia giudiziaria di Tripoli arrestato domenica a Torino e rilasciato con tante scuse martedì nonostante su di lui pendesse un mandato per crimini contro l’umanità e di guerra, tra cui omicidio, tortura, stupro e violenza sessuale.
Per questo L’Aja «sta cercando, e deve ancora ottenere, una verifica dalle autorità sui passi presumibilmente intrapresi» da Roma. Così apprendiamo pure che l’Italia aveva chiesto silenzio intorno all’operazione. I giudici internazionale, infatti, dicono che si sono astenuti dal rilasciare qualsiasi commento pubblico «su richiesta e nel pieno rispetto delle autorità italiane», pur continuando a seguire la vicenda da vicino «per garantire l’effettiva esecuzione di tutti i passaggi richiesti dallo Statuto di Roma per l’attuazione della richiesta della Corte». Èin questo contesto che è stato «ricordato alle autorità italiane che nel caso in cui individuassero problemi che potrebbero impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione, dovrebbero consultare la Corte senza indugio al fine di risolvere la questione».
La versione sin qui fatta filtrare dal governo è un insieme di incoerenze e incongruenze più unico che raro. Formalmente una spiegazione proprio non c’è (il sottosegretario Delmastro: «Èuna questione giuridica imposta dai giudici»), e le comunicazioni ufficiali sono ferme al pomeriggio di martedì, quando dal ministero della Giustizia è uscito un comunicato in cui si parlava del «complesso carteggio» che Nordio stava valutando se inoltrare o meno al procuratore generale delle Corte d’appello di Roma. Il problema, come facilmente dimostrato dal giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura su X, è che già in quel momento il Falcon 900 italiano che poi avrebbe riportato il generale Najeem a casa era in movimento da un bel po’: erano le 11 e 15 quando l’aereo è decollato da Ciampino in direzione Torino. Da lì sarebbe infine ripartito alle 18 e 45 per arrivare a Tripoli alle 21 e 15.
Non corrispondono nemmeno i tempi con cui il ministero della Giustizia sarebbe stato avvisato: dettaglio fondamentale, visto che la motivazione offerta dalla Corte d’appello per scarcerare Najeem si basa proprio sul fatto che nessuno avrebbe preventivamente concordato il suo arresto con via Arenula. A quanto si apprende, il 2 ottobre dell’anno scorso la procura generale della Cpi aveva chiesto l’arresto del poliziotto di Tripoli. Sabato l’uomo è stato individuato in Germania mentre, insieme ad altre due persone, stava noleggiando un’automobile che poi aveva in programma di restituire all’aeroporto di Fiumicino. Appresa la notizia, la prima sezione della Corte penale internazionale ha autorizzato l’arresto ed è scattato il canonico red notice dell’Interpol. È più che verosimile che a questo punto almeno i servizi di sicurezza italiani fossero informati. Di certo lo erano all’ambasciata in Olanda, avvisata di tutti i dettagli da un funzionario della Cpi. L’operazione ha poi coinvolto diversi paesi europei (almeno sei), tra cui la Germania, l’Olanda, la Francia (dove i tre libici sono passati) e l’Italia, dove domenica è infine intervenuta la Digos di Torino. Najeem si trovava in città dal giorno precedente per assistere alla partita tra la Juventus e il Milan.
Sempre nella giornata di domenica, la polizia ha avvisato sia la Corte d’appello di Roma sia il ministero della Giustizia dell’operazione. Da questo momento è cominciata un’altra partita, del tutto politica e solo in parte coperta da cavilli di natura giuridica. L’Italia ha con la Libia rapporti di stretta collaborazione sul fronte dell’immigrazione da almeno due decenni e c’è anche il (tristemente) celebre memorandum siglato tra i due paesi nel 2017 (Gentiloni a palazzo Chigi e Minniti al Viminale) a testimoniare la forza di questo rapporto. Si capisce che il capo della polizia giudiziaria libica è un tassello importante di questo puzzle e non fa niente se a Roma devono chiudere entrambi gli occhi di fronte alle tante accuse relative al trattamento disumano che Tripoli riserva ai migranti prima di provare ad attraversare il Mediterraneo. I rischi legati al caso Najeem, per l’Italia, erano due: l’emersione di coinvolgimenti più o meno diretti nelle sue attività e la possibilità che i libici venissero meno al loro compito di sorvegliare la frontiera dall’altra parte del mare, lasciando partire chiunque, con conseguente aumento degli sbarchi. Così sono partite le manovre e le contromanovre per chiudere la vicenda nel minor tempo possibile. Alla fine sono bastate 48 ore.
Luca Casarini, portavoce dell’Ong Mediterranea Saving Humans ha affermato che la liberazione di Osama Najim è «un attacco al diritto internazionale» visto che, dopo anni di denunce e testimonianze delle vittime, il suo ruolo è «la prova che l’intero sistema libico, finanziato negli ultimi anni con milioni di euro dall’Italia e dall’Unione Europea, è atroce e criminale».
«Quelli di noi che sono riusciti a sopravvivere, avevano creduto che fosse possibile davvero non solo ottenere giustizia, ma soprattutto impedire che questo criminale potesse ancora agire indisturbato. E invece abbiamo assistito in questi giorni ad una cosa vergognosa, incredibile per quanto sia stata condotta sfacciatamente contro le leggi e la Costituzione, contro i principi e i valori alle quali si ispirano», afferma nel comunicato stampa congiunto Mediterranea insieme a Refugees in Libya, associazione che ha sostenuto diversi testimoni delle violenze subite davanti alla Cpi.
Dietro la vicenda politica che vede al centro il generale Almasri ci sono tantissime persone che quelle violenze e quelle torture, perpetrate da Almasri e dai suoi miliziani nei centri di detenzione libica, le hanno vissute sulla propria pelle, spesso lasciandoci la vita. Persone, come Lam, sudsudanese trentenne attualmente ospite dell’Associazione Baobab Experience di Roma che erano pronte a testimoniare contro il torturatore libico e che vedevano quindi, nel suo arresto, una speranza di giustizia.
“Non è durata neanche un giorno la speranza di ottenere giustizia delle vittime di Osama Najim ‘Al Masri’ Habish – ha tuonato Baobab Experience sulle proprie pagine social – Il torturatore libico, scarcerato per un cavillo giuridico, è stato di fretta messo su un aereo dei Servizi italiani e riaccompagnato in Libia dove i componenti e i sostenitori della milizia Rada lo accolgono in festa. Se fosse servita un’ulteriore prova della complicità del governo attuale e di quelli passati con il traffico di esseri umani e la criminalità organizzata, l’abbiamo avuta. Assieme all’arroganza dell’impunità del potere e di una democrazia in piena crisi”.
Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, il racconto e l’analisi di Andrea dell’associazione Baobab Experience di Roma Ascolta o scarica
Nel pomeriggio (23 gennaio) Piantedosi intervenendo al question time al Senato, ha sostenuto, in modo surreale, che Almasri sia stato “espulso perché ritenuto soggetto pericoloso”. Il commento di Sandro Metz di Mediterranea Saving Humas. Ascolta o scarica
Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000
News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp