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Generale, accusato di torture, nominato capo dell’Interpol

Una settimana fa abbiamo lanciato l’allarme che Ahmed Naser Al-Raisi oggetto di diverse denunce per torture potesse assumere la guida dell’ Interpol. Ora è arrivata l’ufficialità. Proteste da parte delle ong

di Mathieu Martiniere (We Report)

Malgrado diverse denunce e accuse di atti di tortura, Ahmed Nasser al-Raisi, ispettore generale della polizia degli Emirati arabi uniti, è stato eletto presidente dell’organizzazione mondiale della polizia (Interpol) giovedì 25 novembre, a Istanbul. Un voto che conferma l’influenza smisurata di Abou Dhabi su questa istituzione di cui fanno parte quasi tutti gli stati del mondo.

I dirigenti francesi di Interpol avevano promesso che non sarebbe passato e invece ecco eletto presidente di Interpol l’ispettore generale degli Emirati noto per i suoi vari atti di tortura.

Giovedì 25 novembre a Istanbul, s’è tenuta l’89a assemblea generale d’Interpol, Ahmed Nasser al-Raisi è diventato presidente dell’organizzazione di polizia criminale, al terzo scrutinio, con il 68,9% dei voti degli Stati membri (che sono 186). La candidata ceca Sarka Havrankova, è stata facilmente sbaragliata. Lo sbirro emiratino dirigerà per quattro anni il comitato esecutivo d’Interpol, composto da tredici alti poliziotti di vari paesi. L’Interpol è riconosciuta come organizzazione intergovernativa dall’ONU. Il presidente d’Interpol ha un ruolo molto rappresentativo, ma assai simbolico sebbene il potere dell’organizzazione è esercitato soprattutto dal segretario generale, il tedesco Jürgen Stock. «Nel corso degli ultimi tre anni ho lavorato con M. Al-Raisi nel suo vecchio ruolo di delegato al comitato esecutivo. Non vedo l’ora di lavorare in stretta collaborazione con lui per far sì che Interpol continui a conseguire il suo mandato e a sostenere la cooperazione fra le polizie», ha dichiarato Jürgen Stock dopo il risultato di tale elezione.

Eppure la candidatura d’Ahmed Nasser al-Raisi puzzava di zolfo. Ispettore generale della polizia degli Emirati arabi uniti ed ex direttore delle operazioni centrali della polizia di Abou Dhabi (dal 2005 al 2015), il generale è accusato di aver coperto numerosi atti di tortura commessi dalle forze di polizia emiratine sotto la sua autorità. Diverse denunce per tortura sono state presentate nel 2021 da due cittadini inglesi, Matthew Hedges e Ali Ahmad, in Francia, presso la sede centrale d’Interpol che è a Lione, ma anche in Turchia.

In giugno scorso, l’avvocato William Bourdon aveva presentato una denuncia per «torture e atti di barbarie» contro Ahmed Nasser al-Raisi al tribunale di Parigi, a nome dell’attivista emiratino dei diritti umani Ahmed Mansour, incarcerato negli Emirati dal 2017. Contattato da Médiapart su tali accuse, né il generale Al-Raisi né il ministero degli interni degli Emirati hanno risposto.

«Che disgrazia! È un triste giorno per la giustizia internazionale e la polizia mondiale, dice Matthew Hedges, docente universitario britannico.

Numerose ONG e vittime s’indignano di tale nomina. Bruno Min, direttore dell’ONG britannica Fair Trials International, comunica a Médiapart la sua critica: «Questo individuo è alla testa della polizia mondiale. È qualcuno che è stato accusato di tortura, e che è il rappresentante di un sistema giudiziario molto criticato per le sue violazioni dei diritti umani. È giusto inviare il cattivo messaggio alla comunità internazionale, e dire che è forse ciò che la polizia è autorizzata a fare».

Il ricercatore Ali Ahmad, anche lui cittadino del Regno Unito, ha sporto denuncia per atti di tortura che ha subito da parte delle forze di polizia emiratine, nel 2018 e nel 2019, durante il suo soggiorno negli Emirati. L’Agenzia France Presse fa sapere che la denuncia di Ali Ahmad e di Matthew Hedges in Francia, ma anche quella dell’attivista Ahmed Mansour, sono state archiviate dalla Procura antiterrorismo per «mancanza di competenza». Gli avvocati dei due hanno già annunciato la loro intenzione di sporgere nuove denunce non appena Ahmed Nasser al-Raisi metterà piede sul suolo francese.

