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Genova 2001: Avevamo Ragione Noi / anche se non c’eravamo

Avevamo ragione noiDomenico Mungo, Avevamo ragione noi. Storie di ragazzi a Genova 2001, illustrato da Paolo Castaldi, Eris Edizioni, 2016, pp. 256, € 13.00

Scrivere di Genova 2001 senza esserci stati è un po’ come recensire un libro senza averlo mai letto. Un grande classico di cui hai sentito parlare tante volte, ne conosci la trama, i personaggi principali, le ambientazioni, Carlo Giuliani, Bolzaneto e la Diaz. Hai anche visto il film di Vicari. Puoi parlarne per ore fingendo di averlo letto, di esserci stato. Ma la verità è che non avrai mai più occasione di leggerla Genova 2001. Quello che ti resta è fartela raccontare.

Sei il ricordo appannato di Genova 2001.
Un tredicenne che alle medie si vestiva di nero dalle scarpe al collo e che ben prima dell’estate rideva coi compagni dichiarandosi black block. Com’erano stati bravi a farti entrare nella mente i buoni e i cattivi, il bianco e il nero, la polizia e i manifestanti. Chissà cos’è a tredici anni, con la coscienza politica compressa nei cristalli liquidi di un Nokia 5110, che ti spinge a scegliere tra il bianco e il nero. Vorresti darti una risposta consolatoria, che abbia il gusto della presenza, vorresti convincerti che quel ragazzino aveva già capito da che parte stare. Che il suo G8 era quotidiano, in classe, con le mani al cielo, le manifestazioni di dissenso, i banchi rovesciati. Ma la realtà è un’altra. Genova era a soli 40 minuti di treno da quella classe, ma nel 2001 era una gita scolastica all’acquario. E i pinguini, quelli sì, ti avevano colpito.

Cinque anni dopo. È il 2006.
Sei al liceo e Rifondazione Comunista suscita gran scalpore intitolando a Carlo Giuliani la sede del proprio ufficio di presidenza al Senato. Hai i capelli lunghi, condizione sufficiente per meritarsi l’appellativo di “comunista”. Ma Marx è solo una barba, devi ancora studiarlo e la tua coscienza politica ha lasciato perdere i cristalli per divenire totalmente liquida. Ricordi la prof di filosofia, il dibattito, l’incapacità di schierarsi con forza e intransigenza dalla parte di un ragazzo come te – sì proprio come te, non provare a storcere il naso – ammazzato brutalmente dalla polizia. E poi il silenzio e la vergogna.

Possibile che non avevi ancora letto niente su Genova 2001?
Che nessuno t’aveva mai raccontato nulla di cos’era successo per davvero. Che c’erano solo la televisione e una canzone dei Modena City Ramblers a raccontarti quel libro? Erano già passati cinque anni da quell’assolato pomeriggio di luglio e il nero liquido che si apriva dietro la nuca di Carlo era già diventato oblio. Possibile che il grande classico della letteratura del terzio millennio – AA.VV, Genova 2001 – era andato perduto per sempre. Ne avevano censurato le copie originali. Le avevano mandate al macero. E poi ne avevano occultato i capitoli, riscrivendo paragrafi, inserendo nuovi personaggi e nuovi artifizi letterari. L’avevano fatto prima di luglio: con le sacche nere, il sangue infetto; durante quei giorni: con le molotov alla Diaz e il tossico spagnolo ammazzato; e non si sono ancora fermati, continuano a farlo quando si presenta l’occasione. No. Non poteva essere.

avevamo-ragione-noi-domenico-mungo-4A 15 anni da Genova 2001 cosa è cambiato.
Un diciottenne deve guadagnarseli con le unghie quei racconti di contrabbando. Deve cercare, scavare. Avere la fortuna di trovare qualcuno che gli racconti cosa sia successo. Che gli ripeta allo spasmo come un mantra che “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale” è avvenuta proprio in Italia, pochi anni fa. Ma lo sai che hanno torturato? Che hanno ammazzato? Che hanno spaccato teste? E che i responsabili della mattanza, gli stessi che hanno esultato alla morte di un ragazzo di 23 anni, sono stati premiati, hanno fatto carriera e ora siedono in posti di responsabilità e potere. E chi ha preso le botte? Chi è stato massacrato quei giorni di luglio? Be’, ha subito condanne penali durissime. Sapevi che due di loro dopo quindici anni sono ancora in carcere?

