La nuova Legge “azzeccagarbugli” sul reato di tortura
- luglio 26, 2017
- in Lettere dal carcere, tortura
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È stato da poco introdotto il reato di tortura, che mancava nel nostro Codice Penale. Il nuovo articolo, 613-bis c. p., recita quanto segue:
“Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.
Qualcuno mi ha chiesto cosa penso di questa legge. Di solito, prima di pronunciarmi, leggo, rifletto e poi scrivo. Ora che mi sono documentato, penso sia meglio un vuoto legislativo che una legge “azzeccagarbugli”. Infatti, secondo me, ci sono più probabilità di scrivere una buona norma quando ancora non c’è piuttosto che modificare una cattiva norma esistente.
Dopo quasi 30 anni della ratifica della convenzione ONU e dopo tre condanne da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, l’Italia ha approvato una legge che punisce il reato di tortura. Nessuno sembra essere contento di questa norma, ma ciò non è una novità nel nostro paese. Quello che mi ha fatto amaramente sorridere è che alcuni lamentano che si tratti di una legge che criminalizza le Forze dell’ordine. Personalmente credo che questa norma tuteli più le Forze dell’ordine che i cittadini.
Con questa legge lo Stato italiano può torturarti una sola volta e non punire nessuno perché il torturato dovrebbe dimostrare che la violenza si sia perpetrata con più condotte. E come si dovrà comportare il giudice se mi torturano un’ora, un giorno, un mese, un anno con una sola condotta? Non vorrei proprio trovarmi al posto del giudice …oddio, a dir la verità, non vorrei trovarmi neppure al posto del torturato ma, purtroppo, spesso mi è capitato. Buona parte della mia vita l’ho passata in carcere e ne ho prese tante fin dalla prima volta che ci sono entrato.
Era l’ultimo giorno dell’anno 1972, da pochi mesi avevo compiuto diciassette anni. Iniziò tutto all’ora di pranzo per un piatto di patate. Quel giorno il cibo era più scarso degli altri giorni. Alcuni ragazzi incominciarono a battere i cancelli e a urlare: Abbiamo fame … vogliamo mangiare … fame … fame … fame … Per solidarietà anche i miei due compagni di cella, Nunzio e Daniele, iniziarono la battitura al cancello. Si scatenò l’inferno! I detenuti maggiorenni ci vennero dietro a battere e a urlare e tutti gli altri tre piani parteciparono alla protesta. Come accade in questi casi, quelli dei piani di sopra facevano casino senza sapere il motivo per cui era iniziata la protesta. Arrivò un esercito di guardie insieme al brigadiere. Lui era il responsabile dei detenuti minorenni. Fu subito davanti alla mia cella. Che cazzo avete da sbattere … smettetela subito di fare casino … altrimenti vi porto alle celle di punizione. Gli risposi male. Il brigadiere non se l’aspettava. Non se l’aspettavano le guardie. Non se l’aspettavano neppure i miei due compagni di cella. Prendete quel bastardo e portatelo alle celle. Le guardie aprirono la cella. Mi presero di peso e mi portarono fuori. Io non feci in tempo a mettere i piedi per terra che mi trovai in fondo al corridoio e poi nel gabbione all’entrata delle celle di punizione. Mi scaraventarono lì dentro. Sapevo cosa mi aspettava. Non diedi loro la soddisfazione di far decidere come e quanto picchiarmi. Lo decisi io. Dissi: Non mi fate paura! Poi aggiunsi: Guai a voi se mi toccate. Non mi toccarono con un dito, ma con pedate calci e pugni. Il primo pugno mi colpì in bocca. Poi mi saltarono addosso insieme e mi arrivò una grandine di pugni, calci e scarpate. Caddi per terra. Mi picchiarono come belve. All’inizio per rabbia, poi per divertimento. Provai a rialzarmi un paio di volte. Quello che mi faceva più male era l’umiliazione di non riuscire a prendere le botte stando in piedi. Ogni volta che riuscivo ad alzarmi da terra le guardie riuscivano a picchiarmi meglio e mi sbattevano di nuovo per terra a forza di calci e pugni. A un tratto decisi che forse era meglio essere picchiato stando a terra. Mi misi a testuggine con la testa appoggiata ai ginocchi, con le gambe e le braccia piegate per proteggermi il viso. Mi accucciai in un angolo del pavimento. Mentre mi picchiavano, riuscivo a urlare: Vigliacchi, schifosi, bastardi. Figli di puttana. Una guardia riuscì a piantarmi un calcio in bocca. Mi scappò una smorfia di dolore più terribile delle altre. Sputai sangue dalla bocca. Per qualche secondo smisi di gridare. Il tempo di riprendere fiato. Se avessi finito d’insultarli forse avrebbero smesso anche di picchiarmi, ma l’istinto era più forte di me. Iniziai di nuovo a insultarli. La rabbia mi dava la forza di gridare. Mi sbatterono come uno straccio da una parte all’altra della cella. Dentro la mia testa vedevo le stelle coperte a tratti dal sangue che mi usciva dal naso. Ad un tratto, sentii la voce del brigadiere: Portatelo alla balilla … portate quel piccolo bastardo alla balilla … e legatelo … se no l’ammazzo con le mie mani. Poi le guardie mi ripresero di peso e iniziarono a trascinarmi nella cella dove c’era il letto di contenzione. Ne avevo sentito parlare. Ebbi paura. Non ero mai stato legato prima. Appena vidi il lettino di ferro con le spalliere tutto intorno ebbi paura della mia paura.
Intanto sentivo dolore in tutte le parti del corpo. Ero sfinito. Mi afferrarono e mi misero nel letto di contenzione. Nonostante cercassi di dimenarmi come una sardina, riuscirono con facilità a legarmi i polsi e le caviglie. Mi crollò subito il mondo addosso. Provai a liberarmi, ma agitarmi non serviva a nulla perché le cinghie di cuoio ai polsi e alle caviglie si stringevano ancora di più. Ero sconfitto e umiliato. Le guardie chiusero la cella e se ne andarono. Stetti legato in quel letto di contenzione per sette giorni.
Concludo con un’ultima considerazione personale su questa legge: è stato molto difficile condannare le violenze delle Forze dell’ordine perpetrate a pacifici cittadini durante il G8 di Genova nel 2001 davanti agli occhi del mondo, a giornalisti e alle televisioni. Vi potete immaginare come sarà ancora più difficile quando le violenze accadono tra le mura di un carcere o di una caserma, con una legge azzeccagarbugli come questa appena approvata!
Carmelo Musumeci
Luglio 2017