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Ingiusta detenzione, risarcito Manolo Morlacchi

La storia di Manolo Morlacchi, arrestato con l’accusa di aver rifondato le Brigate Rosse. 150 giorni di carcere e assolto nei tre gradi di giudizio “perché il fatto non sussiste”, cioè con la formula più ampia.

Manolo Morlacchi non è uno qualunque e probabilmente non aveva neanche voglia di esserlo, quando ha scritto e pubblicato un libro “la fuga in avanti” in cui racconta e rivendica con orgoglio la storia di una famiglia di partigiani e comunisti. Uno di loro, (dieci fratelli) è suo padre, ed è stato un leader delle Brigate rosse.

Così, un po’ per il libro (come lui stesso racconta in una lettera pubblicata dal manifesto) un po’ perché il cognome Morlacchi “fa titolo” sulle prime pagine, il 13 gennaio 2010 Manolo viene arrestato perché sospettato di far parte di un gruppo che voleva resuscitare le Brigate Rosse. I reati contestati? Associazione sovversiva e partecipazione a banda armata. Nessun reato specifico, nessun fatto, secondo una prassi inaugurata da certa magistratura nelle indagini per terrorismo e travasata ormai dagli anni settanta fino a oggi ogni giorno in ogni processo di mafia, corruzione o abigeato che sia.

Se pensiamo al fatto che una settimana fa negli Stati Uniti una retata dell’Fbi ha sgominato il gotha delle famiglie mafiose di origine italiana (Genovese Gambino Lucchese Bonanno) arrestando 46 persone e contestando “solo” fatti specifici, si capisce bene la differenza tra un sistema giudiziario che funziona e uno traballante come quello italiano. Nel sistema anglosassone (come nella gran parte degli ordinamenti giudiziari occidentali) non esistono i reati associativi autonomi. Del resto che bisogno c’è? Se un reato è commesso da più persone, dovrebbe bastare un’aggravante. Ai 46 arrestati negli Stati Uniti sono stati contestati i reati di estorsione, incendio doloso, usura, gioco d’azzardo illegale, frode, traffico di armi, aggressione, eccetera. Il che significa che il rappresentante della pubblica accusa ha ritenuto di avere sufficienti prove per portare questi signori a processo su fatti specifici.

Manolo Morlacchi però viveva in Italia, in quel 2010, con un lavoro e una famiglia con due bambini piccoli. Ha perso lavoro e reputazione in un battibaleno. Rimane in carcere senza prove né fatti specifici da gennaio a giugno e gli è anche andata bene (si fa per dire) perché il suo processo arriva a sentenza definitiva in soli quattro anni. E’ assolto nei tre gradi di giudizio “perché il fatto non sussiste”, cioè con la formula più ampia.

La prima cosa che vorremmo sapere, a questo punto, è che brillante carriera (come i magistrati di Tortora) stanno facendo a Roma un certo Pm e un certo Gip, e anche i giudici del tribunale del riesame che hanno confermato (come spessissimo accade) la custodia cautelare in carcere per cinque mesi di un innocente. Poiché il governo Renzi giustamente vanta il fatto di aver indotto il Parlamento a votare la legge (modestissima) sulla responsabilità civile dei magistrati, ci pare che in questo caso qualcuno dovrebbe pagare per quei 156 giorni di ingiusta detenzione subita dal signor Manolo Morlacchi.
Invece che cosa succede? Che avendo il legale dell’ex imputato presentato la richiesta di risarcimento del danno, chi si mette di traverso? Proprio il governo, nelle vesti del Ministro dell’economia, il quale presenta in Cassazione un ricorso opposto, sostenendo che Morlacchi non ha diritto a niente, che gli è andata anche troppo bene. Gli argomenti sono all’apparenza solo tecnico-giuridici, e riguardano l’interpretazione dell’art. 314 del codice di procedura penale. Il quale disciplina i casi in cui l’ex imputato poi assolto ha diritto “.. a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.

Che cosa significa? Che l’innocente deve stare ben attento a non indurre, con il suo comportamento, lo sprovveduto e ingenuo Pm a crederlo colpevole. L’interpretazione si gioca tutta sul dolo e la colpa grave.

Fu cattivello Giulio Petrilli , cui fu negato il risarcimento: non apparteneva a Prima Linea (ma intanto girava le carceri speciali), era innocente, ma forse frequentava “cattive compagnie” e pertanto ha indotto il magistrato a ritenerlo colpevole. Sulla stessa scia l’ultima sentenza della quarta sezione di cassazione del 4 luglio scorso e pubblicata dal Sole 24 ore l’8 agosto.

Nel caso di Morlacchi pare sia prevalso il senso di colpa, tanto era stato clamorosamente assurdo quell’arresto. Così la cassazione ha deciso di dargli una paghetta: 15.600 euro, cento al giorno.

da il dubbio

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