In Francia, il sindaco ecologista di Lione, Grégory Doucet, ha qualificato su Twitter l’elezione del generale Al-Raisi di «vergogna». «Comen un uomo sospettato di torture può stare alla testa dell’organizzazione mondiale delle polizie? Condanno fermamente questo grave attentato al rispetto dei diritti umani e all’immagine dell’istituzione». Peraltro questo sindaco ha segnalato di lavorare alla creazione di un dispositivo di «cittadinanza onoraria della città di Lione». «In omaggio e a sostegno al militante e poeta Ahmed Mansour, a cui proporremo di esserne il primo beneficiario».

Da parte sua il deputato lionese Hubert Julien-Laferrière che aveva interpellato anche Macron, su Twitter si rammarica «profondamente che questa prestigiosa istituzione sia ora presieduta da un individuo colpevole di numerose violazioni dei diritti umani. Con il loro silenzio, la Francia e i suoi alleati si sono resi complici di questa presidenza della vergogna”.

Né Gerald Darmanin né Emmanuel Macron hanno ancora ufficialmente reagito all’elezione dell’ufficiale di polizia degli Emirati. Contattato da Mediapart, il SICcoP, il servizio di comunicazione della polizia nazionale francese, ha detto che “non desidera comunicare” sull’elezione del nuovo presidente dell’Interpol. “Non vogliamo fare commenti perché non abbiamo informazioni su queste accuse”, spiega anche il commissario divisionale Franck Dannerelle, assistente del capo della Direzione delle relazioni internazionali (DRI) della polizia giudiziaria, che ospita l’ufficio francese di Interpol. “C’è rispetto per la presunzione di innocenza e, per quanto ne sappiamo, non c’è condanna”.

L’elezione di Ahmed Nasser al-Raisi mostra il peso sproporzionato che gli Emirati Arabi Uniti hanno assunto in pochi anni all’interno dell’agenzia di polizia. L’Interpol, che ha un budget contenuto in vista delle sue missioni, di circa 150 milioni di euro l’anno, ha ricevuto una donazione di 50 milioni di euro nel periodo 2016-2021 dagli Emirati Arabi Uniti. Questo rende questo piccolo stato petrolifero di 10 milioni di persone il secondo maggior contribuente all’Interpol dopo gli Stati Uniti.

Questa donazione di 50 milioni di euro dagli Emirati è passata attraverso un ente curioso, la Foundation for a Safer World, con sede a Ginevra, dove si incontrano personaggi politici, esuli fiscali e un ex grande poliziotto convertito in intelligence internazionale, come hanno rivelato Médiapart e Artetv. Molti di loro, come Carlos Ghosn, ex amministratore delegato di Renault-Nissan, hanno rassegnato le dimissioni a causa di procedimenti penali. Tra gli attuali membri di questa fondazione troviamo Jürgen Stock, Segretario Generale dell’Interpol, ma anche Sheikh Mansour, Vice Primo Ministro degli Emirati Arabi Uniti, fratellastro dell’attuale presidente e proprietario di dieci club di calcio nel mondo (dal Manchester City a Troyes). Da questo finanziamento, gli Emirati sono cresciuti in influenza all’interno dell’organizzazione. Nel 2018, Dubai ha ospitato in pompa magna l’87a Assemblea Generale d’Interpol, che si tiene ogni anno in un paese diverso.

Lo scorso aprile, David Calvert-Smith, un ex Gran Giudice britannico in pensione, ex direttore dei pubblici ministeri in Inghilterra e Galles, ha presentato un rapporto severo e approfondito sull’influenza degli Emirati Arabi Uniti sull’Interpol (svelato da Mediacités).

Il rapporto descrive in dettaglio diversi esempi di «avvisi rossi» controversi emessi dalle autorità degli Emirati. Come altri regimi autoritari (Bielorussia, Turchia o Russia), gli Emirati stanno svelando il sistema di «avviso rosso» d’Interpol. In effetti, il piccolo stato del Golfo utilizza i famosi avvisi dell’Interpol sui ricercati, normalmente riservati a crimini gravi, per invece perseguire scopi civili. Nel 2018,  Robert Urwin, cittadino britannico, è stato imprigionato per 40 giorni in Ucraina, insieme ad assassini e stupratori. Il suo crimine? Un assegno rifiutato tredici anni prima negli Emirati Arabi Uniti.

Come hanno votato e cosa ne pensano i dirigenti italiani di Interpol non è dato sapere, per ora … ma è assai probabile che abbiano lo stesso comportamento dei francesi visto che l’Italia e la Francia sono concorrenti nella corsa a vendere armi agli Emirati e all’Arabia Saudita.

da Mediapart

 

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