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Fuori dal carcere per pene ingiuste, dalla Cassazione arriva una sentenza storica

L’importante pronunciamento delle sezioni unite della Cassazione è il definitivo colpo d’ariete sferrato contro il mito dell’intangibilità della sentenza passata in giudicato. In molti, non certo sanculotti animati da spirito eversivo, attendevano l’importante svolta che invece, in punta di diritto, riconduce nell’alveo della legittimità la condanna e la pena, sottraendola a un’arbitrarietà che talvolta, in spregio dello stesso diritto, ha sacrificato sull’altare del dogmatismo la stessa nozione di giustizia.

Ma non si tratta qui soltanto di inerti disquisizioni teoriche: la sentenza della Cassazione rappresenta una buona notizia per il popolo delle carceri che da anni attende giustizia. Perché mai, in nome di un fideismo granitico, un cittadino dovrebbe difatti continuare a scontare per intero la pena inflitta, se la stessa norma che lo costringe alla detenzione viene riconosciuta come incostituzionale, e dunque illegittima, e in termini ancora più chiari, ingiusta?

La conquista, seppure tardiva, non può che essere accolta con favore: già nel dopoguerra, giuristi come Giovanni Leone e più tardi Franco Coppi avevano contestato il mito del giudicato. Ma come si è giunti alle preziose 43 pagine della sentenza numero 42.858 delle sezioni unite che scardina il falso mito dell’irreversibilità della sentenza?

La Suprema Corte si è trovata a dover valutare nei mesi scorsi, il caso di un imputato per detenzione e spaccio di stupefacenti che era stato condannato nel 2012 a 6 anni di carcere. La pena inflitta all’uomo fu allora calcolata sulla base del divieto, introdotto nel 2005 dalla legge ex Cirielli, di dare prevalenza all’attenuante del fatto di lieve entità – che nel caso specifico era rappresentata dalla dose modesta di droga detenuta – rispetto alla recidiva. Nello stabilire la pena, in altre parole, fu determinante il fatto che il reato era stato compiuto dal soggetto più di una volta. Che la droga in possesso dell’imputato fosse molto poca, non aveva avuto insomma alcuna rilevanza nel mitigare la condanna, in quanto era vietato per legge.

Ma la situazione cambia nel 2012, quando la Consulta cancella il divieto di dare precedenza all’attenuante, in caso di recidiva. Tradotto in parole povere, anche se il reato era stato già commesso dall’imputato, era ingiusto non tenere in considerazione l’attenuante, e cioè il fatto incontestabile che la droga in suo possesso fosse poca.

Ed è più o meno questa la ragione, espressa certo con parole più aree, che ha spinto la Cassazione alla svolta. “Nei confronti del condannato – scrive infatti la Suprema Corte nel valutare la palese ingiustizia subita – è pertanto in atto l’esecuzione di pena potenzialmente illegittima e ingiusta, in quanto parzialmente determinata dall’applicazione di una norma di diritto penale sostanziale dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale dopo la sentenza irrevocabile e contrastante con la finalità rieducativa prevista dall’articolo 27, terzo comma, della Costituzione”.

E qui si giunge alla ricaduta pratica del diritto sulla vita dei cittadini, che in questo caso sono detenuti sulla scorta di una sentenza irrevocabile di condanna. Se la Consulta valuta come illegittima una norma che ha inasprito la pena inflitta all’imputato, occorre rimodulare la condanna sulla base di questa sopraggiunta illegittimità. Ancora, in soldoni: se una legge è stata valutata come ingiusta, incostituzionale, decade il suo potere, e la pena che il condannato sta scontando deve essere ricalcolata. Spetta al pm, l’obbligo di chiedere al giudice dell’esecuzione il ricalcolo della pena.

Va aggiunto inoltre, che una condanna scontata sulla base di norme dichiarate illegittime non è soltanto oggettivamente sbagliata, ma lo è anche in senso soggettivo, in quanto, spiega la Cassazione, “sarà inevitabilmente avvertita come ingiusta da chi la sta subendo” poiché “imposta da un legislatore che ha violato la Costituzione”. In questo passaggio è inevitabile comprendere quale sia il bersaglio grosso della Suprema Corte, e cioè la politica.

I signori parlamentari, parafrasando, sono invitati a formulare leggi rispettose della Costituzione. Un ultimo chiarimento. La sentenza della Cassazione non implica che la rivalutazione di un reato in tempi successivi alla condanna debba riaprire il processo. Se il furto in appartamento viene ad esempio rimodulato con pene più lievi, per intenderci, ciò non vuol dire che la condanna di chi è già stato giudicato dovrà essere riformulata. In questo caso la definitività del giudicato resta inattaccabile.

Francesco Lo Dico da il Garantista

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