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Il governo Meloni e il bisogno di creare nemici pubblici

“Ecco perché al governo Meloni serve crearsi un nemico, Cospito va difeso a prescindere dal suo curriculum criminale” intervista a Luigi Manconi

interviste a cura di Aldo Torchiaro e Christian Raimo

Cospito verrà curato meglio, adesso che è a Milano?
Questo trasferimento a Opera rappresenta un modestissimo atto dovuto. Nel senso che per una persona in grave pericolo di vita come il detenuto Cospito, il minimo che possa fare l’istituzione che ha la responsabilità della sua custodia è garantirgli un presidio medico che ne possa minimizzare i rischi. Siamo veramente al punto zero rispetto a quello che è il cuore della questione, cioè la possibilità per Alfredo Cospito di scontare la sua pena in un regime che non sia quello del 41 bis.

Cosa potrebbe fare il governo e nello specifico il ministro Nordio, in concreto?
Revocare il 41 bis. Nordio ha la possibilità di ritirare quella misura sulla base di una valutazione che consideri l’opportunità e soprattutto la proporzionalità di una misura rispetto alla condizione giudiziaria di Cospito. Che è del tutto sproporzionata, anche perché da più parti, da alcune tra le più raffinate menti giuridiche del nostro Paese è arrivata la sollecitazione a considerare un livello diverso di sicurezza da applicare, quale quello della censura. Che dovrebbe rassicurare tutti sulla possibilità di recidere i legami tra il condannato e l’associazione criminale esterna alla quale appartiene o apparterrebbe. Dunque, la soluzione c’è.

E non insistere con il carcere duro, quando non serve.
Però precisiamo: il 41bis non è, secondo la legge, il carcere duro. Assolutamente no: non deve essere punitiva o afflittiva. Ha unscopo solo: recidere i legami tra il condannato e il mondo esterno. Tutte le misure che eccedono questo scopo sono dovute a un errore di esecuzione: sono extralegali e dunque illegali. Il 41bis non nasce come carcere duro ma lo diventa nella pratica. Perché in un numero elevato di misure si rivela come un sistema di particolare afflizione. L’ultima è il divieto di tenere nella propria cella la foto dei propri genitori defunti. Devo capire quale sarebbe la pericolosità, in quel caso.

Che rasenta la tortura, anche psicologica, nell’infliggere al detenuto la massima umiliazione, l’alienazione.
Sono sempre attento a usare la parola tortura. Il 41bis è un provvedimento ottuso e inutilmente feroce.

Nordio faccia Nordio, ci diceva. Ma glielo faranno fare o rimarrà ostaggio della maggioranza di destra che lo ha eletto e portato al governo?
Mi sembra di no. Il governo ha scelto la via più sbagliata: quello di un braccio di ferro con gli anarchici. Una colluttazione ideologica che punterebbe ad affermare la forza dello Stato e che finisce invece per confermarne una tendenza all’ottusità. Che poi è debolezza. Perché andrebbe invece affermato un concetto elementare, che dovrebbe fare parte dell’abbecedario della democrazia: abbiamo un detenuto con un regime differenziato. E’ un regime applicato correttamente? E’ una valutazione che va fatta prescindendo incondizionatamente dal curriculum della persona, dalla sua lealtà verso lo Stato democratico, dalle sue opzioni politiche. In-con-di-zio-na-ta-men-te.

Questa vocazione alla condanna ideologica risponde alla necessità di creare un nuovo nemico pubblico, quello degli anarchici?
Penso risponda a una mentalità, a un senso comune di una classe politica di destra. Rave, migranti, anarchici: all’improvviso tutto diventa un problema di ordine pubblico. La questione dell’ordine pubblico è un ingrediente essenziale falso. Come rivela la questione Ong: il loro ruolo è significativo per salvare vite in mare ma laterale rispetto alla questione dell’immigrazione nel suo complesso. Questione che viene sopraffatta e manipolata, subendo uno slittamento semantico e giuridico, per mettere in evidenza i comportamenti che si contestano alle Ong. Diventa un problema di ordine pubblico tutto quello che è la classe politica ha la manifesta incapacità di affrontare. Però attenzione: il vero nemico pubblico dovrebbe avere la dignità grande e terribile della nemicità. Io, autorità, indico un nemico pubblico. Così gli attribuisco la dignità grande e tremenda data dalla nemicità. Quando il governo attribuisce questa dignità a coloro che lanciano molotov e protestano per Cospito, amplifica la loro minaccia.

