La brutalità poliziesca in Grecia

Il libro  di Anastassia Tsoukala, Police Brutality in Greece. The Rotten Tree  affronta la brutalità della polizia da un punto di vista ancora inesplorato nel mondo accademico e dimostra che la radicata e persino crescente brutalità della polizia greca è un problema multifattoriale con dimensioni interne ed esterne che coinvolgono istituzioni chiave in una democrazia liberale. 

di Salvatore Turi Palidda da Studi sulla questione criminale

polizia brutale greciaPropongo qui una parte, da me tradotta, del libro di Anastassia Tsoukala, Police Brutality in Greece. The Rotten Tree (Peter Lang Group AG, Losanna, 2025), che descrive la metodologia e l’indagine sul campo e poi le conclusioni. Al di là delle specificità del caso greco, questa ricerca mostra bene come le brutalità e torture vi si perpetuano, come del resto si osserva anche in Italia in particolare in occasione della repressione dei militanti della lotta armata e poi anche nelle “mattanze” nelle carceri, al G8 di Genova e ancora dopo in caserme e commissariati ad opera delle polizie italiane, così come in tanti altri paesi detti democratici. Fra i diversi aspetti molto significativi evidenziati in questo libro, si noterà il pesante potere acquisito dalla polizia greca, uno “stato nello stato”, grazie a un potere politico assai ricattabile per via degli illegalismi diffusi fra i politici e un sistema giudiziario (si costituisce così il “triangolo polizia-potere politico-giudiziario” che garantisce l’impunità, proprio grazie a questa sorta di “patto”1). Ciò permette non solo la reciproca copertura degli illegalismi degli uni e degli altri, ma anche l’impunità della polizia. Preciso che il termine brutalità usato dall’autrice comprende anche torture e omicidi.

Il 28 febbraio 2025, due anni dopo la tragedia ferroviaria in cui 57 persone morirono e decine rimasero ferite, centinaia di migliaia di manifestanti hanno manifestato in tutta la Grecia paralizzata dallo sciopero generale2. L’ondata di rabbia è stata così forte proprio come rivolta contro la gestione politica e giudiziaria della tragedia, cioè contro l’impunità di cui parla l’autrice in questo libro3.

Il libro comprende il primo capitolo: Gestione dei gruppi aventi diritto a protezione costituzionale o derogatoria; il secondo: Controllo delle proteste e di altri raduni di massa; il terzo: Controllo dell’ordine pubblico ordinario; il quarto: La polizia ellenica; il quinto: Controllo esterno della polizia; il sesto: Brutalità della polizia sotto processo; il settimo: Pratiche di elusione della responsabilità.

 L’autrice vive fra Atene e Parigi da oltre 30 anni e non ha mai smesso di lavorare alle ricerche in questo campo anche con l’osservazione partecipante. Oltre alle sue pregresse ricerche, quella presentata in questo volume si basa in particolare sui dati raccolti da gennaio 2021 a dicembre 2023 e da due ricerche sulla protest policing condotta ad Atene, come osservatore partecipante, nel 2010-12 e nel 2014-16.

Metodologia e sintesi della ricerca svolta

Fra le molte sfide di ricerca e metodologiche va ricordato che quella sulle brutalità della polizia è gravemente ostacolata dall’opacità dei procedimenti disciplinari. Se tali fatti non appaiono sui media, l’apertura di un’indagine interna è invisibile. Le informazioni contenute nei rapporti annuali del National Mechanism for the Investigation of Arbitrary Incidents (NMIAI) sono preziose, ma si riferiscono solo a determinati casi considerati rappresentativi dell’insieme. Per ciò che riguarda le brutalità della polizia con movente razzista, i rapporti annuali del Racist Violence Recording Network (RVRN) non sono utili perché i loro dati statistici non fanno alcuna differenza tra le forze dell’ordine e la Guardia costiera e l’analisi si concentra solo su determinati casi considerati rappresentativi del totale. Perciò, questa ricerca si basa sulla mia compilazione di un elenco di fatti rilevanti, con le seguenti limitazioni.

