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Ingiustizia è fatta: Ebru Timtik, donna curda e avvocato è morta in sciopero della fame

Dopo 238 giorni di sciopero della fame, è morta l’avvocata Ebru Timtik. Era stata arrestata insieme a centinaia di altri colleghi per il suo impegno nella difesa dei diritti civili in Turchia.

Anche stavolta ingiustizia è fatta!

Ebru Timtik è morta il 27 agosto, dopo 238 giorni di sciopero della fame, all’ospedale di Bakirkoy dove – contro la sua volontà – era stata trasportata direttamente dal carcere.

L’amaro compito di darne l’annuncio è toccato a HHB (Halkin Hukuk Burosu – Ufficio degli avvocati del popolo).

Originaria di Dersim, nel 2017 Ebru Timtik veniva arrestata con diversi altri colleghi per presunta “appartenenza a una organizzazione terrorista” (per la precisione veniva accusata di far parte di DHKP-C). Ma la sua unica colpa era quella di aver  svolto il lavoro di avvocato con coraggio e dignità. Contro di lei e gli altri avvocati, le dichiarazioni contraddittorie – e presumibilmente pilotate – di un testimone.

Entrata in sciopero della fame in febbraio per un “processo equo”, dal 5 aprile (“Giornata degli avvocati”) la sua protesta si era radicalizzata in death fast (ossia in sciopero della fame fino alla morte).

Due settimane fa, la Corte costituzionale di Turchia aveva rigettato una richiesta di rilascio sia per Ebru Timtik che per Aytac Unsal – un altro avvocato in sciopero della fame – nonostante i due avessero superato la soglia critica e nonostante la loro vita fosse ormai in grave pericolo. Anche per l’Istituto di medicina legale le loro condizioni erano ormai “incompatibili con la detenzione”.

Invece secondo la Corte non vi sarebbero stati elementi tali  da far supporre un pericolo imminente per la loro vita o per la loro salute mentale.

Con Timtik quest’anno sono già quattro le persone morte in sciopero della fame dopo che erano state arrestate con l’accusa di far parte di DHKP-C.

Ricordiamo le altre tre: Helin Bolek, cantante di Grup Yorum era morta il 3 aprile dopo 288 giorni di sciopero della fame; il bassista della stessa band, Ibrahim Gokcek, è deceduto il 7 maggio dopo 323 giorni di digiuno; qualche giorno prima, il 24 aprile, la medesima sorte era toccata a Mustafa Kocak dopo 296 giorni di sciopero.

Gianni Sartori

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qui sotto l’articolo di Murat Cinar che ieri raccontava la vicenda Turchia. Ebru Timtik e Aytaç Ünsal sono in carcere da due anni dopo un processo farsa, condannati insieme a 16 colleghi solo sulle basi delle dichiarazioni di un testimone anonimo. Puniti per il loro lavoro: hanno difeso minatori, operai, contadini, donne e i manifestanti di Gezi Park

Ebru Timtik e Aytaç Ünsal sono due avvocati in sciopero della fame da più di 200 giorni, convertito ormai in uno sciopero della morte. Entrambi si trovano in carcere dal 12 settembre 2018 e sono iscritti all’Associazione dei Giuristi progressisti. L’accusa rivolta sia a Timtik sia a Ünsal è quella di «appartenere all’organizzazione terroristica Dhkp-c», secondo le dichiarazioni di un testimone anonimo. Per questo Ebru Timtik è stata condannata a 13 anni e 6 mesi e Aytaç Ünsal a 10 anni e 6 mesi. Gli avvocati chiedono un processo giusto basato sui principi della giurisdizione.

Timtik e Ünsal fanno parte di un maxi processo in cui sono coinvolti altri 16 avvocati, condannati in totale a 159 anni di carcere. Per tutti i casi il giudice si è basato sempre sulle dichiarazioni del testimone anonimo.

Secondo il presidente dell’Albo dei Legali di Istanbul, Mehmet Durakoglu, si tratta di un processo ridicolo. «Durante le udienze era il procuratore a ricordare al testimone certe sue dichiarazioni. Inoltre si tratta di una persona che è stata utilizzata in circa 100 processi tra cui anche il maxi processo che riguarda la rivolta popolare del Parco Gezi del 2013. Questo fatto non ha nessuna base giuridica». Secondo Durakoglu, anche le domande del giudice erano inutili e maliziose. «Perché lavorate come avvocati? È una domanda fuori luogo e non riguarda l’accusa che gli è stata rivolta. Qui si mette in discussione il lavoro che fanno questi due avvocati».

Tra le persone che seguono il caso di Timtik e Ünsal c’è anche Sezgin Tanrıkulu, avvocato e parlamentare nazionale del principale partito dell’opposizione, il Partito popolare della Repubblica, Chp. «In realtà gli avvocati, che erano già in carcere, il 10 settembre 2018 sarebbero stati scarcerati ma quel gruppo di giudici è stato tolto dal processo e in poche ore la decisione di scarcerazione è stata annullata». Tanrikulu segue l’andamento del caso degli avvocati e informa i cittadini in continuazione attraverso il suo canale web tv e l’account Twitter.

Durakoglu sottolinea un punto molto importante: «Abbiamo assistito al fatto che non si tratta assolutamente di un processo accettabile dal punto di vista giuridico. Anche gli avvocati possono essere processati ma tutti i cittadini hanno diritto ad un processo giusto. Spero che il ricorso fatto presso la Cassazione sarà accolto».

Intanto, a fine giugno, tramite una lettera che ha scritto il suo avvocato, il testimone anonimo si è rivolto alla Cassazione specificando che a causa dei suoi problemi psicologici le sue dichiarazioni non sarebbero da prendere in considerazione. Nella sua lettera, il testimone anonimo, in carcere da 13 anni, si definisce una persona traumatizzata per via del suo coinvolgimento nel mondo del crimine dall’età di10 anni.

Sembra evidente che si tratta di un processo fortemente politico. Ma perché? Ebru Timtik e Aytaç Ünsal sono sempre stati due avvocati “scomodi” per il disegno politico ed economico che strozza la Turchia da circa 20 anni. Hanno difeso i diritti dei minatori sfruttati, dei familiari degli operai vittime degli incidenti nei grandi cantieri edili, dei contadini che resistono contro le centrali idroelettriche che distruggono i campi agricoli e le acque dell’Anatolia, delle donne vittime di violenza maschile sempre più diffusa e non punita, e dei cittadini che hanno alzato la testa contro il governo durante la rivolta popolare di Gezi, criminalizzata dal governo e dai media main stream.

Attorno a Timtik e Ünsal è nata una rete di solidarietà in tutto il mondo. Centinaia di avvocati, associazioni, politici e semplici cittadini seguono il loro caso e cercano di fare tutto il possibile perché questi due avvocati restino in vita e siano scarcerati. Circa 15 giorni fa sono stati trasportati entrambi, con forza e contro la loro volontà, in ospedale e sono trattenuti nelle stanze senza aerazione.

Quelle poche informazioni fornite sulle loro condizioni di salute confermano che siamo in una fase estremamente pericolosa. In questi giorni numerosi presidi di solidarietà sono stati dispersi dalla polizia e i manifestanti sono stati arrestati.

In Turchia ancora una volta c’è il rischio di morire, non di fame per il cibo, ma per la mancata giustizia.

da «il manifesto»

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