da il Riformista

Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto, parla della vicenda dell’anarchico detenuto al 41 bis “Le sue condizioni di salute sono peggiorare ed è costretto sulla sedia a rotelle. Tutto è nelle mani del ministro Nordio”.

Partiamo dalle ultime notizie sanitarie. Come sta Alfredo Cospito?

Per quanto riguarda le condizioni di salute di Alfredo Cospito, ho parlato poco fa col medico di fiducia, Angelica Milia, la sua valutazione è molto netta e ritiene che il detenuto possa avere pochi giorni di vita. La situazione generale è molto critica e ai dati clinici già noti, si è aggiunto il fatto che qualche giorno fa Cospito è caduto mentre tentava di fare la doccia e questo ha provocato una forte emorragia. Le sue condizioni complessive sono quindi peggiorate ed è ormai costretto sulla sedia a rotelle. È indubbio, quindi, che il delicatissimo equilibrio sul quale si poggiava la sua sopravvivenza è gravemente compromesso. Questo è, in altre parole, il dato clinico che a mio avviso rende urgente il fatto che siano assunte decisioni e provvedimenti che, invece, non sembrano essere imminenti.

Le reazioni politiche sono state, diciamo, quasi praticamente assenti fino agli ultimi giorni. Sembrava che ci fosse una discussione interna al Consiglio dei ministri o che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, potesse prendere delle decisioni. Siccome non è chiaro a molti di chi sono le responsabilità giuridiche e chi è che può intervenire, ci puoi spiegare bene quali sono le persone che hanno il potere di intervenire in qualche modo per salvare la vita a Cospito?

In sintesi, una persona, con un nome e un cognome: il ministro Carlo Nordio. Tocca a lui intervenire, facendo un doppio intervento. Deve, in primo luogo, revocare una norma ministeriale che risale a una decina di anni fa che impediva al ministro della Giustizia di revocare il 41 bis a cui fosse sottoposto un detenuto. Norma prevista dall’allora ministro Angelino Alfano. Dopo di che il ministro può revocare il regime di 41 bis a cui è sottoposto il detenuto, quindi la responsabilità è tutta sua. Anche perché l’altro lato di responsabilità, che fa capo alla Cassazione, ha un calendario tale che è assai probabile arrivi tardi, molto tardi rispetto allo stato di salute di Cospito. La questione è quindi tutta nelle mani del governo e del suo ministro della Giustizia. Trovo in primo luogo bizzarri e poi i desolanti i comunicati della presidenza del Consiglio dove si ribadisce, con determinazione, che il governo non deve scendere a patti con gli anarchici. Questa mi sembra un’affermazione pleonastica, da smontare in quanto banalità, ed è anche totalmente pretestuosa: è ovvio che un governo non debba trattare con gli anarchici o che non debba mediare. Ma chi gliel’ha chiesto?