Il primo limite è settoriale: il controllo delle frontiere è escluso dal campo di questa ricerca perché è un altro campo di ricerche a sé. Sono escluse anche le brutalità poliziesche nelle carceri perché, in assenza di reclami inoltrati al NMIAI dal Segretariato generale del Ministero della protezione dei cittadini responsabile del sistema penitenziario (il garante), il fenomeno permane poco evidente. Va rilevato come all’assenza di interventi da parte del garante si affianchi la presentazione di tredici ricorsi alla CEDU, promossi da altrettanti legali di detenuti reclusi presso il penitenziario di Nigrita, situato nella Grecia settentrionale. I ricorrenti sostengono che il 22 maggio 2020, durante un’operazione di polizia nel penitenziario, sono stati colpiti da gas lacrimogeni all’interno delle loro celle e picchiati violentemente dalla polizia. Il caso è stato notificato al governo greco il 7 marzo 2022.

 Il secondo limite è temporale. Le brutalità di polizia sono così numerose che impediscono un’analisi approfondita. La ricerca si è quindi concentrata sui casi relativamente recenti. Sebbene i risultati mostrino un aumento della brutalità della polizia sotto l’attuale governo, il lasso di tempo scelto esclude qualsiasi conclusione affidabile perché copre un periodo breve dei precedenti governi di sinistra e i recenti governi conservatori. Il governo di sinistra con Syriza è durato da gennaio ad agosto 2015 e da settembre 2015 a luglio 2019. Dopo c’è stato il governo conservatore di Nuova Democrazia.

Le brutalità di polizia contro gruppi aventi diritto a protezione costituzionale o derogatoria sono state censite in modo esaustivo dal 1° gennaio 2017 al 30 giugno 2022. Tuttavia, il numero di episodi che hanno avuto un impatto sul resto della popolazione è così elevato da rendere necessaria una doppia limitazione. Per questo sono stati inclusi soltanto i casi avvenuti tra il 1° gennaio 2019 e il 30 giugno 2022. Il limite temporale – dal 2019 in poi – è stato scelto non solo per la mole dei casi, ma anche perché si tratta dell’unico periodo coperto dai rapporti ufficiali pertinenti. Per quanto riguarda gli episodi di brutalità della polizia con movente razzista, i rapporti ufficiali notano costantemente che le denunce da loro documentate offrono uno scorcio di una realtà altrimenti impercettibile. Gli elenchi di brutalità su persone LGBTQI+, Rom, migranti, richiedenti asilo e i loro difensori sono semplicemente indicativi. Inoltre, gli elenchi sul resto della popolazione hanno un numero significativo di casi che sono tuttavia limitati a quelli considerati rappresentativi a causa della loro natura, gravità e/o ampia copertura mediatica o perché illustrano l’espansione geografica e/o la frequenza della brutalità della polizia. Dei 136 casi da me raccolti, 48 riguardano gruppi aventi diritto a protezione costituzionale o derogatoria e 88 il resto della popolazione.

I tribunali greci sono così lenti nell’emettere sentenze che quelle definitive possono essere stabilite molti anni dopo l’evento (uno studio condotto dalla Banca Mondiale Grecia ha rilevato che il paese detiene il 146° posto a livello mondiale nell’indice di “produzione” delle prestazioni dei sistemi giudiziari). Quindi, l’analisi della (in)tolleranza della giustizia penale per la brutalità della polizia impone un lasso di tempo specifico. La maggior parte delle 15 sentenze dal gennaio 2017 a dicembre 2023 non corrispondono ai casi analizzati, ma sono qui considerate rappresentative dell’atteggiamento generale della magistratura in questo tipo di processi.

