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La finzione della libertà, la realtà dell’obbligo

Riflessioni sulla fase 2, il decreto rilancio, la conversione ecologica e il concetto di libertà.

Dalle critiche alle proposte: oltre il decreto “rilancio” esiste una svolta sociale ed ecologica

Mai scindere il testo dal contesto, mai isolare un fatto o una decisione dal “tutto” che la cinge, prendere una cosa per se stessa è infatti una falsificazione della realtà, in quanto questa esiste solo nel sistema in cui è inserita. Altrimenti detto “il vero è l’intero”, oppure “la realtà è irrimediabilmente rizomatica”. Tale discorso verrà ripreso dopo, quando mostreremo l’importanza sistemica nella questione della contrapposizione tra limitate libertà individuali e libertà in senso più ampio: comunitaria, sanitaria, sociale, ecosistemica; i provvedimenti presi dal governo sono infatti in contrapposizione tra loro se considerati nel loro insieme e non presi singolarmente.

Prima di tutto studiamo alcune delle ultime decisioni governative durante la crisi del coronavirus:

1 – Ingenti fondi destinati ai grandissimi gruppi imprenditoriali, tra cui spicca la trattativa del gruppo FCA con sede in Olanda per 6,4 miliardi di soldi pubblici italiani

2 – Taglio dell’IRAP indiscriminato a tutte le aziende, anche a quelle che hanno aumentato i propri ricavi in tempi pandemici
3 – Reddito di emergenza su base categoriale e familiare, per il quale non vige l’incondizionalità dell’IRAP tagliato alle imprese
4 – Apertura delle frontiere il 3 giugno
5 – Sospensione di fatto dell’art.21 della Costituzione che garantisce la libertà di espressione e manifestazione della propria opinione
6 – Prezzo mascherine non realmente bloccato e aumento costo alimentari, non calmierato in nessun modo
7 – Nessun provvedimento per precari e stagisti, ma solo per partite iva e aziende, anche con redditi molto alti
8 – Ginepraio di bonus, tra cui “bonus vacanze” e “bonus bici”, ma senza nessun reddito di base

Ora discutiamole e facciamo il punto:

Ci viene presentata come libertà, ma è solo fittizia: spostarci, andare al mare, consumare, incontrare altre persone.

In realtà, siamo OBBLIGATI a proteggerci individualmente, con le conseguenti grandi disparità tra chi ha maggiori mezzi concreti e intellettuali e chi purtroppo ne è meno provvisto. Non è la stessa cosa disporre di un auto o di un giardino privato o meno, non è uguale essere anziani,adulti o adolescenti, non tutti possediamo la medesima responsabilità sociale, consapevolezza e senso critico. Sia detto tutto ciò in quanto la pandemia non viene abolita da un decreto e non esiste un reale “rischio calcolato”, a meno che non ci si limiti all’economia lasciando da parte la salute e la vita dei cittadini.

Siamo di fatto OBBLIGATI a stare in casa perché nessuno ci ha dato dei fondi che rimpiazzino il nostro lavoro in quanto precario e sappiamo che sono in milioni a trovarsi in questa situazione.

Per esempio i cassaintegrati, che non hanno ancora ricevuto le mensilità di aprile e maggio.

Siamo OBBLIGATI a subire la ripresa dei voli aerei, con il relativo inquinamento atmosferico e acustico, di fronte all’impossibilità di opporci a tale scelta per motivi sanitari, economici ed ecologici. “Possibilità di viaggiare in area Schengen”, leggiamo da giorni su allegri titoli di giornale, ma sotto a quella che vuole essere propositività e, nuovamente, presunto slancio di libertà, c’è un unico dato di fatto: dobbiamo ingoiare i residui di carburante di centinaia di aerei (pieni o vuoti) che volano sulle nostre teste, mentre prima, durante la “fase 1” abbiamo apprezzato la loro quasi totale assenza e ci sentivamo per una volta, per la prima volta, realmente tutelati. (Tema molto caro a chi abita a qualche km da un aeroporto, Ciampino nel nostro caso).