Il governo deve rispondere solo a sé stesso, ovvero ai valori e ai principi sui quali ha giurato, che sono i valori e i principi della Costituzione, le regole, le garanzie e i diritti che uno stato di diritto prevede per coloro che sono stati privati della libertà. Quindi questo suo “gonfiare il petto” e fare dichiarazioni tonitruanti è del tutto fuori luogo. Il governo, in sostanza, è chiamato a verificare se il trattamento di Cospito, la sua situazione, è coerente col dettato costituzionale, con i principi e le regole dello stato di diritto. Se nella sua condizione di persona sottoposta al 41 bis non si stiano violando i diritti fondamentali della persona, garanzie che il detenuto, comunque, deve poter far valere e affermare. Il regime di 41 bis, in particolare quello applicato a Cospito, risponde a quanto prevede la norma? Oppure è una misura abnorme, inutile, sproporzionata e dunque illegale? Questo è il nodo e non è altro. Le misure che sono state prese nei confronti di Cospito durante quel regime di 41 bis sono misure legali? Negargli la possibilità di avere nella propria cella le foto dei suoi genitori è legale? Risponde all’esigenza di sicurezza oppure significa semplicemente affermare una volontà afflittiva e punitiva nei confronti del detenuto? Queste sono le domande che dobbiamo porci. Non è certo per alcuni attentati dinamitardi di un pugno di anarchici che deve essere presa la decisione del governo. Tutte le decisioni di diritto prescindono dall’identità della persona incriminata, dal curriculum criminale di Cospito o di chiunque altro, prescindono dalla sua lealtà nei confronti dello stato di diritto, prescindono dalle parole che egli scrive o dice e hanno come unico punto di riferimento la legge.

Lei si è occupato e si occupa di carcere da molti anni e ha anche scritto un libro che è stato ristampato da poco sull’abolizione del carcere. Chiaramente la battaglia di Cospito è una battaglia generale degli anarchici contro l’istituzione del carcere. Ma qui c’è un punto di caduta molto preciso, che è la battaglia contro il 41 bis e contro l’ergastolo ostativo. Vorrei chiederle, quindi, a che punto sono queste battaglie, oltre il caso Cospito…

Le battaglie sono a un punto molto arretrato. Del 41 bis si parla grazie ad Alfredo Cospito, ma il 41 bis è attivo da oltre 30 anni e in oltre 30 anni, al di là del giudizio che diamo sulla norma in sé, è stato applicato in maniera tale da andare oltre la legge, violando i diritti umani. La consapevolezza di questo è tutt’ora patrimonio di piccoli settori dell’opinione pubblica, così come la consapevolezza che affermare un principio significa voler che le regole governino il nostro ordine sociale.

Io non ho nulla a che vedere con gli anarchici e con Cospito, ma è ridicolo che io sia chiamato a fare questa dichiarazione. Perché mai pronunciarmi a favore dell’uscita di Cospito dal regime di 41 bis dovrebbe significare avere una qualche simpatia per lui, per le sue idee o per la sua ideologia? E tanto meno per quegli infelici che hanno fatto gli attentati incendiari in questi giorni, che chiaramente danneggiano la causa di Cospito.

Si tratta di ristabilire un po’ di verità e questa riguarda i principi fondamentali dello stato di diritto, le garanzie essenziali e la democrazia. Le condizioni in cui si trova Cospito rispondono ai criteri di quell’articolo 27 della Costituzione, al comma 3, per cui una pena non deve essere in alcun modo disumana? Moltissime testimonianze ci dicono che il 41 bis, in tante circostanze, è una pena disumana.

Altra questione fondamentale: l’ergastolo ostativo, le pene ostative. In particolare, l’ergastolo confligge violentemente con quello che è un assunto essenziale del nostro ordinamento e della nostra civiltà giuridica. Il nostro umanesimo politico ed etico si fonda su una categoria che l’ergastolo ostativo aggredisce nel suo fondamento. La categoria è la redimibilità, che tradotto in termini laici significa una cosa sola, ossia la possibilità che ogni uomo possa cambiare, possa trasformarsi, possa modificare il suo comportamento. Un ergastolo ostativo che non prevede la possibilità di ottenere benefici e di godere della libertà condizionale, è una pena che afferma che l’essere umano resta inchiodato al suo reato, che quell’essere umano che ha commesso un omicidio è l’omicidio stesso, è il suo crimine. Mentre invece qualunque idea del sistema penale e qualunque idea di sistema penitenziario che voglia essere intelligente e razionale, oltre che democratico, deve puntare sul fatto che il detenuto possa emanciparsi dal suo crimine, possa essere diverso dal suo crimine. L’ergastolo ostativo nega questa possibilità.