La raccolta di dati sulle brutalità della polizia si basa su fonti secondarie, ovvero eventi riportati nei media nazionali/locali, documentati nei rispettivi rapporti annuali dell’NMIAI e dell’RVRN e nei rapporti semestrali del Rom Project. La raccolta primaria di fatti citati nei media mette in luce la portata ancora inesplorata dell’assenza di indagini interne che per definizione non è registrata nei rapporti sopra menzionati. L’analisi della sequenza dei fatti si basa anche sui filmati disponibili online, qui considerati come fonte secondaria quando sono commentati, o primaria quando non lo sono. Le foto sono sempre considerate fonti primarie. Quando possibile, le informazioni sulla sequenza degli eventi sono state completate da interviste condotte con i querelanti o testimoni oculari. Se il loro nome non è stato menzionato nei resoconti dei media, i querelanti erano inizialmente anonimi. La loro identificazione è il risultato di un mio networking. Quando non è stato possibile identificarli, sono rimasti anonimi; nei diversi casi in cui m’hanno chiesto di mantenere l’anonimato, ho utilizzato pseudonimi. Intervistare i querelanti è un’opzione soprattutto etica derivante dal principio non negoziabile per cui la sofferenza umana non deve essere affrontata in modo distante e impersonale, basandosi esclusivamente su cifre immateriali e rappresentazioni mediatiche. Le querele devono essere comprovate in modo che l’impatto della brutalità della polizia e della eventuale parzialità giudiziaria correlata possano essere pienamente percepite nell’analisi esterna, anche molto tempo dopo l’evento. Le interviste ai querelanti hanno ulteriormente confermato il principio che non debbano essere sostituiti dal ricercatore esterno. L’inclusione del loro discorso in quello dell’autore non può neutralizzare completamente la soggettività dell’autore, ma diminuisce il rischio di articolare un discorso arbitrario in loro nome. In molti casi, la mia ricerca è stata facilitata dalla documentazione supplementare che mi hanno fornito.

Per quanto riguarda le informazioni sull’apertura, l’avanzamento e l’esito delle indagini interne, la ricerca si basa su fonti primarie e secondarie. Le prime erano interviste condotte con i querelanti o i loro avvocati. Quando ciò non era fattibile, le informazioni pertinenti sono state ottenute dall’NMIAI, dagli articoli di stampa e dal team di giornalisti investigativi The Manifold Files (TMF). Le informazioni sui progressi e l’esito delle indagini penali e sulle sentenze dei tribunali sono state ottenute tramite interviste condotte con i querelanti o i loro avvocati. Le informazioni sulle sentenze dei tribunali sono state ottenute anche tramite articoli di stampa. In totale, ho condotto 128 interviste dal 21 febbraio 2022 al 18 dicembre 2023.

Va sottolineato che gli SG (guardie speiciali) non frequentano le Scuole di Polizia e, pertanto, non sono agenti di polizia. Nella misura in cui le attività di polizia coinvolgono sia agenti sia SG, essi verranno indicati complessivamente come funzionari di polizia, salvo diversa specificazione.

Il libro è diviso in due parti. La prima propone una mappatura delle brutalità della polizia, strutturata in quattro gruppi classificati in base alla posizione dei querelanti nel loro segmento sociale. Il gruppo superiore è composto da sottogruppi aventi diritto a protezione costituzionale o derogatoria, ovvero legislatori, addetti stampa e avvocati. I gruppi mediani includono manifestanti e membri di altri raduni di massa e civili comuni che interagiscono individualmente con la polizia. Il gruppo inferiore è composto da sottogruppi socialmente vulnerabili, ovvero Rom, migranti e richiedenti asilo. La descrizione sommaria delle brutalità per gruppo è completata da un esame dei rispettivi modelli motivazionali delle forze dell’ordine, dei discorsi pubblici e della gestione amministrativa e giudiziaria della forza eccessiva.  L’analisi del modo in cui la brutalità della polizia si manifesta ed è affrontata in ciascun gruppo mette in luce le rispettive caratteristiche specifiche. Man mano che l’analisi focalizzata sul gruppo procede, si evidenzia l’esistenza di modelli comuni che corroborano le radici sistemiche della brutalità della polizia. In tutti i casi, l’analisi tiene conto di atti e omissioni, nonché di discorsi e silenzi. L’analisi del silenzio e della mancata indagine svela l’atteggiamento della polizia ellenica nei confronti della politica e della comunità. L’analisi del comportamento degli operatori di polizia identifica una serie di modelli motivazionali. L’analisi dei discorsi pubblici, delle indagini interne e di quelle penali evidenzia alcuni dei mezzi utilizzati per ottenere una punizione mite, se non addirittura l’impunibilità.

