In Grecia è iniziato il processo contro 24 attivisti per i diritti umani, aderenti all’associazione Emergency Response Center International”, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Tra di loro c’è anche la nota nuotatrice siriana Sarah Mardini, lei stessa rifugiata.

La loro colpa è quella di aver salvato vite umane di migranti che rischiavano di annegare. La vicenda ha suscitato le proteste delle principali organizzazioni per i diritti umani in Grecia, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch.

aggiornamento 13 gennaio

E’ arrivato il verdetto dei giudici della Corte d’Appello di Lesbo per il processo contro Sarah Mardini, Sean Binder e altri 22 attivisti impegnati tra il 2016 e il 2018 nelle operazioni di ricerca e soccorso nel Mare Egeo con Emergency Response Center International (ERCI).

I giudici hanno stabilito che due degli imputati saranno rinviati a un tribunale di grado inferiore. Entrambi sono di nazionalità greca, uno è accusato di falso e l’altro di concorso in un’associazione a delinquere.

Mentre per tutti gli altri imputati le accuse di reato sono state annullate a causa di alcuni “difetti procedurali”, ponendo fine a quello che è stato definito da diversi osservatori come “il più grande caso di criminalizzazione della solidarietà in Europa”.
La decisione è stata presa a seguito di alcuni vizi procedurali evidenziati dalla difesa degli attivisti, come la mancata traduzione dell’atto d’accusa per gli imputati stranieri. Poco prima della decisione, questa mattina, anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati si era espresso sulla vicenda.
“Questo tipo di processo è davvero preoccupante, perché criminalizza azioni che salvano la vita delle persone e crea un pericoloso precedente”, ha dichiarato Elizabeth Throssell, portavoce dell’Acnur, durante il regolare briefing delle Nazioni Unite a Ginevra.

Il processo iniziato a Mitilene il 10 gennaio scorso riguardava accuse di reato minore, tra cui spionaggio e falsificazione, che possono portare fino a otto anni di carcere. Con un periodo di prescrizione che scade però a marzo 2023. Tra gli imputati anche Mardini e Binder che stanno nel contempo affrontando un’altra indagine con capi d’accusa più gravi: traffico di persone, frode, appartenenza a un’organizzazione criminale e riciclaggio di denaro, che comportano una pena massima di 25 anni e che prevedono un tempo di prescrizione di 20 anni. L’attivista Binder è convinto che le autorità greche abbiano voluto ritardare il più possibile i tempi della giustizia. «Non si vuole andare a processo – ha spiegato in un’intervista rilasciata ad Altreconomia – perché dopo il nostro arresto non ci sono state più attività volontarie di ricerca e soccorso nella parte meridionale dell’isola. Tutti hanno il terrore di finire in prigione. Questa è la realtà».

I fatti risalgono al 2018, in particolare al 21 agosto 2018 quando Sarah Mardini venne arrestata all’aeroporto di Mitilene sull’isola di Lesbo, mentre stava per partire per la Germania. La polizia greca la prese in custodia e la informò che era accusata di spionaggio e traffico di esseri umani. Seán Binder venne arrestato a sua volta, così come Nassos Karakitsos, altro attivista umanitario coinvolto nel procedimento giudiziario. Dopo tre mesi e mezzo di detenzione preventiva, i tre imputati furono rilasciati su cauzione il 6 dicembre 2018, in attesa del processo. Sarah tornò in Germania, con il divieto di mettere piede sul suolo greco e per questo non ha potuto assistere in aula al processo a Mitilene.

Le tappe del procedimento giudiziario

Pur risalendo al 2018, la vicenda degli operatori umanitari di ERCI è tornata di attualità nel novembre 2021 dopo l’aggiornamento del processo da parte della Procura per i reati minori di Mitilene, sull’isola di Lesbo. I giudici hanno rilevato la propria incompetenza sul caso per la presenza di un avvocato tra gli imputati e hanno rinviato il caso ad una corte d’appello.

Perché gli attivisti vengono perseguiti dalla legge in Grecia

E’ stato definito “più grande caso di criminalizzazione della solidarietà in Europa”, secondo un rapporto del Parlamento europeo del giugno 2021 e ha coinvolto in tutto 24 operatori umanitari che hanno aiutato chi dalla Turchia tentava di approdare via mare sull’isola di Lesbo tra il 2016 e il 2018: ecco perché il procedimento si è rivelato un deterrente per gli attori della società civile che lavorano con i rifugiati. Attivisti e assistenti sociali, una volta in prima linea nelle operazioni di salvataggio dei profughi, ora ci pensano due volte prima di commettere qualsiasi “atto di solidarietà umana” che potrebbe finire con l’essere messi sotto accusa da parte dello stato ellenico.

La criminalizzazione dei soccorritori a Lesbo ha scosso la società greca: è il primo caso di questo genere, dato che mai prima d’ora attori della società civile erano stati accusati di reati così gravi. E in secondo luogo perché tra le persone ora bollate come “trafficanti” c’erano personaggi pubblici in passato salutati come “eroi”: il riferimento è al fondatore di ERCI, Panos Moraitis, rispettato ed elogiato per lo straordinario coinvolgimento della sua organizzazione nel salvataggio di persone in mare che aveva ricevuto anche alcuni riconoscimenti pubblici e a Sarah Mardini – che assieme alla sorella Yusra poi campionessa nella prima Squadra Olimpica di rifugiati del CIO a Rio 2016 – aveva portato in salvo tutte le persone con cui viaggiavano per raggiungere l’Europa quando il motore del gommone è finito in avaria. Recentemente il film The Swimmers disponibile su Netflix ha raccontato la storia delle due sorelle.

Come riporta Osservatorio Balcani non è la prima volta che le autorità greche arrestano volontari di Ong internazionali. Nel gennaio 2016, Salam Kamal-Aldeen e Mohammad Abbassi, volontari dell’organizzazione danese Team Humanity, ed Enrique Rodríguez, Manuel Blanco e Julio Latorre, della Ong spagnola di soccorso Proem-Aid, vennero trattenuti dalla guardia costiera greca per 68 ore, anch’essi accusati di traffico di migranti tra Turchia e Grecia. Vennero poi rilasciati su una cauzione tra i 5mila e i 10mila euro. Anche se poi vennero assolti nel maggio 2018, il loro arresto destò grande preoccupazione tra le Ong impegnate nel salvataggio in mare dei migranti.
La paura cominciò a diffondersi tra i volontari, così come la discutibile impressione che salvare i naufraghi dall’annegamento fosse diventato qualcosa di illegale, un rischioso atto di resistenza. Da allora, molte Ong hanno interrotto le loro attività e lasciato l’isola greca, mentre altre hanno scelto di trasformare le loro modalità di sostegno, allontanandosi dalla costa.