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Il dominio poliziesco

Con la pretesa di difendere ciò che lo Stato chiama l’«ordine pubblico», la polizia legittima il suo funzionamento reale nascondendo il fatto che protegge l’ordine sociale della diseguaglianza. La violenza fisica e psicologica che produce razionalmente, con «le ronde e la semplice presenza, l’occupazione virile e militarizzata dei quartieri, i controlli d’identità e le perquisizioni personali, la caccia e i blitz, le umiliazioni e gli insulti razzisti e sessisti, le intimidazioni, le minacce, i colpi e le ferite, le perquisizioni e i manganellamenti e botte, le tecniche d’immobilizzazione e le brutalizzazioni, le mutilazioni e le pratiche mortali», sono «le conseguenze di meccaniche istituite, di procedure legislative e giudiziarie, di metodi e di dottrine insegnate e inquadrate nelle scuole di polizia e nelle strutture di queste».

Mathieu Rigouste ha realizzato una genealogia della polizia, a partire dalla sua origine coloniale ; egli analizza l’evoluzione delle figure del nemico interno, dai fellaghas sino ai «selvaggi delle banlieue», l’elaborazione e la legittimazioni ideologica di tale sistema coercitivo sino alla sua messa in opera sul campo, per assicurare «la riproduzione del dominio razzista, patriarcale e capitalista». Racconta quindi l’apparizione della polizia moderna nel contesto dello sviluppo urbano, per proteggere il commercio e l’approvvigionamento, inquadrare la massificazione della popolazione urbana, controllare i lavoratori poveri e gli «indesiderabili». Nelle colonie, mentre nelle piantagioni c’erano i «laboratori del lavoro alla catena e delle fabbriche», un regime di polizia degli schiavi era sperimentato e istituito, esteso ai «neri e mulatti liberi» «per scongiurare ogni alleanza tra negri e mulatti» e controllare «tutti i corpi considerati come neri». Il principio del suolo libero, stabilito nel XIV° secolo, che permetteva di restituire la libertà a ogni persona che metteva piede sul territorio francese in cui la schiavitù era vietata, fu abolito nel XVIII° secolo, affinché gli schiavisti potessero andare in Francia con i loro schiavi senza che questi fossero affrancati, trasferendo «le fondamenta di una colonialietà interna nel diritto francese».

«Le radici del dominio poliziesco contemporaneo si fondano su un mélange di tecniche di addestramento, di cattura, di coercizione, di cancerizzazione, di messa al bando e di eliminazione praticate sui corpi dei Neri, dei contadini insorti, delle donne contadine e schiave, degli omosessuali e delle prostitute, degli stranieri e dei miserabili». L’emergenza della polizia moderna trova la sua ragione nella volontà delle classi dominanti di sottomettere tutto ciò che frenava l’estensione del mondo moderno. All’inizio del XIX° secolo, la Francia porta le sue pratiche coloniali in Africa, notoriamente in Algeria, nel quadro della sua espansione imperialista, rafforzando «la militarità poliziesca» e accentuando « la strutturazione razzista del potere poliziesco». La polizia si trasforma «per inquadrare le masse miserabili generate dall’industrializzazione», sperimentando «un regime de violenza controrivoluzionaria» difronte allo sviluppo del movimento operaio, appropriandosi dei dispositivi di polizia coloniale. «Le società imperialiste occidentali, e la società francese in particolare, si sono strutturate attorno a diversi regimi di colonialità, extra et intra-continentale (metropolitana), combinati al quotidiano con gli altri rapporti di dominio. La storia del potere poliziesco è inseparabile da tale combinazione dei rapporti di dominio di cui è lo strumento».