La seconda parte presenta in modo critico le tre sfaccettature del meccanismo di controllo, ovvero la supervisione interna, la supervisione esterna della polizia e il controllo giudiziario. L’analisi di questo sistema informale mira a mettere in luce alcune pratiche di elusione delle responsabilità, messe in atto sia nei procedimenti disciplinari che in quelli penali, per mostrare come la loro interazione con la molteplice tolleranza della brutalità della polizia finisca per garantire una quasi totale impunità che consente alla brutalità della polizia di diventare perenne. L’ultimo capitolo mette in luce un sistema – che viene “dal basso” – e riguarda l’elusione della responsabilità.

Conclusioni

I risultati di questa ricerca dimostrano che la radicata e persino crescente brutalità della polizia greca è un problema multifattoriale con dimensioni interne ed esterne che coinvolgono istituzioni chiave in una democrazia liberale. La rete di interazioni che consente alla brutalità poliziesca di diventare perenne sembra dovuta a una percezione arbitraria ma sovrastante di cosa sia la democrazia; essa comprende la polizia, le autorità statali, la classe politica e la società civile. All’interno di questa deformante mentalità la polizia greca cerca di stabilire e, in una certa misura, riesce a imporre il suo potere in continua crescita. Il rapporto fra i vertici della polizia e il potere politico permette a questa di disporre di un forte potere.

La proiezione prevalente di un’immaginaria onnipotenza della polizia si traduce, in certi casi, in un parossistico dominio immaginario sul corpo e sulla dignità dell’altro, ed è alimentata da due categorie di modelli motivazionali. La maggior parte delle brutalità è determinata da una visione del mondo carica di ideologia, di estrema destra e occasionalmente fascista; essa solleva le inibizioni morali mentre controlla persone di sinistra, anarchici, anti-autoritari, rom, migranti, richiedenti asilo e attivisti pro-migranti. Il background politico, sebbene di diversa origine, si ritrova anche in diverse brutalità che fanno parte di una zona grigia di controllo della polizia, che coinvolge attori dello deep state.

La seconda categoria comprende i modelli motivazionali di tipo impulsivo. Sia la vendetta sia l’autoprotezione rispondono a potenti impulsi psicologici che annullano ogni linea di demarcazione tra le persone direttamente coinvolte e gli individui casuali, così come tra i soggetti investiti di autorità e il resto della comunità.

L’analisi sia del background multiforme della brutalità della polizia che delle sue interazioni con le autorità statali mette in luce un nesso di contraddizioni della polizia e un nesso della sua tolleranza multilivello che, in certi casi, va di pari passo con la copertura di comportamenti illeciti della polizia.

Principi contro applicazione

La prima contraddizione risiede nell’assenza di un collegamento essenziale tra il dover essere e l’essere reale. Il divario tra le priorità legali e la classificazione di fatto delle priorità della polizia è più che evidente. I risultati di questa ricerca mostrano che nel 49,2% degli incidenti di brutalità della polizia analizzate, l’EL.AS (polizia greca) non ha ordinato indagini interne o ne ha ordinate di fasulle4. Diciotto mesi dopo l’ultimo episodio di brutalità, l’EL.AS ha completato il 30% di tutte le indagini interne in questione: solo tre hanno portato a sanzioni disciplinari. L’indagine interna è stata ordinata solo per incidenti di brutalità della polizia che, cumulativamente o in alternativa, hanno suscitato proteste pubbliche, ricevuto ampia attenzione mediatica, avuto un impatto sui detentori del potere, sono stati dannosi per l’immagine internazionale del paese. La valutazione complessiva di questa gestione istituzionale non può che evidenziare un persistente disprezzo per i pilastri del sistema politico e normativo nazionale. Emerge l’accettazione di molti diritti costituzionali da violare, insieme al disprezzo per la giustizia, il diritto alla vita, la dignità umana, la protezione dell’ordine pubblico e sociale e la responsabilità. Per quanto possa essere velata dall’opacità e dai discorsi pubblici manipolatori, la percezione autoritaria del controllo è confermata dal meccanismo disciplinare messo in moto solo come strumento di gestione delle relazioni polizia-governo, per preservare l’immagine del governo all’interno del paese e all’estero; relazioni polizia-popolazione, per rassicurare l’opinione pubblica nazionale sulle intenzioni legittime della polizia; relazioni polizia-detentori del potere, per preservare apparentemente l’equilibrio reciproco del potere.

