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Guerra e attacco al mondo del lavoro. Intervista a sindacalista ucraino

Mentre continua la guerra e l’ivasione di Putin, il governo ucraino ha ratificato una legge che mette in pericolo i diritti di lavoratori e lavoratrici. Parla Vitaly Dudin, membro del movimento Sotsyalnyi Rukh

intervista a cura di di Francesco Brusa per DINAMOpress

In Ucraina non è solo l’invasione di Putin a mettere in pericolo la vita e i diritti di tante persone, non da ultimo di lavoratori e lavoratrici. Il 17 agosto scorso, infatti, il presidente Volodymyr Zelensky ha firmato il disegno di legge 5371 (ora legge 2434) che elimina buona parte delle garanzie sindacali e introduce misure largamente a favore dei datori di lavoro. Ma non si tratta dell’unico “attacco” al mondo del lavoro dallo scoppio del conflitto a questa parte: già nell’ambito della legge marziale introdotta per difendere il paese venivano varate misure di deregolamentazione relative a contratti e salari. Abbiamo parlato con Vitaliy Dudin, avvocato e sindacalista, membro dell’organizzazione socialista democratica ucraina Sotsyalnyi Rukh (che aveva tra l’altro lanciato una petizione per fermare la ratifica della legge, supportata da varie sigle internazionali) per capire meglio la situazione e chiedergli delle prospettive future.

Cosa sta succedendo in Ucraina nell’ambito dei diritti del lavoro?

In generale, è molto difficile difendere i diritti del lavoro in Ucraina, visto che scontiamo anche la mancanza di un sistema giudiziario effettivamente funzionante. Ovviamente, con la guerra, la situazione è ulteriormente peggiorata per via della mancanza di controlli da parte dell’ispettorato e per il fatto che il diritto di manifestazione per i sindacati è sospeso. Dal momento in cui è cominciata l’invasione da parte della Federazione Russa, sono state firmate e sono entrate in vigore quattro nuove leggi in materia lavorativa.

La prima, la più importante, riguarda la riorganizzazione dei rapporti lavorativi in tempo di guerra (n.2136 del 15 marzo) e rappresenta il modo in cui il nostro governo ha risposto alla crisi economica generata dalla guerra. Si tratta di una legge assolutamente sfavorevole alla classe lavoratrice e che persegue in toto gli interessi dei datori di lavoro. Rende infatti possibile per le aziende non corrispondere ai propri impiegati alcun salario, nel caso le attività dovessero essere sospese (ed è bene specificare che si applica a tutto il territorio del paese, non solo alle aree effettivamente interessate delle operazioni belliche). In più, viene permesso ai datori di lavoro di sospendere le previdenze decise nel contratto collettivo e i lavoratori e le lavoratrici possono essere licenziati senza alcuna contrattazione con i sindacati. Insomma, poco dopo l’inizio del conflitto si è verificata una massiccia deregolamentazione delle leggi sul lavoro: chiaramente, vista la legge marziale e la situazione di estremo pericolo dovuta alla guerra, la società non si è opposta.

Dopodiché, altre tre leggi sono state introdotte: la n.2352 sull’ottimizzazione dei rapporti di lavoro, che dà ai datori di lavoro la possibilità di terminare il contratto con i propri dipendenti nel caso in cui i beni dell’azienda vengano danneggiati o distrutti a causa delle operazioni belliche, ma anche – ed è una delle misure più gravi – esonera i datori dal pagare i salari ai dipendenti che vengono coscritti per le operazioni militari (diritto che invece venne mantenuto dopo il 2014, quando era di fatto iniziata la guerra con la Russia). È davvero una misura iniqua nei confronti di chi si trova ora sotto le armi: moltissime persone dal settore ferroviario, metallurgico e minerario sono ora mobilitati nell’esercito e, senza il supporto finanziario dello stipendio lavorativo, le loro famiglie sono a rischio di ristrettezza economica. A luglio, il parlamento ha poi approvato la n.2421 sui cosiddetti “contratti a zero ore”, e la n.2424, sulla semplificazione dei rapporti di lavoro nelle piccole e medie imprese. Si tratta di una completa liberalizzazione del lavoro a chiamata, per cui vengono previste garanzie inferiori al salario minimo (che in Ucraina già è bassissimo, 6500 grivnia pari a circa 750 euro) e con cui si fa pesare il rischio di impresa sulle spalle di lavoratori e lavoratrici e, allo stesso tempo, dà in mano ai datori di lavoro la possibilità di cambiare alcune condizioni essenziali nella stipulazione dei contratti. Significa cioè che queste piccole e medie imprese possono di fatto ignorare le disposizione contenute nel codice del lavoro del paese.

