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Francia: un punto di vista antifascista sulla mobilitazione studentesca

Una riflessione elaborata dal collettivo antifascista SIAMO dell’Università Sorbonne di Parigi, che collega le recenti mobilitazioni degli studenti, le repressioni da parte della polizia e le aggressioni da parte dei fascisti.

Dopo lo sgombero dell’università Tolbiac dello scorso fine settimana, pochi giorni prima di un maggio che si annuncia offensivo e forse rivoluzionario, il tempo ci sembra maturo per tracciare un bilancio antifascista degli recenti avvenimenti nelle università.

Nelle ultime settimane, alcune occupazioni di locali universitari si svolgono in tutta la Francia. L’obiettivo che si punta è duplice ogni volta: opporsi alla Loi Orientation et Réussite des Etudiants (ORE) e al Parcoursup intraprendendo un rapporto di forza con il governo e (ri)dare alle facoltà il ruolo che deve essere loro, per consentire a tutte e tutti gli studenti di acquisire conoscenze ritenute utili dalle stesse. Nelle ultime settimane, e anche questo è osservabile in molte città francesi, dei gruppi di estrema destra vedono con occhio negativo queste occupazioni, sono in agitazione e cercano, con più o meno successo, di “sbloccare” con la forza fisica i luoghi occupati. Tutto ciò si è visto a Montpellier, Lille, Parigi o anche Strasburgo. Queste aggressioni possono aver sorpreso e urtato, specialmente una parte degli studenti poco abituati a confrontarsi con i fascisti, ma fortunatamente non si sono lamentati feriti gravi.

Questi attacchi fascisti hanno il merito di ricordarci chiaramente due cose. Da un lato, che l’estrema destra ricorre spesso alla violenza per imporre le sue idee. Nulla di molto originale in questa proposizione, ma gli sforzi fatti dai partiti e dai gruppuscoli di estrema destra, ben aiutati da gran parte dei media, per “de-demonizzarsi” possono avere la tendenza a farcelo dimenticare. Dall’altra parte, che non è necessario andare indietro al 1920 e 1930, e una dettagliata analisi dei legami tra questi governanti fascisti o nazisti e gli industriali italiani e tedeschi, per constatare che i gruppi fascisti sono, insieme alla polizia, i migliori difensori degli interessi delle classi dirigenti / della borghesia / del capitale (chiamatelo come volete). Sgomberare una facoltà (come a Montpellier un paio di settimane fa), attaccare una manifestazione autorganizzata (come a Strasburgo durante il secondo turno delle presidenziali nel 2017) o un locale della Confederazione Nazionale del Lavoro (come a Lione un mese fa), è ogni volta fare il gioco del governo colpendo, sia letteralmente che in senso figurato, la contestazione sociale e coloro che la incarnano. Gli attivisti di estrema destra possono pure presentarsi come avversari del sistema capitalista; basta aprire gli occhi per vedere che ne sono solo un braccio armato.

Il moltiplicarsi di aggressioni fasciste nelle ultime settimane è pertanto un segno che l’estrema destra (quella più radicale) è animata da un nuovo respiro o sta vivendo un nuovo vigore? Niente è meno sicuro. Ricorrere alla violenza non significa che uno sia potente: colpire qualcuno, distruggere un edificio, far esplodere una vetrina è una dimostrazione di forza a condizione che si inserisca in una serie di atti propositivi per altri (riunioni, discussioni, costruzioni, ecc.). Una radicalità supportata dal nulla non può che condurre all’isolamento. Questo è ciò che potrebbe caratterizzare, nelle ultime settimane, le azioni dei militanti del Bastion Social o di Action Française, di cui le “campagne [ritenute] nazionali” per il nazionalismo, la Frexit o la riabilitazione di Charles Maurras non ho riscontrato che solo un’eco limitata… E questo è un eufemismo. In altre parole, non c’è bisogno di allarmarsi per un “ritorno” dell’estrema destra negli ultimi tempi. Continua a fare ciò che ha sempre fatto: si mostra violenta fino a quando improvvisamente si rende conto che le categorie sociali che cerca di sedurre (in questo caso i giovani o gli studenti) rimangono estranei al suo discorso razzista, omofobo e diseguale.