In questo assetto la tolleranza della brutalità della polizia ha incitato gli operatori di polizia a credere che possano comportarsi in modo violento senza quasi mai esserne ritenuti responsabili, nonostante i loro comportamenti siano palesemente antitetici alle norme di diritto. Nel 65,7% dei casi di brutalità della polizia a carattere ideologico (reazionario) l’EL.AS non ha ordinato indagini interne. Nella brutalità della polizia con movente razzista, il 43,4% dei fatti rilevanti non è stato indagato.

Immaginario contro realtà

La seconda contraddizione deriva dall’assenza di molti elementi chiave della mascolinità immaginaria. Mentre la proiezione all’onnipotenza immaginaria collettiva della polizia è conforme sia agli atti degli operatori di polizia, sia all’atteggiamento istituzionale rilevante, la proiezione alla mascolinità immaginaria individuale, che ha un impatto sul comportamento violento, soffre di gravi carenze. In effetti, è sostenuta da una grande contraddizione tra mascolinità ideale e vissuta. L’archetipo maschile combina forza fisica, psicologica e morale per essere (im)materialmente potente. La dimostrazione di potenza muscolare sul campo di battaglia va di pari passo con una dimostrazione altrettanto importante di coraggio correlato alla responsabilità. L’ideale maschile rifiuta ulteriormente gli incontri conflittuali che comportano uno squilibrio di potere palese5. Il coinvolgimento ricorrente in episodi di brutalità collettiva della polizia contro civili isolati, aggressioni contro minori e l’adesione a una sottocultura che evita la responsabilità capovolgono praticamente la mascolinità immaginaria. Quindi, quest’ultima è vissuta come tale solo nella misura in cui dipende dall’immaginario corollario dell’onnipotenza della polizia.

Apparenza contro realtà

La terza contraddizione permea l’atteggiamento autoritario dell’EL.AS, che prevale nelle relazioni tra polizia e politica e tra polizia e comunità, ma è frenato quando si tratta di gestire le relazioni all’interno della polizia. Da un lato, l’assenza sistematica di identificazione è di fatto accettata. Dall’altro, i risultati di questa ricerca mostrano che nel 19,1% delle brutalità analizzate non è stata indagata la violazione palese delle regole operative o l’EL.AS ha ordinato un’indagine interna fallace.

La tolleranza di lunga data di una radicata cattiva disciplina multiforme va presumibilmente oltre la solidarietà corporativa per suggerire un inconfessato equilibrio di potere tra vertici della polizia e base. L’immagine di un’agenzia di sicurezza disordinata che per definizione dovrebbe essere disciplinata crea l’impressione che le relazioni all’interno della polizia siano basate su una condizione di lavoro informale. È come se l’accettazione di uno spazio di indisciplina implicitamente definito fosse stata posta come condizione per una rigorosa obbedienza in altre operazioni di polizia o, in generale, per il raggiungimento complessivo del lavoro di polizia.

Tolleranza multilivello

L’osmosi tra funzionari di polizia illegittimamente violenti, l’EL.AS e il Ministero della protezione dei cittadini diventa visibile attraverso discorsi pubblici alienanti rispetto alla verità; con essi si cerca di preservare e rafforzare una rivendicazione implicita di potere di per sé, al di fuori del sistema politico e normativo nazionale, implicando il rifiuto o il disprezzo per i rispettivi sistemi di valori. Questo disordine primario genera tutti gli sforzi per evitare le responsabilità sia nei procedimenti disciplinari che nella supervisione esterna della polizia.

 Tuttavia, il risultato combinato della gestione della brutalità della polizia da parte della polizia e del governo non sarebbe stato così efficiente senza la concomitante mancanza di una giustizia efficace. Sebbene il volume delle indagini della procura rimanga basso, a causa dell’impossibilità di identificare i trasgressori e della riluttanza dei civili a presentare denunce penali, la gestione complessiva della brutalità della polizia da parte della procura rivela una parzialità inquietante. L’accusa di parte va di pari passo con la persistente clemenza dei giudici penali, che sono riluttanti a punire la brutalità della polizia. L’assenza essenziale di giustizia penale non è controbilanciata dalla giustizia amministrativa riparatrice. La comunità è quindi intrappolata in una ricerca perpetua di giustizia nel disordine politico e normativo.

