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Francia: La politica è sotto il ricatto della polizia

Centinaia di poliziotti francesi in «sciopero» dopo i due fermi decisi dal tribunale per il pestaggio a sangue del giovane Hedi a Marsiglia. Il ministro dell’interno promette: mai più agenti in detenzione provvisoria. Sinistra e magistratura: «Gravissimo»

di Filippo Ortona

Sono bastati appena otto giorni di mobilitazione ai poliziotti francesi per ottenere l’apertura di un tavolo col ministero degli Interni, con conseguenti promesse di radicali riforme del codice penale e civile. Otto giorni di protesta scatenati dalla punizione inflitta a un agente a Marsiglia, nel quadro dell’ennesimo caso di violenze esercitate su di un giovane di origini arabe, ad appena un mese di distanza dalla morte di Nahel, la cui uccisione aveva provocato le più grandi rivolte dei quartieri popolari dal 2005.

DURANTE QUESTE RIVOLTE, nella notte tra l’1 e il 2 luglio, Hedi, un 22enne di Marsiglia, è stato colpito da un proiettile di flashball, trascinato dietro a una macchina e pestato selvaggiamente da un gruppo di poliziotti marsigliesi. «Mi hanno spaccato la mascella», ha detto Hedi, in un’intervista realizzata dal media Konbini, che ha raccolto più di 25 milioni di visualizzazioni su Twitter.

Terminato il calvario, Hedi è stato lasciato esangue sul marciapiede. «Ho provato a toccarmi la testa, ma non c’era più il cranio», ha detto, davanti alla telecamera di Konbini. A Hedi manca la parte sinistra della testa, che si piega a un grottesco angolo di 45 gradi sopra l’orecchio: per salvargli la vita, i medici hanno dovuto asportargli un pezzo della scatola cranica, danneggiata gravemente dalle violenze dei poliziotti.

La violenza subita da Hedi (la cui versione è corroborata dalle immagini di videosorveglianza, secondo le ricostruzioni dei media francesi) ha spinto la magistratura marsigliese ad avviare un’inchiesta e richiedere la detenzione provvisoria per quattro agenti. Richiesta accolta solo in parte dal tribunale, che ha piazzato in detenzione un solo poliziotto, accusato di aver sparato con il flashball.

UN FATTO del tutto straordinario, che ha scatenato la protesta dei sindacati di categoria. La «detenzione provvisoria del nostro collega a Marsiglia» è un «trattamento degradante e pericoloso per la nostra funzione», ha scritto in un comunicato Unité SGP Police, uno dei sindacati più importanti della polizia francese, invitando i colleghi a mettersi in ‘562’, il codice interno che stabilisce di garantire il solo servizio minimo di risposta alle emergenze.
All’unisono, i sindacati di polizia hanno alimentato la protesta, chiedendo la revisione del codice penale affinché i poliziotti non possano essere messi in detenzione provvisoria, criticando aspramente le decisioni della giustizia tanto nel caso di Hedi quanto in quello di Nahel. Così, di commissariato in commissariato, centinaia di agenti hanno cominciato a dichiararsi in malattia e in ‘562’.

UNA TALE mobilitazione, ad appena un mese dalla morte di Nahel, ha suscitato l’indignazione di chi da anni si batte contro le violenze e il razzismo della polizia francese. «I poliziotti reclamano non tanto il fatto di essere al di sopra della legge e dei corpi degli uomini arabi, neri, poveri, quanto il fatto di restarci, di restare al di sopra di tutto, che il loro mondo continui il suo corso. Le rivolte popolari che hanno fatto seguito all’esecuzione di Nahel gli hanno fatto venire paura, paura che Nahel fosse l’ultimo», ha twittato la scrittrice Kaoutar Harchi.

TRA I COMANDANTI della polizia, tuttavia, la protesta è stata finanche incoraggiata. Domenica scorsa, il capo della polizia francese, Frédéric Veaux, ha rilasciato un’intervista al quotidiano Le Parisien. «Sapere che un poliziotto è in prigione m’impedisce di dormire», ha detto Veaux, «in generale penso che prima di un eventuale processo, un poliziotto non dovrebbe stare in prigione».
Una presa di posizione senza precedenti, condannata tanto dalla sinistra («gravissimo: la polizia si mette al di sopra delle leggi», ha affermato Olivier Faure, il segretario del Partito socialista) quanto dalla magistratura stessa. In un’ancor più rara dichiarazione, il Consiglio Superiore della Magistratura ha ribadito in un comunicato che la giustizia «deve poter compiere le sue missioni al riparo di ogni pressione».

Malgrado ciò, le pressioni dei poliziotti hanno ottenuto un primo risultato: giovedì, il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha incontrato i sindacati di polizia ed espresso solidarietà agli agenti. Al termine dell’incontro, i sindacati hanno cantato vittoria: «Il ministro si è detto d’accordo a rivedere il codice penale e inserire una clausola che escluda i poliziotti dalla detenzione provvisoria», ha detto Fabien Vanhemelryck, il segretario di Alliance Police Nationale, il sindacato maggioritario della professione. «Siamo soddisfatti», ha aggiunto, citando una serie di promesse fatte dal ministro, tra le quali il divieto di filmare i poliziotti, proposta già bocciata dal Consiglio costituzionale nel 2021.

