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"Inscenato un finto suicidio". La denuncia della madre di Niki Aprile Gatti,

niki3 Niki Aprile Gatti, un giovane programmatore informatico, ufficialmente “suicidato” nel carcere di Firenze. Ma per la madre è stato ammazzato.

«Cinque anni. Io sono ferma al 24 giugno 2008. Ad una tragedia che ci ha travolti e che dovrebbe far indignare chiunque in una società civile. La nostra politica si chiede ancora perché non ha più credibilità? Dov’è la giustizia? Qual’è la tutela per un cittadino?». 
La vita di Ornella Gemini si è fermata a cinque anni fa. Quando ha saputo che suo figlio, Niki Aprile Gatti, era morto nel luogo che per definizione avrebbe dovuto essere quello più sicuro: il carcere. Si sarebbe suicidato a soli 26 anni dopo essere stato arrestato, insieme ad altre 17 persone, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze: l’inchiesta Premium portò in carcere noti imprenditori, personaggi in odore di malavita organizzata, tecnici informatici. Fece molto clamore all’epoca per poi dissolversi come una bolla di sapone con le principali persone coinvolte rimesse in libertà.

L’UNICO A PARLARE – Niki era un programmatore di una delle aziende incriminate per una serie di truffe legate alle numerazioni telefoniche a valore aggiunto con triangolazioni societarie tra Italia, San Marino e Londra. Il 19 giugno del 2008 il giovane riceve la telefonata della mamma del titolare della società per cui lavora: gli comunica che il figlio è stato arrestato e che c’è la necessità di incontrarsi con l’avvocato aziendale Franco Marcolini. 

Dopo essersi incontrato con il legale, Niki viene arrestato per frode fiscale. Invece che essere trasferito come prevede la prassi nel carcere di Rimini viene subito portato nel carcere di massima sicurezza di Firenze Sollicciano. Nell’interrogatorio di garanzia è l’unico degli arrestati a collaborare con i magistrati. Nonostante questo viene confermata la custodia cautelare in carcere. Per chi non ha collaborato si aprono invece le porte degli arresti domiciliari.

IL MISTERIOSO TELEGRAMMA – Il 24 giugno Niki viene trovato impiccato ad una corda che sarebbe stata realizzata con strisce di jeans e lacci di scarpe nel bagno della cella numero 10, nella sezione IV del carcere fiorentino. «Ma quali strisce – racconta ad Affaritaliani.it la mamma Ornella – i jeans che aveva con sé erano completamente intatti. Mio figlio è stato trovato con addosso il pigiama e si sarebbe suicidato durante l’ora d’aria? Nessuno esce in pigiama durante l’ora d’aria». 
La donna non crede minimamente all’idea che il figlio si sia tolto la vita: le stranezze di questa tragica storia sono tante. A cominciare dalle comunicazioni ufficiali che arrivano alla stessa madre. In un primo momento viene detto alla donna che il figlio si trova nel carcere di Rimini, dove in realtà non ha mai messo piede. Il mistero più intricato è legato ad un telegramma che sarebbe partito dalla casa di Niki e diretto allo stesso giovane che si trovava in carcere e per giunta in isolamento: la comunicazione, datata 20 giugno 2008, invitava perentoriamente il ragazzo a cambiare avvocato, indicando un avvocato del foro di Bologna. Chi aveva spedito quell’esortazione? Recentemente si è scoperto che era partita dallo studio del presidente di una finanziaria legata in qualche modo alla società per cui lavorava Niki. Un personaggio considerato un collaboratore dei servizi segreti.

L’HANNO UCCISO – Trenta giorni dopo l’arresto, il marito di Ornella trova l’appartamento di Niki a San Marino completamente svaligiato. Spariscono tutti gli effetti personali, il computer, la corrispondenza. La Procura di San Marino spiega questo singolare episodio con l’intervento dell’ex fidanzata che si sarebbe riappropriata dei suoi oggetti. 

La stessa sede della società in cui lavorava Gatti viene ritrovata dal commissario liquidatore privata di ogni bene. La Procura archivia anche questa seconda stranezza esibendo due fatture con cui la società avrebbe venduto tutto. In realtà quei documenti sarebbero antecedenti la morte di Niki. La dinamica con cui il ragazzo si sarebbe suicidato desta più di un dubbio. Pesava 92 chili: lacci di scarpe possono sorreggere un peso simile? Alcuni detenuti e agenti penitenziari avrebbero descritto Niki sereno e tranquillo, desideroso di collaborare con i magistrati. 
«Vogliono farmi credere al suicidio – racconta sgomenta Ornella – ma nemmeno per un attimo ci ho creduto. Niki era consapevole della sua genialità, del suo riuscire a districarsi in ogni occasione, non aveva mai avuto problemi con la giustizia, non era mai entrato nemmeno in visita ad un carcere. Sapeva cose che non doveva rivelare? Possedeva cose che potevano aggravare la situazione dei 17 che erano già in carcere o di chi addirittura ci poteva finire? A cinque anni di distanza il mio dolore è cresciuto in modo esponenziale. 
L’hanno ucciso e hanno fatto sparire tutto proprio perché io non potessi arrivare a capire, certo se avessi avuto i suoi computer sarebbe stato diverso. Arriverà il momento in cui qualcuno dovrà dare tutte le risposte, io sarò qui ogni giorno della mia vita a ricordare mio figlio e tutto quello che ci è stato fatto, sarò attenta ad ogni particolare, finché avrò vita». 
Negli ultimi mesi è nata l’ associazione “Niki Aprile Gatti Onlus” con lo scopo di realizzare numerosi profetti culturali e umanitari nel ricordo del ragazzo. Tra le prime iniziative quella di istituire un premio rivolto agli studenti dell’istituto Majorana di Avezzano con cui si assegnerà un riconoscimento a chi si distinguerà per attività progettuali particolarmente creative nell’ambito delle nuove tecnologie informatiche.
Fabio Frabetti da Affari Italiani

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