Questo nesso polizia-governo-giustizia ha finito per costruire un solido sistema di protezione dell’autoritarismo della polizia. Infatti, la popolazione è chiamata ad accettare sia l’onnipotenza della polizia, sia la concomitante tolleranza multilivello, se non l’approvazione implicita, dell’azione arbitraria della polizia. Questa conclusione solleva inevitabilmente la questione della classificazione del potere in una democrazia liberale. L’erosione della democraticità del governo prodotta dalla polizia è duplice. Da un lato, cerca di stabilire un autoritarismo diffuso che rompe le relazioni tra civili e politici e cerca di riarticolare il campo politico limitando i diritti e le libertà fondamentali. Dall’altro, scongiura apertamente tutti i tentativi politici di controllare il suo potere al fine di stabilire la sua autonomia, uno stato a sé stante (o stato nello stato) che deforma le relazioni tra apparato statale e classe politica. Invece di contrastare l’autoritarismo della polizia, come dovrebbe fare in una democrazia liberale, la magistratura ha aderito alle priorità stabilite dalla polizia e dal governo.

Passività politica

Questa strutturazione antidemocratica delle relazioni di potere è dominante in gran parte perché è politicamente incontestata. Mentre l’introduzione della supervisione esterna della polizia era il risultato di una persistente pressione politica sull’EL.AS, l’istituzione e il graduale rafforzamento dell’NMIAI hanno prodotto una distanza politica da tutte le questioni collaterali. La riluttanza parlamentare a porre rimedio all’opacità e all’irresponsabilità della polizia è dimostrata dall’assenza di indagini su varie questioni sollevate da tutti i rapporti dell’NMIAI presentati alle competenti commissioni parlamentari. Questa riluttanza va di pari passo con l’assenza di pressione sul governo per accelerare la supervisione esterna della polizia e migliorare i poteri investigativi dell’NMIAI sotto organico, anche creando nuove posizioni.

Questi punti sono sollevati anche dalla risoluzione del Parlamento europeo sullo stato di diritto e la libertà dei media in Grecia che esprime profonda preoccupazione per i numerosi casi di uso eccessivo della forza da parte dei servizi di polizia, la qualità carente delle successive indagini e sentenze dei tribunali e la carenza di finanziamenti e personale dell’Ombudsman. La passività politica interna si osserva anche per quanto riguarda l’origine della brutalità della polizia. Nessun partito politico ha mai contestato dinanzi al Consiglio di Stato il modello di gestione delle proteste ad alto rischio.

Per quanto vivide e sincere possano essere, innumerevoli denunce politiche di brutalità della polizia hanno finito per perdere, perché non superano più il livello retorico per proporre riforme concrete. La forte opposizione tra l’istituzione inizialmente rassicurante dell’NMIAI e la preoccupante persistenza della brutalità della polizia non ha incitato un’ulteriore esplorazione di ciò che ostacola ancora il controllo della polizia e la ricerca di un possibile rimedio. Infatti, la richiesta apparentemente dinamica di responsabilità della polizia è sostenuta da una logica passiva di delega in quanto è rivolta a coloro che sono responsabili della brutalità della polizia, senza mai proporre riforme che possano limitare il potere discrezionale della polizia e, di conseguenza, l’autoritarismo e l’impunità. Da questo punto di vista, nonostante la loro diversa origine e il loro obiettivo, le attuali denunce politiche di brutalità della polizia fanno parte di un gioco di comunicazione senza un impatto effettivo sulla realtà, rispecchiando così l’equivalente gioco di comunicazione dell’EL.AS per quanto riguarda la loro intenzione di controllare la brutalità della polizia.