«La grande città capitalista si è sviluppata mettendo a disposizione, vicino alle fabbriche e ai cantieri, delle masse di lavoratori spossessati che doveva controllare e dominare attraverso un sistema di messa al bando sociale e poliziesco.» Negli anni ’30 (del XX° secolo), sempre ispirandosi alle modalità di gestione delle popolazioni e delle tecnologie di potere sperimentate nelle colonie, la polizia passa da una logica di segregazione a una «logica di sradicamento». Mathieu Rigouste nomina «segregazione endocoloniale» la «forma di potere che sviluppa e riassetta dei dispositivi coloniali all’interno du territorio nazionale». La brigata nord-africana (BNA) è creata in Francia per inquadrare [irreggimentare e disciplinare] i colonizzati, e sarà messa, dal regime di Vichy, al servizio del III° Reich. In ottobre 1940, il maresciallo Pétain crea la «Carta d’identità dei francesi» obbligatoria per tutti, la «Polizia nazionale» e i Gruppi mobili di riserva, prototipo dei futuri CRS.
Troppo esplicitamente razzista, la BNA è dissolta con la Liberazione, e rimpiazzata nel 1953 dalla Brigata delle Aggressioni Violente (BAV) per lottare contro una cosiddetta «criminalità nord-africana», spoliticizzando così le lotte dei colonizzati, facendo sistematicamente fuoco su tutti gli Algerini che le sembravano minacciosi [è il periodo più duro della guerra della Francia contro la lotta di liberazione degli algerini che è sostenuta anche sul territorio europeo e soprattutto nelle grandi città e loro periferia fra le quali Parigi e la regione parigina]. Dal dicembre 1959, essa è coordinata con le forze di polizia ausiliarie (FPA), le famose unità degli «harkis de Paris» [gli harkis furono gli algerini che sostenevano il colonialismo francese]. Per sottomettere «la sovversione nord-africana a Parigi», secondo l’espressione del prefetto Maurice Papon, trattandosi di paralizzare la vita sociale nelle 89 bidonville della regione parigina, a mezzo di un regime di violenza di stato che è culminato nella repressione della manifestazione del 17 ottobre 1961 [in quella occasione la polizia massacrò migliaia di algerini e getto nella Senna i cadaveri di oltre 200 di loro vedi https://contropiano.org/documenti/2017/10/18/parigi-17-ottobre-1961-mattanza-algerini-096789].

«A seguito del bidonville e della cité di transito, il quartiere tipo ‘grande agglomerazione’ ha permesso di ristrutturare la segregazione degli strati più sfruttati e più dominati del proletariato.» Mentre vi si sviluppano «degli illegalismi di sopravvivenza e delle resistenze popolari a fronte della segregazione socio-razzista e poliziesca», i «dannati del neo-liberismo» s’appropriano di tali urbanizzazioni per crearvi delle «forme di vita collettiva, solidale e di villaggio». Queste citéssensibili”, abbandonate dall’imprenditoria pubblica e privata, diventano i «luoghi privilegiati dello scatenamento e della trasformazione della violenza di Stato all’interno delle metropoli imperiali, ai piedi dei grandi centri d’accumulazione del capitale». L’autore presenta i principali ideatori della dottrina «dal criminale al crimine» e dello sviluppo delle unità mobili in civile, addestrate per sorvegliare e tenere sott’occhio i giovani delle classi popolari, «provocandoli per meglio far apparire ‘il crimine’ nascosto nei loro corpi sospetti», come faceva il commissario François Le Mouel, inventore del concetto d’«anticriminalità». La BAC 93 è creata nel 1971, composta da «unità di polizia particolarmente redditizie e produttive, suscettibili di condurre una guerra a bassa intensità». La nozione di «soglia di tolleranza per gli stranieri» giustifica il razzismo con una presenza di stranieri considerata troppo numerosa, suscettibile di provocare una «reazione quasi biologica» da parte dei «veri francesi», «superchieria intellettuale» che legittima i comportamenti razzisti dei poliziotti: gli «stranieri» diventano responsabili del razzismo.
La mediatizzazione di une cité come «sovversiva» permette di generare dei mercati di «rinnovo urbano». «La fabbricazione mediatica della ‘banlieue’ come ‘problema d’integrazione etnica e culturale’ diventa un apparato ideologico fondamentale per mascherare le strutture politiche, economiche e sociali della segregazione poliziesca».