Ci può fare un’analisi di queste due parole – redimersi e pentirsi – e raccontarci il dibattito giuridico che si è sviluppato, in questi due anni, attorno a questi concetti?

Il pentimento per come è stato utilizzato nella produzione normativa prevede uno scambio. Io dichiaro pubblicamente il mio pentimento, do prove certe del mio pentimento, e a partire dalla collaborazione con la magistratura ottengo dei benefici. Questa è la forma classica del pentimento che ovviamente può prescindere totalmente da quanto è accaduto nell’animo di quella persona. Cioè se quel pentimento sia vero oppure fittizio. Quando io parlo di redimibilità alludo al significato autentico del termine, intendo un mutamento gratuito, che non chiede nulla in cambio. Una redenzione che si afferma come capacità di trasformarsi.

Quante persone sono al 41 bis e quante, invece, condannate all’ergastolo ostativo?

Al 41 bis si trovano 748 persone, tra le quali 13 donne. In ergastolo ostativo 1.400 persone circa. Dal 2000 a oggi, contrariamente al luogo comune che dice “ma poi nessuno muore in carcere” sono morte nelle carceri italiane 111 persone. In più gli eventi suicidari in questo anno sono stati 84, un numero altissimo, che corrisponde a 18 volte i suicidi che si verificano all’esterno del carcere. Negli ultimi dieci anni si sono tolti la vita un centinaio di poliziotti penitenziari. Questo mi induce a dire che è il carcere a confermarsi come una macchina criminogena e patogena: criminogena perché riproduce all’infinito crimini e criminali e patogena perché riproduce malattie, patologie, psicosi, suicidi e morte.

Una delle ragioni del 41 bis è la necessità di impedire ai detenuti di comunicare con l’esterno. Il Garante nazionale delle persone private della libertà ha proposto che venisse modificato il regime di 41 bis nei confronti di Cospito e venissero solamente controllati e censurati i suoi scritti verso l’esterno. Può dirci le sue riflessioni rispetto a questo?

Siamo arrivati al cuore del problema. Quello di recidere i legami tra il detenuto la criminalità organizzata esterna non è uno degli obiettivi, in realtà è il solo obiettivo del 41 bis, per rispondere ai requisiti di legge non deve tendere ad altro. Il 41 bis infatti non è “il carcere duro”, non è il carcere pesante e afflittivo, è quel carcere che recide i legami con l’organizzazione di riferimento e tutto ciò che eccede questo scopo, è illegale.

Il caso di Alfredo è un caso particolarmente singolare, lei ha detto che ci sono dei lati persino surreali e grotteschi. Perché di fatto nel regime di 41 bis la maggior parte delle persone sono legate a organizzazioni criminali o a organizzazioni armate di tipo terroristico. Rispetto a Cospito si può fare questa affermazione, che faccia parte di un’organizzazione oppure, anche in questo caso, dovremmo ragionare diversamente?

Sì, almeno una sentenza definitiva della Cassazione nega due cose: nega che la Fai, Federazione anarchica informale, sia un’organizzazione criminale gerarchica, organizzata stabilmente, che prenda ordini e che risponda a una logica di organizzazione con le sue regole classiche. E afferma un’altra cosa: Alfredo Cospito non comanda sulla Fai, non è il leader prigioniero di un’organizzazione criminale che dipenda da lui e che da lui riceve ordini.

Passiamo a un altro punto che queste parole richiamano e che in questi giorni avrà ascoltato: reti degli anarchici e organizzazione anarchica. Anche a partire dalla sua storia politica, le è capitato sicuramente di vedere come il dibattito pubblico abbia trattato la militanza anarchica. Anche qui, può fornirci una sua riflessione che abbia anche una prospettiva storica?

