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Il memorandum Italia-Libia deve essere cancellato

Gli accordi con Tripoli hanno moltiplicato gli strumenti di ricatto dei trafficanti di uomini. Servono una visione alternativa dei fenomeni migratori e l’istituzione di canali regolari d’ingresso

È una conferenza stampa atipica quella convocata dalle associazioni del Tavolo Asilo. I giornalisti siedono da un lato e dall’altro. Accanto al dirigente nazionale Arci Filippo Miraglia ci sono Nello Scavo, che ha firmato importanti inchieste sui trafficanti di uomini per Avvenire, Francesca Mannocchi, autrice di reportage sui campi di detenzione libici per L’Espresso, e Philipp Zan, che ha trattato questi temi per la tv svizzera in lingua tedesca. È forse un segno di quello che ribadiscono vari interventi: «La situazione in Libia è chiara a tutti, solo i governi non vogliono vedere». Le denunce che continuano ad arrivare da giornalisti e associazioni, in effetti, sono gravissime quanto ormai di pubblico dominio. Per questo, poco prima che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio elogiasse l’asse Roma-Tripoli, tutti gli invitati e gli organizzatori dell’iniziativa hanno chiesto al governo di cancellare il memorandum d’intesa.

IL DOCUMENTO è stato firmato il 2 febbraio 2017 dall’ex premier Paolo Gentiloni (Pd) e dal presidente del consiglio presidenziale Fayez Mustafa Serraj affinché la cosiddetta guardia costiera libica si impegnasse a fermare e riportare sulla terraferma i migranti che tentano di raggiungere l’Italia. Se entro sabato prossimo l’esecutivo non metterà mani all’accordo, questo si rinnoverà automaticamente. «Altri tre anni di torture, stupri e violenze – afferma Miraglia – Il governo e la comunità internazionale si devono interessare al processo di pace in Libia, ma quel memorandum ha solo finanziato le milizie e aumentato il conflitto».

IL RAGIONAMENTO È SEMPLICE e ben documentato dalle inchieste giornalistiche di questi anni e dal lavoro sul campo delle organizzazioni non governative presenti al di là del Mediterraneo. «Già nei mesi successivi all’approvazione dell’intesa si è visto il passaggio dal business del traffico di uomini al business dell’accoglienza nei campi libici – dice Mannocchi – Le strategie italiane ed europee anziché annullare i meccanismi ricattatori che i trafficanti avevano in mano li hanno fatti aumentare. Prima erano solo in mare, ora anche in terra». Per la giornalista, pur facendo finta che nel 2017 la situazione in Libia non fosse così chiara, adesso nessuno può più negare la realtà. A maggior ragione dall’inizio del conflitto, il 4 aprile di quest’anno. «La guerra ha fatto mille morti. 100 di questi erano civili. 53 di loro erano rinchiusi in un campo di detenzione», sottolinea Mannocchi.

SECONDO PAOLO PEZZATI di Oxfam il problema principale è la mancanza di una «visione strategica alternativa». «Ci diranno che l’accordo va rinnovato perché non c’è altro modo di affrontare la questione – afferma Pezzati – Serve una soluzione strutturale al fenomeno delle migrazioni, con l’istituzione di canali regolari per l’ingresso. Allo stesso tempo va istituita una commissione d’inchiesta su quello che è accaduto in Libia: qualcuno deve dire come sono andate le cose in termini di impatto sui diritti umani». Per Riccardo Noury, di Amnesty International, l’Italia «è direttamente responsabile di violazioni gravissime commesse in terra e in mare dalle autorità libiche». Per voltare pagina serve un «sussulto di dignità» del governo. «Non vogliamo più essere complici», esclama Noury.

MOLTO DURE LE PAROLE utilizzate dall’avvocato Antonello Ciervo, dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Il legale ha sottolineato che le modalità di approvazione dell’accordo e gli effetti che questo produce non hanno soltanto implicazioni politiche e umanitarie, ma anche giuridiche. Richiamando l’articolo 80 della Costituzione, ha sostenuto l’esigenza che il parlamento discuta e decida se eventualmente ratificare un memorandum che «ha una natura politica, interessa partner strategici e grava sul bilancio dello Stato».

PER FINANZIARE LE MILIZIE libiche, la cui commistione con i trafficanti di uomini è ampiamente dimostrata, l’Italia ha usato soldi dei contribuenti destinati a sostenere la cooperazione con i paesi africani. «La cosiddetta guardia costiera libica – continua Ciervo – è stata creata per fare ciò che i paesi europei non possono permettersi: violare i diritti umani». Secondo l’avvocato tale modus operandi «non solo è incosciente e illegale, ma rischia di essere anche giudicato come criminale, visto che c’è un fascicolo sulla guardia costiera libica davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja».

Giansandro Merli

da il manifesto