L’autore analizza anche l’emergenza delle esperienze di «contrattacchi collettivi», così come la fabbricazione delle «fiction di massa» per criminalizzare le rivolte degli abitanti dei quartieri popolari. «L’enclave endocoloniale designa tale forma particolare di dominio emersa nelle potenze imperialiste: essa assicura la segregazione sociorazzista dei proletari originati dalla colonizzazione, dei lavoratori stranieri e più in generale degli strati più poveri delle classi popolari. Essa incrocia i repertori della guerra e del controllo coloniale con i repertori storici del dominio dei miserabili, degli indesiderabili e dei resistenti.»

«Le dottrine di contro-insurrezione sono dei regimi di violenza di Stato concepiti come “guerre nella e contro la popolazione”. Esse si fondano sulla militarizzazione della sorveglianza, del controllo e della repressione dei gruppi sociali, designati come “sovversivi”. Messe in pratica, industrializzate per sottomettere le resistenze popolari e i movimenti rivoluzionari nelle colonie, esse influenzano continuamente l’inquadramento dei proletari segregati e dei movimenti considerati “sovversivi”». Mathieu Rigouste ritorna sull’origine della dottrina francese di contro-insurrezione, di cui la «battaglia d’Algeri» fu la vetrina, abolita ufficialmente all’inizio degli anni ‘60, ma il cui impiego all’interno della Francia fu ripreso a metà degli anni ‘90, notoriamente grazie all’attivazione ininterrotta del piano Vigipirate [primo programma antiterrorismo]. «La sperimentazione di una contro-insurrezione mediatica e poliziesca ha messo in opera una tattica della tensione: un programma di rafforzamento autoritario basato sulla “provocazione”, cioè l’aggressione deliberata, la fabbricazione mediatica, politica e poliziesca di una minaccia e la sua attribuzione a un nemico di convenienza». L’autore dettaglia le legislazioni successive, che riguardano «la lotta contro l’insicurezza», puntualizzando la sua relazione con racconti di molteplici decessi in cui sono coinvolti dei poliziotti e delle rivolte seguenti, notoriamente quelle del novembre 2005, a seguito della morte di due adolescenti inseguiti dalla polizia a Clichy-sous-Bois, fatto che costringe il governo Villepin a decretare lo stato d’urgenza, in applicazione di una legge concepita nel 1955 per permettere la repressione dei colonizzati in Algeria, «sorta di dichiarazione di guerra parziale». «D’Algeri a Villiers-le-Bel, la contro-insurrezione e le tattiche di tensione non producono pace sociale come proclamano i loro promotori. Esse alimentano piuttosto la loro propria estensione intensificandone le condizioni d’oppressione che determinano le rivolte. Incapaci d’ottenere il consenso della ‘popolazione’ oppressa, esse tendono a sotterrare ed estendere le dimensioni della violenza, a generare dei conflitti militaro-polizieschi di lunga durata.» L’applicazione della contro-insurrezione ai quartieri popolari è stata industrializzata all’inizio degli anni 2000 sotto forma di un «socio-apartheid», «un insieme di discriminazioni sociali, economiche e politiche così come di frontiere simboliche e sociologiche fluttuanti messe in opera dall’azione combinata della polizia, della giustizia, dei media e delle istituzioni pubbliche».

[NB: le cosiddette rivolte delle banlieues francesi cominciano a metà degli anni ’80 e continuano diventando quasi quotidiane dal 2005 in poi. Da allora si può dire che lo Stato francese e in primo luogo la sua polizia scatena una sorta di guerra permanente che diventa innanzitutto guerra contro i giovani di origine immigrata ma anche giovani figli di proletari francesi: tutti i giovani delle periferie si configurano come “posterità inopportuna”, “umanità a perdere” quelli che Sarkozy chiama feccia e che continuano ad essere considerati non semplicemente “capri espiatori” ma “nemici interni” spesso assimilati ai terroristi pseudo-islamisti; a seguito degli attentati anche nel recente periodo di Macron e del suo ministro dell’interno fascista, Darmarin, e anche di altri ministri, si configura una sorta di crociata contro i musulmani che prende di mira sempre innanzitutto i giovani delle banlieues[1]]

