
Dopo Genova e Cosenza, questo di Firenze è un terzo passaggio verso la riapertura di uno spazio pubblico contro la repressione come risposta politica alla chiusura di un ciclo di movimento». C’era anche Federico Tomasello, coordinatore nazionale dei Giovani comunisti, quel 13 maggio del ’99 davanti al consolato Usa sul Lungarno. E c’era ieri prima in corteo poi sotto il tendone di piazza S.Marco per il «processo al processo», l’incontro nazionale dei movimenti sociali contro la repressione che oggi discuterà anche del nuovo ciclo di conflitti sociali e del patto contro la precarietà.Nove anni dopo, 13 attivisti fiorentini (10 dell’area antagonista e 3 dell’area m-l) si sono visti comminare l’abnorme pena di 7 anni per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, quasi il doppio di quanto prenderebbe un governatore siciliano per le sue collusioni con i mafiosi. Sette anni senza prove sciaccianti, anzi, con video e foto (vedi www.inventati.org/13maggio99) a documentare la brutalità delle cariche della celere scatenate da una circolare del Viminale per reprimere ogni manifestazione sotto sedi consolari nei giorni in cui piovevano bombe alleate sulla Jugoslavia. «Era il giorno dello sciopero generale contro la guerra, c’erano lavoratori, bambini, passeggini, dirigenti sindacali. La carica fu improvvisa, ero con mia moglie e Amanda che aveva 3 anni quando arrivarono i lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo. La polizia picchiava tutti, Amanda piangeva disperata e per fortuna, perché le lacrime le pulivano gli occhi. Le ho portate in un negozio di animali, poi sono tornato in piazza. La segretaria Cisl, che non cammina bene, fu salvata da un lavoratore che la prese in braccio», racconta John Gilbert, statunitense no war, fiorentino dal 1981. Perfino la digos, guidata allora da uno degli attuali capi dei servizi segreti, storse il naso. Perfino un sindaco come Dominici storce il naso adesso di fronte a una condanna così pesante. Più di quanto avesse reclamato il pubblico ministero. Firenze, città del primo social forum e città dei lavavetri perseguitati dai vigili. Firenze che vede sfilare un piccolo corteo, un migliaio di persone, spaccato in due. Con gli m-l davanti a sventolare le loro bandiere e accendere petardi e dietro i duecento occupanti della caserma dismessa dall’esercito a Sesto, migranti e disertori della guerra permanente, che in una settimana hanno già sventato due tentativi di sgombero. Avrebbero dovuto aprire loro (con l’area antagonista e i Cobas, le Rdb, pezzi di Rifondazione, Arci, Fiom, Attac, pacifisti…) il corteo che sarebbe confluito sotto il tendone per la prima assemblea. Un’assemblea di racconti. Racconti di pratiche, conflitti, repressione. Perché non si scriva la storia del conflitto nelle aule di tribunale. Il censimento dei processi alle lotte vede 11500 attivisti sotto processo, due anni fa erano 8mila. I primi cinque saranno interventi di donne – fiorentine, vicentine del presidio No Dal Molin, parlerà Raffaella Bolini dell’Arci nazionale – per leggere l’attacco al corpo e alla libertà delle donne nella pervasività della guerra permanente. «Abbiamo voluto costruire un’iniziativa che andasse oltre la solidarietà, che parlasse di guerra interna, politiche sicuritarie, che facesse parlare tra loro i conflitti in corso, c’è tanto fuori di noi: i No Tav, chi lotta contro discariche e inceneritori in Campania, i vicentini», spiega a Liberazione, Bruno Paladini, figura storica del movimento antagonista toscano, e condannato per il 13 maggio.A differenza di altre occasioni nessuno sembra essere arrivato a Firenze, segno dei tempi, con proposte precise. Certo ci sono due date “naturali”, 8 marzo e primo maggio, e qualche idea potrebbe venir fuori. Però è ben chiara l’urgenza di una «campagna per depenalizzare i reati di piazza sennò – dice Italo Di Sabato dell’Osservatorio contro la repressione – i conflitti rischiano di essere espulsi dall’agenda politica». «Va stabilita una scala etica della giustizia, lo dice anche Magistratura democratica, chi ha buttato una molotov contro il portone di una carcere, come a Genova, non può stare dentro più di chi ha ucciso due fidanzate», aggiune Bolini. «Accanto alla proposta di amnistia – dice Andrea Alzetta, il tarzan di Action – vanno pensate in positivo leggi sui nuovi diritti». «La guerra riduce gli spazi di democrazia – ricorda Luca Casarini – anche nei paesi da dove parte». «Intanto si allarga l’area della marginalità urbana, spesso invisibile, fuori dalla politica», ammonisce Vincenzo Striano dell’Arci toscana.