La passività politica e la conseguente trasformazione della società civile, destinataria di questa ristrutturazione antidemocratica delle relazioni di potere nella politica, rendono inutili tutte le lamentele e consentono indirettamente alla brutalità della polizia di diventare perenne in un governo democratico in via di estinzione. Questo stato di cose lascia due opzioni. O la società civile accetterà la servitù volontaria deterministica analizzata da Étienne de La Boétie o contrasterà questo ordine di cose imposto dall’alto e dal basso e costringerà la classe politica a garantire giustizia, libertà e sicurezza in una società democratica.

La conclusione preoccupante che deriva da questa ricerca solleva inevitabilmente la questione della potenziale internazionalizzazione di questa deriva autoritaria. L’analisi delle relazioni di potere, all’interno del nesso polizia-governo-giustizia greco, si riferisce essenzialmente a un caso isolato, intrecciato con il graduale restringimento dello stato di diritto e l’ascesa dell’estrema destra in un paese segnato da una fragile tradizione parlamentare? Non esiste una risposta semplice a questa domanda. Da un lato, sebbene molti aspetti, sia della manifestazione sia della gestione della brutalità della polizia in Grecia, siano osservati anche in molti altri paesi, l’assenza di una ricerca sistemica orientata alla brutalità della polizia rende difficile affermare se, e in quale misura, le relazioni di potere e le pratiche correlate portate alla luce da questa ricerca siano diffuse in paesi con una lunga tradizione parlamentare o in paesi che hanno aderito di recente al parlamentarismo. Dall’altro, il declino dello stato di diritto e l’ascesa dell’estrema destra sono oggigiorno palpabili in tutta Europa e oltre, portando così alla plausibile ipotesi che questa continua ristrutturazione del campo politico abbia già avuto o avrà un impatto pesante sulle questioni legate alla brutalità della polizia. È troppo presto per dire se questa deriva sarà contrastata da una resistenza istituzionale e/o civile, se produrrà fluttuazioni temporanee o inquadrerà in modo solido e non democratico le relazioni tra stato e società nelle democrazie liberali, perché l’esito dipende da una serie di variabili imprevedibili. Pertanto, non è ancora possibile affermare se il caso di studio greco sia più o meno isolato, rappresentativo di ciò che è già discretamente in atto in altri paesi o annunciatore di un oscuro futuro internazionale6.


