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La Consulta boccia il decreto “Caivano” e i Cpr

La Corte Costituzionale rileva che il decreto Caivano «viola l’articolo 3 della Costituzione» nella parte che esclude dalla messa alla prova i piccoli spacciatori e che la detenzione amministrativa nei cpr è illegittima

di Eleonora Martini e Giansandro Merli da il manifesto

Il Decreto Caivano è stato dichiarato incostituzionale dalla Consulta nella parte in cui esclude dalla messa alla prova coloro che sono accusati di “piccolo spaccio” o “spaccio di lieve entità” (articolo 73 del Testo unico sulle droghe 309 del 1990). Lo ha stabilito la sentenza numero 90 depositata ieri che accoglie le questioni sollevate dalle sezioni penali dei Tribunali di Padova e Bolzano relativamente ai casi di due giovani che, se non fosse per quella norma bandiera del governo Meloni, avrebbero «tutti gli altri requisiti», come si legge nel pronunciamento, per accedere all’istituto giuridico richiesto dallo stesso indagato. Il decreto 123, in vigore dal settembre 2023 e varato a seguito di un terribile episodio di cronaca (due cuginette stuprate da un branco di giovani del luogo), secondo i giudici, viola infatti l’articolo 3 della Costituzione.

VA RICORDATO che la messa alla prova prevede la sospensione del procedimento penale «nella fase decisoria di primo grado per i reati di minore allarme sociale» (puniti con un massimo di 4 anni di reclusione) e trasforma la pena, su richiesta dell’interessato, in attività riparative del danno commesso alla comunità. Se, alla fine del periodo fissato, l’esito è positivo il reato si estingue, altrimenti il procedimento penale riprende. Il decreto Caivano (che modifica l’art. 168-bis c.p.) ha però innalzato le sanzioni per il piccolo spaccio con la reclusione da 6 mesi a 5 anni, anziché i 4 anni stabiliti in precedenza. Precludendo così la possibilità per i piccoli spacciatori di evitare il carcere.

SECONDO il Tribunale di Padova, che ha sollevato davanti alla Corte costituzionale il caso di M. C., maggiorenne da pochi mesi, arrestato il 17 gennaio 2024 per detenzione di 51,65 grammi di hashish suddivisi in panetti, il piccolo spaccio «coinvolge nella stragrande maggioranza dei casi soggetti che sono a loro volta assuntori e che utilizzano i proventi dell’attività illecita per approvvigionarsi di stupefacente». Di conseguenza, sottolineano i giudici costituzionali, «per questo reato, l’istituto della messa alla prova consentirebbe, conformemente alla finalità rieducativa della pena, di evitare l’ingresso in carcere, che può mettere in contatto il condannato con soggetti ben più professionali nell’ambito dello spaccio di stupefacenti, di affrontare in via privilegiata il problema della tossicodipendenza, nonché di consentire all’imputato di affrontare il percorso rieducativo».

IL TRIBUNALE di Bolzano si è invece appellato alla Consulta per il caso del giovane R. B., arrestato in flagranza il 3 febbraio 2024 per detenzione ai fini di spaccio di circa 16 grammi di cocaina e 10 grammi di hashish. Entrambe le sezioni penali hanno chiesto di giudicare illegittima la parte del Decreto Caivano censurata anche perché crea «disparità di trattamento con il reato di “istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti”». Il quale, malgrado sia un «reato più grave» e sanzionato con una pena edittale maggiore, rientra però, come sottolineano il presidente Amoroso e il redattore Marini che firmano la sentenza, «tra le fattispecie per cui può essere disposta la messa alla prova». Creando, in questo modo, un trattamento «irragionevole e foriero di disparità» che «ribalta la scala di gravità».

La detenzione amministrativa dei cittadini stranieri viola i diritti fondamentali e la Costituzione. Diversamente da quanto richiede l’articolo 13 della Carta, infatti, la legge disciplina i «casi» del trattenimento nei Cpr ma non i «modi». Significa che mancano le garanzie ai migranti privati della libertà personale, a partire dall’individuazione di un giudice competente (come la magistratura di sorveglianza per le carceri).

Lo ha stabilito ieri la Consulta che però si è fermata ad accertare l’incostituzionalità della norma, senza dichiararla. In gergo tecnico si chiama «sentenza monito»: i giudici delle leggi riconoscono l’offesa di un diritto ma si dichiarano impossibilitati a risolverlo. «Gli strumenti del giudizio di legittimità costituzionale sulle leggi non permettono a codesta Corte di rimediare al difetto». Solo per tale motivo le questioni sollevate, con grande coraggio, dalla giudice di pace di Roma Emanuela Artone sono inammissibili. Dovrà dunque intervenire il legislatore che ha «l’ineludibile dovere di introdurre una disciplina compiuta».

LA DIFFERENZA tra le motivazioni e l’esito apre a differenti interpretazioni della comunità dei giuristi. Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato e già docente di diritto d’asilo e status costituzionale dello straniero all’università di Palermo, ne dà una lettura molto critica: «Un capolavoro di ipocrisia. Viene dichiarata l’inammissibilità per aggirare i problemi dopo una brillante analisi tecnico-giuridica. Con una capriola argomentativa contenuta nella parte finale la giurisdizione si piega all’esecutivo».

Di avviso diverso il professore ordinario di diritto costituzionale e pubblico della Sapienza Marco Benvenuti: «Le affermazioni di principio sull’illegittimità costituzionale del sistema di trattenimento sono inequivocabili e possono produrre effetti concreti sia se il legislatore darà seguito alla decisione, sia in caso contrario». Benvenuti ritiene che in astratto la Consulta avrebbe potuto osare di più, ma in concreto era molto complesso perché c’è un precedente diretto. Nel 2022 la sentenza della stessa Corte relativa alle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) ha stabilito che anche in presenza di violazione della libertà personale serve in prima battuta una soluzione di sistema. Una legge.

IN GENERE IL RISCHIO delle sentenze monito è che restino inascoltate. Nonostante questa presenti toni più edulcorati di altre, stavolta andrà in maniera completamente diversa: in serata il ministero dell’Interno ha fatto trapelare che «gli uffici erano già impegnati nella redazione di una norma di rango primario».

Come al solito, sarà un decreto. Per sbrigarsi, perché il governo teme che le motivazioni siano utilizzate dai difensori dei migranti detenuti nei centri in Italia o in quello di Gjader. Gli avvocati Eugenio Losco, Mauro Straini e Gianluca Castagnino hanno immediatamente depositato un’istanza per chiedere la liberazione di un loro assistito rinchiuso nel Cpr romano di Ponte Galeria. «La decisione della Consulta si può utilizzare in tanti modi. A partire dal ricorso d’urgenza ex articolo 700. Probabilmente già domani (oggi, ndr) sarà chiamata in causa nella richiesta di convalida di un trattenimento in Albania», afferma l’avvocato Salvatore Fachile.

«LA SENTENZA è utile anche nelle cause per risarcimento danni – aggiunge il legale – Come Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione la useremo nella causa al Consiglio di Stato in cui contestiamo la legittimità del capitolato di appalto per i Cpr, un’ulteriore delega al privato nella gestione dei modi del trattenimento. Soprattutto riguardo al diritto alla salute».

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