Mathieu Rigouste consacra dopo un capitolo al «mercato della coercizione» che è emerso, in Francia come negli Stati-Uniti, dopo il 1968 : materiali militari riconvertiti in strumenti di controllo, notoriamente i gas tossici vietati dal diritto internazionale della guerra ma non in situazioni di «mantenimento dell’ordine», le «armi non letali», i flash-ball, le granate dette «di disaccerchiamento» ma impiegate per attaccare e ferire, la pistola a impulsi elettrici (taser) il cui uso normalizza un sistema di controllo politico nei quartieri popolari basato sulla paura di essere «taserizzati», l’insieme costituendo «un vero apparato di tortura sociale». «Il campo d’internamento per stranieri illegalizzati è uno spazio d’eccezione permanente, un laboratorio in cui ogni sorta di materiale e di tecniche de violenza possono essere testate e combinate sui corpi degli internati: dei corpi senza diritto in attesa di essere deportati».

Torna dopo sulle BAC, «unità di polizia proattiva», cioè che crea le minacce che è incaricata di ridurre per meglio «catturare i corpi sospetti», «polizia d’abbattimento», «concepita per ottenere un rendimento massimo» ma la cui «efficacità» che rivendica consiste a «produrre dei disordini gestibili». «L’industrializzazione dei BAC fa parte di una espansione generale della ferocia poliziesca». Questa è il «prodotto di un sistema di tecniche sperimentate, legittimate e sostenute dai protocolli razionalizzati. Le BAC sono formate per produrre certe forme di violenza suscettibili d’assicurare la riproduzione dei rapporti di dominio di classe, di razza e di genere, essendo in quanto tali il prodotto di tali rapporti economici, sociali e politici».

Mathieu Rigouste mostra come è fabbricato lo «psichismo feroce» degli agenti delle BAC, attraverso la frustrazione, una «ossessione per la cattura e la coercizione»; il loro corpo formato con una iniezione di adrenalina e di paura. «Lungi dal produrre “ordine pubblico”, le polizie di choc provocano umiliazione e collera ovunque passano».

Le resistenze collettive, le risposte e i contro-attacchi di quelli che sono destinati a essere sottomessi al socio-apartheid, nei quartieri popolari, nelle carceri, nei campi, accampamenti e territori colonizzati dallo Stato francese, diventano per la reazione dello Stato nuovi campi d’espansione dell’industria della coercizione e vasti programmi sicuritari di distruzione e di ristrutturazione. «Tale processo spossessa le classi popolari per permettere l’estensione della grande città capitalista e delle sue dependances “neo-piccolo-borghesi”. L’obiettivo ostentato di «mescolamento sociale» fornisce «l’apparato ideologico per selezionare e distribuire le popolazioni con criteri socio-etnici, favorendo in particolare le classi privilegiate, bianche o neo-piccolo-borghesi, al posto dei dannati della città respinti più lontano». Ma la trasformazione sicuritaria delle cités è sia un mercato che un progetto politico. Il tutto è un’ingegneria sociale coniugata a un nuovo urbanismo sicuritario; esso mira a mettere fine a tutti gli spazi riappropriati dagli abitanti. Alla fine degli anni 2000, un vero e proprio sistema del terrore e della brutalità quotidiani rafforza anche il dominio e la segregazione dei sans-papiers (immigrati irregolari), attraverso l’industrializzazione delle forme di inseguimento e di cattura delle «persone illegalizzate», lo sviluppo dell’«industria concentrazionaria e della deportazione». Lo Stato veglia per mantenere il socio-apartheid, puntualmente minacciato dopo la «rottura fondatrice» della primavera del 2006, quando gli studenti in lotta contro il CPE abbandonarono le loro rivendicazioni riformiste, si radicalizzarono e si unirono alle manifestazioni dei giovani dei quartieri popolari, infrangendo le «finzioni depoliticizzanti». «Dall’inizio degli anni ‘90, dei mezzi repressivi impiegati nei quartieri popolari segregati sono stati ricondizionati per neutralizzare le lotte sociali ingestibili nel mondo del lavoro». «All’inizio degli anni 2010, la sperimentazione di una contro-insurrezione mediatico-sicuritaria suscitò nella polizia francese delle forme d’autonomizzazione e di radicalizzazione […]. La messa in scena di queste insubordinazioni e queste rivendicazioni sembra essere dovuta a una meccanica con la quale lo Stato sicuritario tenta di rafforzarsi strumentalizzando l’inferocimento poliziesco»[2].