Siamo OBBLIGATI a fare un passo indietro e lasciare gli spazi della nostra città ai turisti, mentre durante la quarantena ci siamo finalmente potuti riappropriare della città, muovendoci liberamente nel silenzio e nella quiete del nostro territorio e dei nostri quartieri, solitamente intasati da smog, auto, vacanzieri e lavori in corso. Adesso invece, mentre vige l’impossibilità di fare assembramenti, seppur svolti rispettando le norme di distanziamento, per motivi sociali e politici (sospensione di fatto dell’art.21 della Costituzione), ai turisti verranno aperte le porte delle nostre piazze, vie, monumenti. La questione degli assembramenti si risolve quindi così: per consumare sono tollerati o addirittura suggeriti, per passeggiare liberamente, protestare o semplicemente esprimere la propria opinione sono ermeticamente chiusi. È noto come negli ultimi giorni siano stati multati molti manifestanti pacifici al Campidoglio e in altre piazze romane, cosiccome noi stessi siamo stati allontanati dai pressi del Parlamento, con un palese abuso di potere, perché avevamo un cartello che recitava “Decreto Rilancio? Basta lavoro precario, reddito su base individuale”. Zero assembramenti: due persone sole in mezzo a decine di forze dell’ordine.

Siamo OBBLIGATI a cedere lo spazio di bus e metro ai turisti, dovendo procurarci un mezzo privato per i nostri spostamenti. Quella che potrebbe essere una moderna iniziativa sostenuta da motivazioni di sostenibilità (e in questo momento anche di sicurezza), si rivela purtroppo, nel contesto in cui è inserita, essere una manovra illusoria, beffarda verso coloro a cui stannodavvero a cuore l’ambiente e la salute (cioè i cittadini). Il “bonus bici”, parziale e di difficile accesso, non serve a nulla di fronte agli immensi fondi (pubblici) dati all’industria dell’auto e alle compagnie aeree. Di più, a breve saremo costretti a difenderci da soli, quando i turisti saranno di nuovo in città e i posti sui mezzi di trasporto saranno pochi e a loro destinati. A noi residenti non resterà che proteggerci da soli comprando una bicicletta, facendo uscire soldi di tasca nostra e allungando i tempi di spostamento; mentre i nostri abbonamenti ATAC regolarmente pagati continueranno a marcire, anche perché non è previsto alcun rimborso per i mesi persi.

In conclusione la libertà che ci manca e per la quale dobbiamo agitarci non è quella di fare una cena con gli amici, di recarci al corso di yoga, di prendere un aperitivo nel baretto più glamour o di far visita al parrucchiere. Proprio mentre “non potevamo” svolgere queste attività, (che riconosciamo pure come importanti al benessere generale della persona) eravamo LIBERI in quanto protetti, mentre ora che ci viene lasciata la “libertà di fare tutto”, da un lato non abbiamo la base sanitaria (rischio salute altissimo), economica (dove si va senza fondi?) e sociale (non possiamo nemmeno manifestare in piazza) per farlo davvero. Dall’altro finiamo per sentirci ben più oppressi di prima. La libertà che ci serve non è quella di stampo individualistico e liberista, né semplicemente quella che riguarda il nostro piccolo microcosmo, il nucleo più stretto dei desideri più superficiali, ma una libertà collettiva e di espressione. La libertà di respiro più ampio che identifichiamo nel poter agire sulla realtà senza dover subire passivamente le scelte prese da altri, nel non sentirci impotenti e impossibilitati ad esprimere il potenziale trasformativo che possiamo offrire alla realtà. Ci manca anche la libertà di farci indietro e lasciare un sacrosanto posto nel mondo alle altre specie viventi.

Le istituzioni dicano la verità: hanno scelto di non proteggere la popolazione dalla pandemia, di non proteggere i cittadini precari e vulnerabili economicamente e socialmente dalla povertà, di non attuare nessuna norma di redistribuzione, ma anzi di aumentare i fondi destinati alle grandi imprese mentre non riconoscono nulla ai giovani, al personale sanitario, agli ecologisti, a chi vuole contribuire mediante la propria preparazione pratica e intellettuale a cambiare in meglio questa società malata, proprio ora che ne abbiamo l’occasione.

