Gli arresti in Francia sono un messaggio contro No Tav e operai della logistica
- aprile 29, 2021
- in anni '70, lotte sociali, no tav
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I focolai di protesta e gli avvertimenti
Tra passato presente… e futuro. È profondamente sbagliato pensare che gli arresti dei rifugiati politici italiani in Francia riguardino esclusivamente storie di tanti fa. Il messaggio invece arriva a chi lotta oggi contro lo status quo, in primo luogo i militanti NoTav e gli operai della logistica, probabilmente gli unici focolai che danno fastidio al potere. L’operazione in Francia decisa da Macron su richiesta italiana anche per ragioni di politica interna al fine di sottrarre consensi alla destra serve in Italia per regolare lo scontro sociale e politico di oggi. Si tratta dell’utilizzo di un fantasma del passato per far paura a chi manifesta oggi.
Nonostante in questo momento nel nostro paese non vi siano situazioni esplosive a livello di ordine pubblico. Ma la determinazione di chi governa e ha chiesto alla Francia la consegna dei latitanti sembra quella di “ammazzare il bambino nella culla” prima che cresca e concretizzi “idee malsane”. Era già accaduto con il compressore bruciacchiato del cantiere dell’alta velocità di Chiomonte trasformato dalla procura di Torino con il teorema Caselli in un’azione di terrorismo internazionale che metteva in discussione la sicurezza dell’Italia e dell’Unione Europea. Purtroppo per gli inquirenti del gianduiotto la Ue decideva di non costituirsi parte civile. Il presidente della corte d’assise ne prendeva atto dicendo in aula: «Sembra chiaro che l’Europa non è interessata al nostro processo». Erano parole anticipatrici di quanto sarebbe accaduto in seguito. La procura perdeva su tutta la linea fino alla Cassazione, ma intanto il giochino costava a diversi indagati oltre un anno di custodia cautelare in carcere costretti ai rigori di un 41bis di fatto e per alcuni di loro anche a contrarre la scabbia.
La procura di Torino non si è fermata. Dana Lauriola per aver parlato con un megafono durante un sit-in in autostrada si prendeva una condanna due anni di reclusione senza possibilità di scontare la pena in modo alternativo. Solo dopo sette mesi di carcere ha avuto la detenzione domiciliare dai giudici di sorveglianza che comunque l’hanno definita pericolosa in quanto non avrebbe mostrato segni di resipiscenza incitando con lettere dalla prigione i compagni a lottare ancora. Gli operai della logistica vanno in piazza per ottenere migliori condizioni di lavoro, vengono picchiati dalla polizia e indagati per violenza. Chi manifesta solidarietà ai detenuti alle prese con l’emergenza Covid andando per strada con le mascherine e rispettando le distanze finisce in galera per terrorismo.
In pochi mesi l’anno scorso ci sono state due operazioni contro gruppi anarchici a Roma e Bologna. L’accusa di associazione sovversiva è caduta dopo mesi di custodia cautelare. Per Francesca Cerrone resta l’imputazione di aver rubato tre sacchi di cemento, valore trenta euro. Nico Aurigemma si era visto negare un colloquio con i familiari. Il gip faceva copia e incolla col parere del pm. Aurigemma pagava il dazio per essersi avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia. Cioè per essersi avvalso di un suo diritto di indagato perdeva un suo diritto da recluso. Adesso gli anarchici sono tutti fuori dal carcere mentre i servizi di sicurezza hanno presentato le due operazioni e l’estradizione dalla Spagna di Francesca Cerrone come “successi investigativi”.
Evidentemente i funzionari degli apparati ignorano i risultati concreti della loro attività. Sarebbe bello verificare i costi di queste strutture ma vige una sorta di segreto di stato in una situazione in cui c’è la repressione senza sovversione. Se non c’è il terrorismo se lo inventano perché hanno da giustificare la loro esistenza. Gli arresti francesi dicono che chi lotta oggi sarà perseguito e anche perseguitato fino alla veneranda età. Giorgio Pietrostefani per esempio ha 79 anni. Il delitto Calabresi risale al 1972. Adesso ha in pratica la certezza di finire in una cella a quasi 50 anni dai fatti. Ma anche la giornata di oggi viene buona per chiedere alla mitica procura di Milano e all’antiterrorismo “scusate, l’anarchico Pinelli chi lo uccise?”.
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