Venti-cinque anni dopo l’adozione del programma Vigipirate, l’«operazione Sentinella» è lanciata dopo l’attentato contro la redazione di Charlie Hebdo nel gennaio 2015, poi lo Stato d’urgenza è decretato il 14 novembre, prolungato più volte prima di entrare nel diritto comune il 3 ottobre 2017.

Mathieu Rigouste descrive allora la strutturazione di un movimento di collettivi e di lotte locali contro «le istituzioni dello Stato che non cessa di proteggere i crimini polizieschi», lotte spesso portate avanti dalle famiglie delle vittime, che si oppongono alle strategie delle organizzazioni politiche antirazziste e della sinistra di governo, per organizzarsi da sole. Parallelamente descrive «la forte ascesa della collaborazione storica tra l’estrema destra e la polizia», che ottiene l’autorizzazione di sparare su persone in fuga, in base alla legge del 28 febbraio 2017. Dopo novembre 2018, un regime di ferocità repressiva di una intensità inedita al di fuori dei quartieri popolari -inquadrato dalle gerarchie interne della polizia, gli stati-maggiori politici, le istituzioni giuridiche e giudiziarie- s’abbatte sul movimento dei Gilets gialli. Rgouste analizza anche «lo Stato d’urgenza sanitaria», decretato il 24 marzo 2020, la mobilitazione contro le violenze poliziesche e il razzismo di Stato, a seguito dell’assassinio di George Floyd, i progetti di legge che non cessano di proliferare fra i quali quello detto della «sicurezza globale» e quello contro il “separatismo” [nonché la più recente guerra al cosiddetto islamogauchisme -islamosinistra- contro gli intellettuali antirazzisti, antisessisti e interzionalisti[3]].

Rigouste insiste anche sui rapporti sociali sperimentati nelle lotte, fondati sull’autoaiuto, la solidarietà e la messa in comune, «piste concrete alle quali possiamo ispirarci per fondare altre società».

In conclusione con questo saggio Mathieu Rigouste fornisce un’analisi minuziosa e rigorosa dell’evoluzione delle legislazioni sicuritarie, delle tecniche di «mantenimento dell’ordine» e dei suoi strumenti, vera «meccanica storica di governo degli oppressi, degli sfruttati, dei miseri, degli indesiderabili e dei rivoluzionari». Questo studio socio-storico conferma che non si possono avere riforme delle istituzioni poliziesche, poiché queste esistono che per «distribuire la violenza che le classi dominanti stimano necessaria per il mantenimento dell’ordine sociale, economico e politico». Lettura indispensabile!

Recensione di Mathieu Rigouste, Il dominio poliziesco – pubblicata su lundimatin#312https://lundi.am/La-dominio-poliziescoe (traduzione cura di turi palidda)

Note:

[1] Vedi: http://effimera.org/terrorismo-islamista-e-radicalizzazione-speculare-degli-integralismi-di-salvatore-palidda/; http://effimera.org/francia-lo-polizia-la-famiglia-adama-traore-alcune-compagne-compagni-parigi/; http://effimera.org/francia-il-nazionalismo-di-classe-di-stephane-beaud-e-gerard-noiriel-contro-lintersezionalita-di-salvatore-palidda/.

[2] Nel 2021 ci sono state delle manifestazioni reazionarie di poliziotti di un sindacato fascista sostenuto dal ministro degli interni e di fatto riverito persino dal PCF e dagli ecologisti.

[3] https://volerelaluna.it/mondo/2021/07/06/francia-il-declino-di-le-pen-e-macron-e-limpasse-della-sinistra/

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