Tale potenziale trasformativo ci porta oltre la critica dello status quo e si esprime mediante la proposta di alternative concrete:

Svolta ecologica e tutela della realtà e dell’economia locale: ripresa delle piccole aziende del territorio e filiera corta. Tale scelta porterebbe ad una diminuzione della globalizzazione, quindiad un aumento della redistribuzione nonché ad un sensibile taglio dell’inquinamento dovuto al continuo traffico di aerei, navi e tir che può essere ridimensionato. Il problema della globalizzazione si può spiegare con il semplice esempio delle mascherine (uno tra i tanti): produrre a basso prezzo, delocalizzando in India o in Cina, ci ha messo in grave difficoltà perché non possiamo disporre di beni di primissima necessità nel momento del bisogno estremo.

Questa è solo una delle rivelazioni evidenti a tutti nell’ultimo momento, ma i problemi di questo tipo valgono per moltissimi settori: abbigliamento, arredamento, agricoltura (pensiamo agli agrumi locali invenduti, mentre mangiamo arance spagnole o egiziane).

Diminuzione del turismo: l’aumento del prezzo dei voli aerei e la riduzione del traffico potrebbero limitare il nostro continuo movimento, deleterio per l’ambiente, di cui noi stessi siamo parte. Questa è l’unica possibilità che abbiamo per restituire le città ai loro residenti e per frenare il gravissimo processo di riscaldamento globale. Fermare il mondo per mesi non è più un’utopia, l’abbiamo appena sperimentato (e ci è piaciuto).

Trasformazione del lavoro: fine del precariato, istituzione del salario minimo e del reddito di base. La situazione attuale mette a nudo alcuni problemi strutturali che devono essere affrontati ora: l’eccessivo ricorso a contratti informali, precari e intermittenti, la mancanza di tutele sul luogo di lavoro (come hanno mostrato le aziende e gli ospedali nella Regione Lombardia), l’insufficienza di un welfare categoriale ed eccessivamente burocratizzato. Occorre quindi ripensare il diritto del lavoro secondo i principi costituzionali, confrontandoci con la realtà: non c’è lavoro continuativo per tutti. Per questo motivo risulta opportuno andare verso una trasformazione che porti a lavorare meno e a lavorare tutti. Ciascuno deve avere il diritto di esprimere il proprio potenziale in società, dando il proprio contributo. Si potrebbe garantire un’entrata minima anche nei periodi in cui non si lavora, oppure semplicemente attuare una diminuzione generalizzata dell’orario di lavoro (per esempio metà giornata) integrata economicamente mediante un reddito di base. A vantaggio di chi già sosteneva tali ipotesi, vi è il fatto che in questo periodo molte persone solite trascorrere la vita in ufficio hanno sorprendentemente scoperto come la loro identità non si esaurisca nella professione, per quanto questa sia fondamentale, e si sono sentite libere di lasciar emergere quella parte di sé che si nutre e si sviluppa con la cura degli affetti, delle passioni, del tempo libero e, sì, anche dell’ozio. Una scelta politica di questo tipo, oltre che limitare gli eccessi di produzione e consumo, solleverebbe da stress e insoddisfazioni tanto coloro che sono formati e non hanno modo di esprimersi professionalmente, quanto coloro che, pur avendo raggiunto un traguardo di “successo”, si vedono costretti a lavorare 24/7 senza mai divagare, per mantenere quella posizione economica e sociale che sentono di essersi ritagliati da soli.

Eliminazione dei paradisi fiscali e istituzione di una tassa patrimoniale: per realizzare una società più equa socialmente ed ecologicamente bisogna necessariamente attuare una redistribuzione delle risorse. Occorre istituire una tassa patrimoniale, ad esempio, se chi possiede liquidità superiore ai 10 milioni di euro pagasse un’aliquota aggiuntiva, compresa tra l’1% e il 5%, potremmo risolvere problemi fondamentali quali povertà endemica, carenza di fondi per istruzione e sanità. Tale tassa è stata proposta da Vincent Lindon per la Francia con l’evocativo nome di “taxe Jean Valjean”, ma possiede un valore universale. Per quanto concerne i paradisi fiscali non occorre dilungarsi, sono crimini legalizzati e come tali vanno eliminati ora.

Giulia Testi e Bernardo Bertenasco

da InfoAut

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