Io credo di aver scoperto gli anarchici nella maniera più drammatica che possa capitare, ovvero in occasione della morte di Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della questura di Milano in via Fatebenefratelli. Lì è iniziata la mia vera forma politica, perché mi è capitato di essere tra coloro che hanno condotto un’attività di informazione e controinformazione su quella morte. In quella circostanza scoprii che il mondo anarchico, come tutti i mondi politici, era assai composito. Da allora, ovvero dal 15 dicembre del 1969 e negli anni successivi, ebbi la fortuna di conoscere molti anarchici che definirei miti, cioè molti anarchici che praticavano la non violenza. Dopo di che sia coloro che la violenza la praticavano, sia coloro che la ripudiavano cadevano sotto un unico stigma: la parola anarchica evocava le bombe.

Posso dire per mia testimonianza personale che quando scoppiarono le bombe del 12 dicembre a Milano, nei locali della Banca nazionale dell’agricoltura, una parte del movimento studentesco accreditò per qualche giorno la possibilità che fossero stati proprio loro, gli anarchici, a compiere quella strage. Quindi la questione è delicata, ma sia la politica, sia soprattutto il diritto, mi hanno insegnato – e spero di non tradire mai questo insegnamento – che la mia scelta dalla parte di coloro che subiscono ingiustizia prescinde dall’identità politica di coloro che subiscono ingiustizia, dalla loro fedina penale, dal loro curriculum criminale e dalle loro scelte ideologiche. Quindi per me la vicenda di Alfredo Cospito è né più né meno che una tra le tante questioni di giustizia.

Come è cambiata l’aria attorno alla galassia anarchica in questi ultimi anni, intorno alle indagini che l’hanno riguardata. E rispetto a questi processi le chiederei una riflessione politica: c’è un’area vasta che, come lei, ha a cuore la giustizia anche se riguarda coloro che non ci sono simpatici, che vengono definiti indifendibili?

Negli ultimi vent’anni la politica giudiziaria nei confronti degli anarchici è sempre stata molto pesante. In genere, i processi hanno inflitto molti anni di carcere, hanno sempre fatto ricorso ai massimi della pena. La vicenda di Cospito è, anche sotto questo profilo, molto istruttiva: lui è stato condannato per strage, in II grado per strage contro la pubblica sicurezza, che prevedeva una pena massima di 15 anni. Su questo la Cassazione è intervenuta chiedendo che la condanna cambiasse il suo titolo e fosse strage non contro la pubblica sicurezza ma contro la personalità dello stato. Tutto ciò da un punto di vista formale è assolutamente legale: solo che questo non riesce a chiarire il punto di partenza. Che quella strage, che sia contro la pubblica sicurezza o contro la personalità dello stato, attribuita a Cospito, non c’è mai stata.

Perché la strage è un reato di “pericolo”: se crei una situazione dalla quale potrebbe derivare una strage puoi essere condannato per strage. Anche se, come avvenne per i pacchi bomba messi da Cospito di fronte alla caserma dei carabinieri di Fossano, non ci sono morti né feriti. Ma aver messo in atto un’azione che, a determinate condizioni, avrebbe potuto causare morti e feriti, si configura come strage al massimo livello, contro lo stato, quindi politica.

A mio avviso questa attribuzione di strage politica lo si deve al fatto che l’autore individuato è appunto un anarchico. Per quanto riguarda l’ultima sua domanda, io non credo che ci sia stato un mutamento. Ritengo che la componente garantista della società italiana sia stata e continui a essere molto esile e che la ragione di fondo consista in questo: che le condizioni di stress economico-sociale, di debolezza materiale, di disuguaglianze sempre più acute e più diffuse in larghi strati della popolazione, produca questa reazione. La reazione è una pulsione di vendetta, di rivalsa, contro chi appare come un impunito. Il giustizialismo italiano ha questa profonda radice sociale. Gruppi sociali deboli, che si sentono offesi, maltrattati, ignorati o peggio che si sentono vittime di ingiustizia, reagiscono chiedendo una giustizia sbrigativa, vendicativa, nei confronti di quei gruppi che appaiono loro, a qualunque titolo, come privilegiati.

da il Domani

 

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