Menu

Hamid Badoui “suicidato” dallo Stato

Hamid Badoui per paura di tornare nel Cpr in Albania si toglie la vita in carcere a Torino, Era qui da 15 anni, aveva la carta d’identità e la famiglia con documenti regolari

Temeva di tornare nel Cpr in Albania il 42enne, Hamid Badoui, che si è tolto la vita in carcere a Torino usando dei lacci in cella. Era stato arrestato sabato, per resistenza a pubblico ufficiale.

Portato in carcere si è tolto la vita poche ore prima dell’udienza di convalida in tribunale: essendo senza permesso, rischiava di tornare al Cpr, dove era già stato, a Bari, per 3 mesi, nonstante problemi di dipendenza e prima di finire da aprile a pochi giorni fa in Albania.

«Ci aveva fatto vedere una pagella di un istituto tecnico di Torino, fiero dei suoi voti, tutti sette e otto. Ma era visibilmente fragile, stremato dalla sua permanenza nel cpr di Gijader». È così che Cecilia Strada ricorda Hamid Badoui, quarantenne di origine marocchina morto suicida nella notte tra sabato e domenica nel carcere di Torino, appena tornato dopo una permanenza di oltre un mese nel centro albanese, dove l’europarlamentare lo aveva incontrato.

Hamid viveva nel capoluogo piemontese, in Italia da quindici anni, aveva la carta d’identità, una madre con un permesso senza scadenza e una sorella pure con la cittadinanza. La spirale della droga in cui era finito lo aveva portato a fare piccoli furti per permettersi il crack. Da lì un circolo vizioso, tra condanne e soggiorni in carcere, senza nessun piano per combattere la dipendenza. Circa due mesi fa aveva finito di scontare l’ultima pena al Lorusso Cutugno, ma il giorno dopo, siccome i documenti di permanenza erano scaduti, era stato trasferito nel Cpr di Bari, dove è rimasto per tre mesi. Da lì l’Albania, da cui era venuto via dopo che la giudice aveva stabilito l’irregolarità della sua detenzione. Una decisione arrivata «in attesa della definizione di costituzionalità, sollevata negli analoghi giudizi, dalla Corte costituzionale».

Arrivato a Torino venerdì, Badoui è stato arrestato nel quartiere Barriera di Milano: pare fosse andato in escandescenza contro la polizia dopo aver subito un furto. Così è finito di nuovo in manette, mentre il quartiere intero protestava perché non lo portassero via. Meno di ventiquattro ore dopo l’uomo si è impiccato con i lacci delle scarpe. Aveva paura di ritornare in Albania. Al suo avvocato aveva detto: «Meglio il carcere che il Cpr». La procura ha aperto un’inchiesta. «Aveva paura di non poter accudire la madre malata di cuore e temeva di essere rispedito in Albania senza poterle essere di aiuto – racconta ancora Strada -. Si lamentava, perché almeno in carcere poteva chiamare la famiglia, ma da lì no. Tutte le persone che abbiamo incontrato (la prima volta 39 e durante la seconda visita, 25, ndr) erano molto fragili». Persone prese e messe nei centri voluti dal governo Meloni: «Delle piccole Guantanamo, senza la possibilità di sentire nessuno, senza sapere il proprio destino, visto che si può restare lì dentro fino a diciotto mesi», chiosa l’europarlamentare. «Non esiste alcuna gestione delle migrazioni che possa passare sopra la dignità e la salute mentale delle persone – prosegue la deputata del Pd Rachele Scarpa -. Ci troviamo di fronte all’ennesimo fallimento umano e politico. E il fatto che l’eco di questa tragedia sia così flebile nella discussione pubblica la rende ancora più insopportabile. Hamid non è una vittima casuale: è il prodotto di un sistema costruito per schiacciare».

Cecilia Strada insieme a Scarpa ha presentato alla Corte europea un documento che descrive come questi trasferimenti e le condizioni in cui avvengono sono paragonabili alla tortura: gli stranieri senza documenti vengono prelevati a sorpresa dall’Italia, legati mani e caviglie per venti ore e trasportati in luoghi di cui non sanno niente, non godendo dei diritti basilari.

A Radio Onda d’Urto, Nicola Cocco, medico di Mai più lager – No Cpr e Società italiana medici delle migrazioni.Ascolta o scarica

 

 

Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000 

News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp