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La mano di Paolo

Attraverso la forma del racconto si prova a politicizzare le condizioni materiali e sociali della forza lavoro, di chi produce ogni giorno beni, servizi e ben poco vede della ricchezza prodotta. I fatti sono reali, frutto di osservazioni dirette e testimonianze, i personaggi potrebbero essere ognuno di noi, un caro, un vicino di casa, un passante. È la condizione reale del fiume che cerca lo sbocco per rompere gli argini

di Renato Turturro

“La patente a punti….”, una mano che non può chiudersi più e come risacca in testa le parole si infrangono nella mente “La patente a punti per le imprese”.

Lo sguardo del direttore di produzione, cognato del datore, si posa continuamente su Paolo. Ha denunciato dopo aver aspettato un anno l’intervento di qualche ente pubblico, convinto che i lavoratori, almeno quando vengono feriti e uccisi dall’organizzazione del lavoro, possano ricevere attenzione, almeno questa. Quanti silenzi e quanti infortuni nascosti? Come questo mondo chiuso, nelle mani del padrone che controlla ogni tuo movimento, dispone del tuo tempo, può comunicare la repressione quotidiana al mondo esterno? Le piazze, le strade, gli incontri, i cancelli delle fabbriche dove sono? Paolo e i suoi colleghi ogni tanto guardano fuori le colline che circondano la fabbrica, i pezzi arrivano da un grande gruppo applaudito dai sindaci della zona a ogni nuovo insediamento che “crea lavoro”. I loro occhi sono rabbiosi e smarriti, non esiste sindacato qui, ma un piccolo gruppo coeso che condivide un sentimento dove si intravedono tracce di una consapevolezza diretta, vissuta, però scoraggiata. Il loro smarrimento ha sete di un incontro che sappia raccontarlo a parole e trasformarlo in azione per cambiare, relazionarsi con altri nelle stesse condizioni. La miriade di costellazioni di cui è fatto questo cimitero chiamato “mercato globalizzato” non permette ponti. Allora in pochi ci si autorganizza, come si può, si tenta di sopravvivere, dentro e fuori.

La mano di Paolo ha smesso di funzionare nonostante tre interventi chirurgici e infinite ore di riabilitazione. Una lastra l’ha schiacciato, dopo aver colpito in testa lui e un suo compagno di lavoro. Centinaia di chili spostati arrangiandosi con quel che si ha, mentre spavaldi gli amministratori delle grandi aziende e i politici ci presentano i piani sull’innovazione tecnologica con cifre progressive che accompagnano un punto e uno zero. Mentre in Europa è pronto a uscire un nuovo Regolamento sulla sicurezza delle macchine che ci parla di robot collaborativi e realtà aumentate, esistono ancora aziende satellite, territori impenetrabili che reggono sulle braccia della forza lavoro, dove appare inedificabile la costruzione dei diritti. Meridionali, maghrebini, sudamericani, proletari.

Paolo dopo l’infortunio e la sua denuncia viene controllato continuamente, si sente gli occhi addosso, il capo attende qualche suo minimo errore per trovare il pretesto per applicare il suo potere. In fondo lui ha ragione, lui offre lavoro, opportunità, denaro per vivere, lui è applaudito per gli innumerevoli sforzi che compie per “il bene del territorio”.

L’immaginario che vediamo rappresentato nello svolgersi della vita non è favorevole a Paolo e agli altri; non sanno più quali siano le parole per dirlo, per raccontare questa cosa, questa vita che ci accomuna ma che viaggia separata. Identità reale, identità virtuale, profilo virtuale, in questa doppia vita che parole hanno realmente le cose, i fatti, qual è il loro nome? Queste parole introvabili spremono sulla loro psiche e il loro corpo, neurotrasmettitori della rabbia, dello scoraggiamento, compagni della solitudine dell’individuo contro una macchina gigantesca. I piedi d’argilla possono essere scavati dal lento lavoro delle onde, si guardano negli occhi quando chiediamo cosa sia successo. L’intesa esiste, va incoraggiata, conservata, attraverso le azioni incessanti di questo mare profondo. Non per dare speranza, ma per costruire orizzonti d’uscita.

I trent’anni di Paolo, i suoi dieci di fabbrica, non possono essere decisi da qualche centinaia di euro o da un migliaio non spesi per alleggerire queste braccia che producono ricchezza. A ogni racconto che non corrisponde alla realtà vista dal basso dovremmo pensare alle mani, alle braccia, alle vite, alle menti risucchiate e raccontare con le parole per dirlo.

Da dove cominciare quando tutto sembra smarrito? Dalla strada….

racconto condiviso con il numero cartaceo di giugno del mensile Lavroro e Salute (www.lavoroesalute.org)

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