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«La polizia francese chiede di operare al di sopra della legge: la fine della democrazia»

Intervista all’avvocato Arié Alimi: «Avanzano rivendicazioni mentre li si accusa di violenze sempre più gravi. E il ministero li segue: segno che il potere politico è nelle mani di un vero e proprio “potere poliziesco”»

Arié Alimi è un avvocato francese. Negli anni è divenuto una delle figure emblematiche della lotta contro le violenze e il razzismo della polizia francese, difendendo in tribunale numerose vittime di violenze.

Com’è possibile che ai sindacati della polizia francese siano bastati pochi giorni di protesta per essere ricevuti e ascoltati dal governo Macron?

Non è la prima volta che succede, anzi. A colpire è il fatto che ciò avvenga nel quadro di una sequenza giudiziaria, sociale e politica particolare, caratterizzata dalla morte di Nahel, poi dal pestaggio di Hedi e da una serie di violenze poliziesche tra le quali decine di casi di mutilazione. In un momento in cui è la popolazione a essere vittima della violenza della polizia, le loro richieste sono controcorrente rispetto al fenomeno sociale. I poliziotti avanzano delle rivendicazioni, proprio mentre li si accusa di violenze sempre più gravi e frequenti. E tuttavia, il ministero degli interni li segue in tutto e per tutto: segno che il potere politico è tra le mani di un vero e proprio «potere poliziesco».

Cosa intende con «potere poliziesco»?

Di fatto, i funzionari di polizia godono in Francia di un privilegio della violenza e dell’impunità. Quello che chiedono i loro sindacati è di consacrare da un punto di vista legislativo questo privilegio. Se questa rivendicazione venisse soddisfatta, assisteremmo all’affermazione definitiva di questo «quarto potere», esterno ai poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo. Tutto ciò è possibile perché il potere politico è estremamente fragile e necessita di rispondere positivamente alle richieste che provengono dalla polizia. L’istituzione poliziesca ha varcato una soglia e utilizza il potere che detiene sulla politica per ottenere uno status particolare e poter fare quello che vuole. Ovvero, eventualmente, poter uccidere o ferire senza aver paura delle conseguenze giudiziarie.

Come interpretare questa evoluzione del potere della polizia in Francia, la cui violenza e impunità non sembrano essere scalfite dai numerosi scandali di questi ultimi anni?

Nel mio libro, L’État hors-la-loi (in uscita per La Découverte a settembre 2023), analizzo questa evoluzione, in particolare lo spazio che hanno assunto le violenze della polizia e quelle che io chiamo «illegalità di Stato». Sono tendenze che si sono manifestate nell’ultimo decennio, soprattutto nei quartieri popolari contro le persone discendenti dall’immigrazione e nell’ordine pubblico contro le persone che manifestano opposizioni politiche. È un processo avvenuto per gradi, sotto l’egida della politica. Dalla destra di Sarkozy ai socialisti con Bernard Cazeneuve (primo ministro di Hollande e autore della legge che ha riformato la legittima difesa nel 2017, ndr), fino a Emmanuel Macron. Con «illegalità di stato», intendo definire una pratica deliberata dell’illegalità da parte dell’istituzione poliziesca o da parte delle amministrazioni dello Stato. C’è in questi settori una volontà di non rispettare la legge, soggiacente a tutta una serie di fenomeni: penso alle violenze della polizia, che sono uno strumento di controllo sociale sistemico; penso all’utilizzo sproporzionato, dunque illegale, delle armi cosiddette «intermediarie»; penso ai controlli di polizia esercitati su base «etnica» nei quartieri popolari; o ancora ai divieti di manifestare indetti dai prefetti… Tutti esempi di prassi generalizzate, utilizzate correntemente dallo Stato e dagli stessi poliziotti, in maniera deliberata, eppure del tutto illegali.

Come possono la società civile e i movimenti francesi affrontare tale evoluzione inquietante del ruolo della polizia?

Una soluzione che io e tanti altri abbiamo adottato in questi anni è di intraprendere azioni giudiziarie sistematiche, particolarmente aggressive, tanto nei confronti degli agenti accusati di violenze quanto delle istituzioni che impediscono che gli agenti vengano sanzionati. È un lavoro che coinvolge da anni molti avvocati e militanti, che ha portato risultati notevoli ma che ha anche condotto alla situazione presente di scontro con l’istituzione poliziesca. Oggi assistiamo infatti a un punto di rottura: i poliziotti si rendono conto che possono essere perseguiti, malgrado le promesse fatte dai vari esecutivi in questi anni. I politici hanno promesso molte cose agli agenti, ora questi ultimi si accorgono che il potere giudiziario è indipendente dall’esecutivo e che non tutte queste promesse potranno essere esaudite. Quello che i sindacati di polizia chiedono oggi di poter sfuggire all’autorità giudiziaria, è questo il senso dietro alla rivendicazione di uno statuto giuridico particolare. Qualora lo ottenessero, obiettivamente, si tratterebbe di un’uscita dalla democrazia. Sarebbe l’inaugurazione di uno stato poliziesco che permette ad alcuni di essere formalmente al di sopra della legge, e quindi di tutti gli altri cittadini.

da il manifesto

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