Insomma, il punto è che il nostro governo sta mettendo in atto una deregolamentazione sperimentale delle leggi sul lavoro dannosa per i lavoratori e molto pericolosa per il futuro. Il fatto che si tratti di misure necessarie per la crescita economica è una favola. La vera ragione è che c’è la volontà di rendere i datori di lavoro più liberi dai propri obblighi di tutela in un momento di crisi economica dal momento che il governo ucraino, che è profondamente neoliberale, non è pronto e non ha la forza di stabilizzare le condizioni in ambito lavorativo, utilizzando magari i sussidi per le imprese. Ci serverebbe invece una politica totalmente opposta, specialmente nel contesto attuale: fare pressione, ad esempio, perché venga cancellato il debito del paese e utilizzare questi soldi per assicurare i posti di lavoro delle categorie più vulnerabili (inclusi ex-militari, vedove, migranti). Le persone hanno bisogno di protezione e gli viene dato l’opposto: lavoratori e lavoratrici in questo momento sono disumanizzati dall’operato del governo.

Come mai, dal tuo punto di vista, il governo è così determinato?

Il nostro governo è caratterizzato da un programma profondamente neoliberale. Questo è chiaro sin dal 2019, nel momento in cui è entrato in carica con una maggioranza parlamentare molto ampia che gli dava la possibilità di avviare praticamente qualsiasi riforma. Ma questa grande agibilità a livello istituzionale si è dovuta scontrare con l’opposizione dei movimenti di lavoratori e lavoratrici: fra il 2020 e il 2021 migliaia di persone sono scese in strada per contrastare le riforme del lavoro. Insomma, in tempi di pace (pace relativa, se contiamo i fatti del Donbass), per Zelensky era difficile riuscire a far approvare queste riforme, visto che venivano perlomeno rallentate dalla dialettica democratica che poteva svilupparsi anche nelle piazze.

Ora, con la guerra e con la legge marziale, questo tipo di opposizione non può esserci. Quindi ci sono delle ragioni di contingenza politica per cui queste leggi vengono approvate ora, ma anche di contingenza economica: c’è ovviamente una crisi più acuta di prima. Ma, come dicevo prima, queste riforme non rappresentano in alcun modo una risposta adeguata all’emergenza: la deregolamentazione dei licenziamenti potrebbe anzi danneggiare ancora di più l’economia, visto che senza uno stipendio decente le persone smetterebbero anche di comprare prodotti. C’è un’ulteriore spiegazione del perché siamo arrivati a questo punto: in Ucraina non c’è una tradizione consolidata di dialogo fra le parti sociale nel mondo del lavoro, la contrattazione con i sindacati è il più delle volte qualcosa di puramente formale e, con la guerra, questo processo è diventato ancora meno democratico e trasparente.

Più in generale, anche i sindacati per molto tempo non hanno esercitato il diritto di sciopero e hanno posto poca pressione ad aziende e governi i quali, in assenza di vere e proprie rivendicazione per salari migliori, si sono semplicemente attestati sullo status quo e hanno lasciato che le aziende possedute dagli oligarchi imponessero le proprie condizioni. Ovviamente non tutte le situazioni sono uguali e sussistono differenti condizioni in ciascun settore.

Come state cercando di reagire? La solidarietà internazionale può giocare un ruolo?

Penso che la solidarietà internazionale sia importante. È veramente difficile difendere i propri diritti lavorativi nel momento in cui non si possono organizzare proteste, le ispezioni statali sui posti di lavoro fanno poco o nulla, l’accesso ai processi di giustizia è reso difficoltoso dai costi che si devono sostenere per intentare cause o ricorsi… I nostri strumenti ora sono per forza di cose limitati, perciò la mobilitazione internazionale è di grande aiuto. A maggior ragione dal momento che nel parlamento ucraino non ci sono partiti di sinistra, ma tutte forze neoliberali. La sinistra internazionale, gruppi di protezione dei diritti umani o sindacati anche esteri possono porre pressione su Zelensky affinché le leggi vengano implementate in maniera migliore o comunque tolte quando finirà la legge marziale. E magari spingere i sindacati ucraini ad attivarsi maggiormente, anche perché possono ancora contare su milioni di membri.

Penso comunque che le persone stiano diventando sempre più consapevoli del valore del proprio lavoro. Paradossalmente, anche se il potere non è in mano di lavoratori e lavoratrici, il contesto della guerra sta dando loro un maggior potere e una maggiore forza: diventano più radicali, più arrabbiati e chi è occupato nei settori essenziali capisce il ruolo essenziale che sta giocando e capisce sempre più il carattere neoliberale del governo Zelensky. Questa crisi si può vincere. Nonostante la guerra – anzi, per via della guerra – la lotta di classe in Ucraina continua.

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