Tuttavia, questo non significa che la lotta antifascista non sia di alcun interesse, anzi al contrario. Sebbene non siano numerosi, i fascisti restano pur sempre pericolosi. A Parigi, le milizie di estrema destra non sono al loro meglio. È da un anno e mezzo che noi stiamo militando attivamente come gruppo antifascista e abbiamo potuto notare l’assenza di Generazione Identitaria nelle strade, la scomparsa di GUD (Groupe Union Défense) come gruppo militante e il declino, graduale ma reale, di Action Française. Ma la lotta è tutt’altro che finita. Combattere contro l’estrema destra non si fa solo quando le facoltà sono occupate, ma quotidianamente. Anche (soprattutto?) quando l’agenda militante non è molto piena. E questo si fa in tre direzioni. In primo luogo, è chiaro che dobbiamo rispondere agli attacchi fascisti: lo scontro fisico è tutt’altro che un obbligo, ma non bisogna perdere di vista che il rischio che gruppi fascisti ci aggrediscano è reale e che bisogna essere pronti a respingerli se necessario. Prima di ciò, un vero lavoro di raccolta e circolazione delle informazioni è essenziale per sapere con chi abbiamo a che fare. I compagni di La Horde, e altri, hanno svolto un lavoro straordinario per molti anni, e deve essere approfondito nei nostri luoghi di studio e di lavoro. Identificare gli attivisti di estrema destra, siano liceali, universitari, insegnanti o membri del personale di sicurezza, sapere a quale gruppo sono affiliati e conoscere le loro reti è essenziale per sapere chi è probabile che contattino per fare delle aggressioni. La conoscenza dell’estrema destra è, al momento, troppo frammentata, o forse non sufficientemente condivisa, da fungere da solida base per un’efficace risposta antifascista.

D’altra parte, se c’è un pericolo fascista, è forse da cercare altrove, rispetto a quella parte che viene chiamata estrema destra. I colpi più duri che vengono inflitti al movimento sociale non sono dei neo-nazisti opportunistici o impazziti, ma piuttosto il potere dello Stato. Le armi da guerra utilizzate dai gendarmi sulla ZAD a Notre-Dame-des-Landes, la repressione della polizia nei quartieri e nei centri di detenzione (prigioni o centri di fermo), gli sgomberi delle facoltà sistematicamente violente (cosa che dicono i media asserviti), il voto sulla Loi Asile et Immigration da parte di una maggioranza parlamentare “centrista”, sono tutti segni che quello che noi chiamiamo fascismo può annidarsi nel cuore stesso dello Stato. Pertanto, dobbiamo imparare a organizzarci senza di lui: evitare, per quanto possibile, i suoi agenti (che siano poliziotti, controllori, guardie) e affrontarli quando la situazione lo richiede. Infine, la lotta antifascista comincia da noi, nei nostri gruppi militanti e nelle reti di affinità. È triste vedere nelle occupazioni, nelle azioni e nei movimenti di questa primavera il persistere di oppressioni razziste e sessiste da parte di persone che affermano di essere autonome, rivoluzionarie o antifasciste. L’appello pubblicato il 18 aprile su Mediapart da parte del collettivo Risposte Antifasciste Popularie lo dimostra bene: invece di parlare vanamente di “convergenza di lotte” o di “agglomerazione della rabbia” (che sarà presto: la “confluenza delle rivolte”? ), bisogna soprattutto essere attenti alle oppressioni che esercitiamo per porvi fine.

Organizzare come gruppo, darsi i mezzi per un’autentica difesa popolare e non finire più in situazioni di debolezza, è una necessità. Se la lotta antifascista ha una vocazione ad essere universale, questa inizia nei nostri quartieri, nei nostri luoghi di studio e di lavoro.

S.I.A.M.O. Sorbonne Antifasciste  (Sorbonne Intervention Antifasciste Militante et Organisée)

Traduzione a cura di Andrea Mencarelli

 

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