Note


  1.  Ndt: Questa sorta di patto si osserva anche nel caso italiano e per certi versi anche in quello francese (vedi anche il libro di Marco Preve, Il partito della polizia, Chiarelettere, 2014 e Palidda S., Polizie, sicurezza e insicurezze, Meltemi, 2021) ↩︎
  2. Ndt: Vedi i video https://greeknewsondemand.com/2025/02/28/rage-in-greece-as-second-anniversary-of-train-disaster-prompts-mass-protests/ e https://youtu.be/qI0maeve5Ws ↩︎
  3. Non ho ossigeno Maria Kakogianni ( https://lundi.am/Grece-Je-n-ai-pas-d-oxygene )
    E’ la frase registrata nelle chiamate di emergenza il giorno della tragedia di Tempé, in cui persero la vita 57 persone. È anche lo slogan con cui la gente ha manifestato il 28 febbraio 2025, giorno del secondo anniversario della tragedia, in quella che sembra essere una delle più grandi manifestazioni popolari in Grecia dai tempi della Metapolitefsi e della fine della dittatura dei colonnelli.
    Le lotte popolari sono rapsodie. Si intrecciano, si riecheggiano, si collegano ostinatamente, mantengono relazioni “citazionali”. Così ieri nella manifestazione di Bruxelles, che riecheggiava quelle in Grecia, si poteva leggere su un cartello “Non riesco a respirare”, in riferimento alle manifestazioni americane seguite all’assassinio di George Floyd.
    “Le nostre vite, i loro profitti”, “non è stato un incidente ma un assassinio di Stato”, questo giorno del 27 febbraio, questo giorno di una delle più grandi manifestazioni popolari in Grecia, è arrivato dopo un mese e mezzo durante il quale, praticamente ogni giorno, siamo rimasti sbalorditi lì come qui dalle agitazioni della nuova amministrazione americana, Trump, Musk e soci. Dark MAGA, fascinazione a profusione, Dark Lights nell’estetizzazione dei videogiochi.
    Lasciate che i morti muoiano, Famiglia, Patria, energia maschile e microchip. Megatecnologia, megabacini, megaproprietà: il nuovo Prometeo non ne avrà mai abbastanza.
    Lo smantellamento dei servizi pubblici è all’origine della tragedia ferroviaria di Tempé. Dal 2008, con l’esplosione del debito sovrano, il Paese è in ginocchio. La depressione non ha fine. Tutti lo sanno, lo sentono: è la nostra vita contro i loro profitti.
    Ma le nostre lotte rendono immortali i nostri morti. GIUSTIZIA.
    Ieri ad Atene è stato pronunciato il nome di ognuno dei 57 morti e, quando il nome è stato pronunciato, la folla ha ripetuto “presenti” o “presenti”. Alla fine, la folla annuncia che sono e rimarranno athanatoi, immortali. Fermare. Tempo di inattività. Trasporti fermi, scuole, università, amministrazioni chiuse, come la maggior parte dei negozi nel centro di Atene. Il paese è in sciopero generale, per una lunga giornata e su un territorio molto vasto, le strade di Atene appartengono a questo sciopero, a questi pedoni che vengono da ogni dove, come formiche che escono dai loro formicai e che si uniscono per diventare non un gran numero ma uno innumerevole. Formiche trasformate in cicale che sognano e cantano la primavera in pieno inverno.
    Il giorno prima, il 27 febbraio, le persone detenute in diversi penitenziari in Grecia hanno firmato una dichiarazione di solidarietà: “Noi, prigionieri nelle carceri greche, uniamo le nostre voci a quelle dei genitori delle vittime di Tempe e di tutte le persone che manifesteranno nelle strade e nelle piazze per chiedere giustizia”. È davvero il mondo capovolto. Ed è proprio di questo che si tratta, di capovolgere il mondo, affinché le nostre vite e le nostre morti contino più dei loro profitti. Affinché i nostri canti di giustizia possano respingere la loro libertà privatizzata che puzza di pesticidi e monopolizza l’acqua. Amazon ha sete, ma lo abbiamo anche noi. I data center hanno sete, ma lo abbiamo anche noi. Gli universali non sono armi di sottomissione. E non sono nemmeno semplici strumenti di espansione coloniale. Per le lotte popolari che si intrecciano nelle rapsodie, l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo sono universali concreti. Alcune figure rivoluzionarie del passato sono marcite. E la nuova reazione sfrutta questo fatto. Ciò che è marcito deve essere lasciato marcire nel compost. Non è qualcosa da buttare via, è qualcosa da cui abbiamo un’ipotesi per rigenerarci. Prigionieri che diamo aria e chiediamo giustizia a chi manifesta fuori, solidarietà, uguaglianza, libertà, dignità, abbiamo sete di storie che non siano né troppo grandi né troppo piccole. Abbiamo bisogno di storie che siano una boccata d’aria fresca. In questo mondo irrespirabile, noi siamo ancora qui. ↩︎
  4. Ndt: In tutte le polizie le indagini interne sui loro illeciti e persino crimini gravi sono quasi sempre una farsa (vedi i casi delle indagini dell’IGPN en France, mentre in Italia non si hanno neanche dati sui reati di operatori delle polizie e su queste indagini interne ma si sa che o non se ne fanno o sono sempre un simulacro di inchieste che finiscono sempre per confermare l’impunità, vedi anche pp. 203-211 nel libro Palidda S., Polizie, sicurezza e insicurezze, Meltemi, 2021. ↩︎
  5. Ndt: mascolinità e muscolosità si combinano con ciò che in Italia è chiamato rambismo. ↩︎
  6. Ndt: Purtroppo la deriva reazionaria è generalizzata in quasi tutti i paesi!!! Dagli Stati Uniti all’Europa … le lobby militari e poliziesche sono più potenti che mai e i dominanti a livello locale e nazionale pretendono avere la garanzia di praticare in totale libertà i loro illegalismi nel supersfruttamento, nella violazione di ogni norma e persino nella perpetuazione di gravi crimini per la loro corsa all’accumulazione di profitti; immancabilmente questo favorisce l’ascesa del potere delle polizie e la garanzia del loro libero arbitrio e della loro impunità  ↩︎

 

 

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