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India: proteste della popolazione contro il progetto faraonico di un nuovo porto

È sempre spiacevole dover contare le vittime, i feriti di conflitti che forse potrebbero venir risolti pacificamente. Ennesimo caso, nel Kerala in questi giorni. Meta di turisti annoiati in cerca di paesaggi e culture “pittoreschi”, questo Stato indiano viene periodicamente attraversato da conflitti sia di natura sociale che di difesa ambientale. In questo caso, oltre che la sopravvivenza dei pescatori del Kerala, sono a rischio anche i fondali marini e le coste minacciate da grandi opere e speculazioni.

di Gianni Sartori

Si sia trattato della reazione popolare alle angherie subite o di una provocazione ben orchestrata (come sembrano ritenere alcuni religiosi di fede cristiana, una minoranza in India, talvolta schierata a fianco di Dalit, adivasi e classi subalterne) sarebbero oltre una trentina i membri della polizia del Kerala rimasti feriti negli ultimi scontri con i pescatori e la popolazione che si oppongono alla costruzione del nuovo porto internazionale di Vizinjam (nello stato del Kerala, sud dell’India). Difficile invece quantificare il numero dei civili rimasti feriti (in quanto non si presentano negli ospedali per farsi curare, oppure non dichiarano le cause delle ferite per timore di essere arrestati).

Tutto sarebbe iniziato sabato 26 quando veniva bloccato un convoglio di camion che trasportavano grosse pietre indispensabili per la realizzazione del porto. Alcuni camion che avevano comunque tentato di forzare il blocco erano rimasti danneggiati.

In risposta all’intervento della polizia e agli arresti, domenica 27 i manifestanti avrebbero assaltato una stazione di polizia a Vizinjam

Con la richiesta di una immediata scarcerazione per gli arrestati di sabato.

Quello messo in discussione è un mega progetto portuale affidato al gruppo Adani, una nota famiglia di imprenditori (vicina al leader indiano Modi) che ha vinto la concessione del progetto. Con costi previsti che si aggirano sui 900 milioni di dollari. Complessivamente – e in base ai calcoli ufficiali – le attività portuali e logistiche di Adani valgono circa 23 miliardi di dollari. Scopo dell’ambizioso progetto, strappare mercati alla concorrenza di Dubai, Singapore, Sri Lanka…

Da circa tre mesi, i lavori sono bloccati in quanto con picchetti e blocchi stradali viene impedito alle ruspe e ai camion di accedere al cantiere.

Le comunità locali (e i pescatori in particolare) temono a ragion veduta che i lavori incrementino ulteriormente l’erosione costiera privandoli della loro principale fonte di vita.

Da segnalare che si è anche parlato di contrasti tra i manifestanti e gruppi di persone favorevoli al progetto.

Nel frattempo è stato denunciato (come possibile ispiratore dei disordini del 26 e 27 novembre) perfino l’arcivescovo di Thiruvananthapuram (monsignor Thomas J. Netto). E con lui un intero gruppo di sacerdoti che si erano apertamente schierati con la popolazione.

Sui fatti del 26 e 27 novembre è intervenuto il vicario generale dell’arcidiocesi (Yujin Pereria) dichiarando che si sarebbe trattato di “una cospirazione del governo e di Adani per vanificare le richieste dei pescatori”. Chiedendo un’inchiesta imparziale e indipendente su quanto era accaduto.

Già in agosto l’arcidiocesi aveva presentato ricorso contro il tribunale che aveva autorizzato la costruzione del porto in assenza di uno studio sull’impatto ambientale della grande opera.

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