Farselo raccontare.
Prendersi tempo, domandare, farsi bruciare gli occhi dai video gonfi di gas CS e ingiustizia, conoscere chi quel giorno ha scritto con l’entusiasmo e col sangue un racconto tanto vicino alla fantascienza da rappresentare la più cruda realtà umana. Impossibile capirla da soli Genova 2001, neanche se ci sei stato. Piano piano si strozzano in gola i silenzi, la bocca inizia ad aprirsi e chiudersi, boccheggi e ti ritrovi in un mare troppo denso da decifrare, troppo profondo da affrontare da solo. Le eliche degli elicotteri rimbombano sopra le teste e ti tengono sveglio. Empatia. Il racconto diventa cura e comprensione comunitaria. Potevo esserci io. Potevo essere Carlo. Il mio sacco a pelo blu alla Diaz. Empatia. Non c’ero, ma ho mal di pancia. Non c’ero, ma avevate ragione voi.

“Avevamo Ragione Noi. Storie di ragazzi a Genova 2001” di Domenico Mungo.
È appena uscito per Eris Edizioni ed è uno di quei tasselli che contribuiscono a raccontarci quel libro collettivo che è Genova 2001. Fuggendo le retoriche e le manipolazioni dell’informazione mainstream e del potere. È un libro fastidioso, a tratti insopportabile, scritto da chi c’era e ha voluto raccontare la guerra. Quella vera, non la sua rappresentazione. Un coro di voci in azione, mosse da una vitalità urlata, un flusso caotico e disordinato che chiama il lettore a confrontarsi con una narrazione satura di “come” e di similitudini senza sosta. Come a dirci, lo capite quanto è difficile raccontare Genova 2001? Senza i “come” non posso raccontarvela. L’esasperato utilizzo della metafora è un’arma di difesa di fronte alla semplificazione binaria della narrazione dominante su Genova 2001 e rappresenta allo stesso tempo il tentativo di rendere giustizia alla biodiversità che ha contraddistinto quell’esperienza.

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Accanto alla similitudine, ai “come”, la ripetizione.
La ripetizione: funzionale a fissare qualcosa di talmente esagerato, che non resta che trovare parole sempre diverse per descriverlo, in maniera tale da dare consistenza al dramma collettivo. L’evento che si ripete nel libro senza soluzione di continuità è la morte di Carlo. Non si può raccontarla in una maniera sola e non si può permettere che la si racconti in una sola maniera viziata dall’infamia. E allora ascoltami. Ti ripeto da angolazioni diverse come è morto Carlo, per farti capire che ciò è stato e sempre sarà. Non fu finzione, non fu esercizio di stile. Fu morte. E io ancora quasi non ci credo che l’hanno ammazzato come un cane e hanno infierito sul suo corpo. Ma le tue orecchie devono comprendere la ribellione di corpi sanguinanti, violati in vita, violati in morte. Quanti Carlo eravamo ad abbracciare le strade di Genova 2001. La nostra morte non è altro che l’affermazione più degna delle nostre vite. Come possiamo non raccontarla?

Nessun tossico dietro quei passamontagna.
Nessuno spagnolo, nessun italiano, ma ragazzi attaccati a un rotolo di scotch, strappati, appesi al muro, violentati dalle forze dell’ordine nelle strade, nelle caserme, nelle scuole, dai media di regime, da tutti quei benpensanti che continuano a credere che se eri a Genova 2001 potevi morire, dovevi metterlo in conto, è inutile che fai finta di non essertela cercata, ti è andata solo bene che non ti chiamavi Carlo.

Se cercate una testimonianza classica o un’analisi politica ragionata di ciò che è successo a Genova non la troverete in Avevamo Ragione Noi, quello che troverete è la rabbia, la vitalità ribelle che non cede alla potenza mortifera del potere autoritario, la giustificazione della violenza come atto di resistenza e dignità. Domenico Mungo è lapidario, attraverso le voci dei personaggi del suo romanzo, nei giudizi contro il Genoa Social Forum, le Tute Bianche e Luca Casarini, rei di aver messo un cappello di gommapiuma al movimento. Caricaturale nella descrizione del poliziotto romano fascista, ultrà, figlio di un comunista, che non accetterà di festeggiare la morte di Carlo. Prudente nell’assunzione di responsabilità collettiva, nel riconoscere gli errori, riflettere la sconfitta. Ma questo non è il punto. Il suo è un romanzo prezioso, forse soprattutto per chi non c’era, un buon trampolino per tuffarsi nel mare denso che fu Genova 2001 e riemergerne un po’ più consapevoli di prima.

Il libro è arricchito da sette splendide illustrazioni di Paolo Castaldi, compresa la copertina. Graffi chiaro-scuri che restituiscono la misura dell’ingiustizia. Chi aveva ragione non ha volto: non ce l’ha Carlo dietro il passamontagna, non ce l’ha il ragazzo con il casco del Toro al fianco di Carlo, non ce l’hanno i muscoli tesi e le braccia contro il muro nella Caserma di Bolzaneto, e nemmeno quelle in copertina alzate contro il cielo. Chi aveva torto invece non ha occhi, è l’ombra cieca di se stesso.

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Simone Scaffidi da Carmilla


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