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La Festa della Repubblica al Commissariato del Viminale

Un episodio di abuso poliziesco avvenuto il 2 giugno a Roma, sul percorso della parata militare, riporta concretamente la violenza che troppo spesso accompagna l’operato della polizia nella repressione del dissenso

di Mario Vicentini

Dinamopress ha ricevuto negli scorsi giorni un testo firmato da Mario Vicentini che racconta di un episodio di abuso poliziesco avvenuto il 2 giugno a Roma, sul percorso della parata militare. Il fatto, per fortuna, non è di grave entità, se lo si confronta con le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate quotidianamente dalle forze dell’ordine nel nostro Paese, ma riporta concretamente la violenza che troppo spesso accompagna l’operato della polizia nella repressione del dissenso.

E’ stata tutta colpa di una cagnolina. Era il 2 giugno, la festa della Repubblica, la sfilata – parata – presidenziale, con soldati, armi e gli eroi medici e infermieri (i pochi rimasti pubblici, immagino). Volevo andare a Piazza Argentina, dove c’era un presidio contro la guerra, per il rispetto della Costituzione. Ma prima dovevo affidare a qualcuno la cagnolina Romea, perché lei alle manifestazioni si spaventa.

Ho trovato a chi appiopparla, una ragazzina adorabile, ma sono arrivato tardi in centro. E così eccomi bloccato ai cordoni della polizia, in fondo a Via Nazionale, col mio cartello un po’ polemico col Presidente, naturalmente lo tenevo all’ingiù, a terra. Un poliziotto giovane e cortese mi dice che non posso attraversare i cordoni per andare al presidio, e che certamente quando passa il corteo presidenziale non posso alzare il cartello. Vabbè, mi dico, mannaggia a Romea che m’ha fatto arrivare tardi.

Ma dopo pochi secondi ecco che mi ritrovo con due braccia che mi placcano, come se stessimo giocando a rugby, e mi bloccano. Mi sento aggredito. Sono aggredito. Giro la testa e vedo che le braccia sono di un signore in borghese. Capisco che è un poliziotto ma questo non mi impedisce di gridare Aggressione, è un’aggressione!

Il tizio chiede aiuto ad altri poliziotti, in tre mi trascinano a una decina di metri dal cordone. Mi chiedono di lasciare il cartello, io lo lascio immediatamente. Poi è la solita trafila, credo (ma per me è tutto nuovo, nonostante l’età avanzata).

Fanno telefonate a qualche altro dirigente, dopo un po’ arrivano ben due volanti, vengo caricato su una, e scopro che lì dietro hanno dimenticato di montare le maniglie e le manopole dei finestrini. Vabbè. Vivo con apprensione, tristezza e sudando un po’ (ma per il caldo) questo viaggetto al commissariato Viminale, dove vengo scaricato.

Qui il tizio che mi aveva aggredito inizia a capire che io sono una specie di boyscout coi capelli bianchi, pacifista e senza precedenti, e che forse ha un po’ esagerato col placcaggio. Allora Inizia a dialogare, mi parla della Lazio (già, anche questa!) e scopriamo di essere vicini di casa, al Tufello.

Mi dice che non sarò né arrestato né denunciato, e che il problema era che avevo un cartello (che è piccoletto, veramente, ma lui furbamente lo chiama cartellone) e che quindi poteva essere usato come arma per bastonare. Non per il suo contenuto critico, insomma. Non siamo in Russia o Turchia. Sarà vero?

Ci mettono parecchio a scrivere i vari verbali, perché il loro pc non si accende, non funziona, insomma le solite cose un po’ penose e un po’ da barzelletta. E finalmente, dopo due ore dal placcaggio, sono fuori dal commissariato. Tutto sommato è andata bene, mi dico. Non sono stato picchiato, niente calci e pugni, e sono libero in giro per Roma. Allora perché scrivo questo raccontino? Per fare due domande: Perché invece di assalirmi non mi ha detto queste quattro parole: “mi dia il cartello”? Era facile facile.  Sembravo uno pericoloso? La cosa mi fa un po’ ridere. O aveva bisogno di esercitare un suo potere di poliziotto macho? E cosa avrebbe fatto, se invece di un uomo anziano si fosse trattato di un& ragazz&, o ner&, o zingar&? Si sarebbe divertito di più, a mettergli le mani addosso?

Comments ( 1 )

  • Paolo

    Sono anch’io un anziano. Quello che non capisco è perché un Presidente che era Ministro della Difesa quando dalle basi italiane partivano gli aerei per bombardare Belgrado debba usare tanta retorica per giustificare il suo falso pacifismo.

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