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Finché le persone saranno costrette a fuggire dalle proprie case verso l’Europa, le reti di trafficanti resteranno una necessità

Nel 2015 più di un milione di donne, uomini e bambini sono giunti in Europa attraversando il Mediterraneo. Centinaia di migliaia si sono arrampicati, o sono stati spinti e ammassati, su barche traballanti in Libia, per raggiungere Malta o l’Italia. Molti di più hanno fatto lo stesso in Turchia per arrivare in Grecia. Nel 2016, nonostante meno persone abbiano intrapreso il viaggio, ne sono morte di più lungo la strada.

Secondo i leader europei, i responsabili di questi movimenti, e in definitiva delle perdite di vite umane sul mare, sono i trafficanti che operano all’interno di vaste reti criminali internazionali. La soluzione, come in molti hanno ripetutamente affermato, sarebbe “annientare le bande di trafficanti” incrementando la sorveglianza, arrestando gli “spietati scafisti” e intraprendendo azioni militari nei punti di imbarco.

Il nostro nuovo studio, basato su colloqui con 500 rifugiati e migranti in Italia, Grecia e Turchia, mette radicalmente in discussione questo approccio. La chiusura dei confini interni ed esterni dell’Europa, invece di fermare la migrazione e distruggere le reti dei trafficanti, li ha resi più richiesti e più utilizzati.

Nessuna alternativa se non rivolgersi agli scafisti

L’attraversamento del Mediterraneo è spesso il culmine di un lungo viaggio, che comincia mesi o perfino anni prima. I trafficanti sono utilizzati in diverse tappe di questo viaggio, e per diverse ragioni.
Ognuno dei 500 migranti e rifugiati con cui abbiamo parlato si è rivolto ai servizi dei trafficanti almeno una volta: una percentuale sul totale di coloro che hanno attraversato il Mediterraneo più alta di quanto riportato in precedenza.

Per molti di coloro che abbiamo incontrato, i trafficanti sono stati l’unica possibilità di lasciare un luogo pericoloso o di entrare in paesi in cui era potenzialmente disponibile protezione. In cambio di una tariffa che può arrivare fino a 15.000 dollari americani, i trafficanti hanno aiutato le persone ad organizzare gli aspetti logistici del loro viaggio, da paesi come Eritrea, Etiopia, Gambia, Sudan, Afghanistan, Iran, Siria, Nigeria, Iraq, Yemen e Marocco.

Il 43% delle persone che abbiamo intervistato in Grecia ha avuto bisogno di rivolgersi ad un trafficante per lasciare la propria casa. Quasi tutti (il 91%) hanno esplicitamente parlato di alcuni fattori descrivibili come “migrazione forzata“, che hanno giocato un ruolo chiave nel convincerli a lasciare la propria patria. Tra questi fattori, persecuzioni, conflitti o violazioni dei diritti umani.

In queste circostanze, i trafficanti hanno offerto sicurezza personale, oltre che assistenza logistica. Per esempio, hanno dato alle persone la possibilità di scappare dalla prima linea del conflitto ad Aleppo, Daraa e Homs, o dallo Stato Islamico a Deir al-Zor, Raqqa e Mosul. Per coloro che hanno viaggiato attraverso il Niger diretti in Libia, sarebbe stato quasi impossibile riuscire ad uscire dal Sahara senza un veicolo robusto messo a disposizione dai trafficanti e un autista che conoscesse la strada. E una volta in Libia, una terra caotica immersa nella violenza e nel conflitto, dove un terzo delle persone con cui abbiamo parlato ha visto la morte con i propri occhi, pagare uno scafista per salire su una barca sembrava l’unica opportunità di lasciarsi il pericolo alle spalle.

Molti di coloro che abbiamo intervistato ci hanno raccontato che non hanno avuto scelta se non usare un trafficante per evitare i controlli alle frontiere, perché non avevano modo di viaggiare legalmente. Delle persone arrivate in Grecia, una su dieci ha tentato, senza riuscire, di trovare una via legale per la migrazione, facendo domanda per un visto, un programma di ricollocazione dell’ONU, o il ricongiungimento familiare. E molti di più, tra coloro che hanno usato le rotte mediterranee orientale e centrale, avevano preso in considerazione l’idea del visto, ma hanno deciso che tentare avrebbe probabilmente portato ad un fallimento, sarebbe stato troppo costoso o addirittura impossibile a causa della mancanza di ambasciate funzionanti dove fare domanda vicino alle loro case.

Eroi o cattivi?

Almeno alcuni dei trafficanti che facilitano il viaggio attraverso il Mediterraneo ci sono stati descritti come individui pericolosi e senza scrupoli, che cercano solo di trarre guadagno dalla disperazione dei migranti. Questo era soprattutto il caso di coloro che viaggiano attraverso la Libia. Le persone che abbiamo incontrato erano fin troppo consapevoli di aver messo la propria vita, e a volte anche quella dei propri figli, nelle mani di questi trafficanti. Ma non c’era alternativa.

Eppure, chi ha attraversato il Mediterraneo fino alla Grecia non è stato costretto da vaste reti criminali: anzi, spesso sapeva in anticipo quanto avrebbe dovuto pagare per i servizi offerti dai trafficanti. Ha potuto negoziare sui prezzi, sul numero di persone sulla barca, sull’orario del viaggio e sulla nazionalità dei compagni di traversata. Due delle persone che abbiamo incontrato hanno persino ricevuto un rimborso dai propri trafficanti per un tentativo fallito di attraversare il confine tra la Turchia e la Grecia.

Nonostante i migranti che arrivano in Italia via Libia soffrano di maggiori violenze ad opera dei trafficanti, la fiducia e la buona reputazione hanno un ruolo nelle scelte fatte dalle persone. Su entrambe le rotte, se il viaggio va bene e le persone arrivano sane e salve, il trafficante può costruirsi una buona reputazione tra quelli che stanno ancora aspettando di partire.

Le persone che abbiamo incontrato hanno descritto trafficanti che in genere non fanno parte di estese reti criminali internazionali. Alcuni rifugiati e migranti timonano le barche dalla Libia e dalla Turchia in cambio del viaggio gratis o di uno sconto. Altri assicurano nuovi “clienti” ai trafficanti in cambio della stessa cosa, o di soldi per finanziare le loro tappe successive. Un’ampia gamma di altri individui, compresi negozianti, pastori e tassisti partecipano ai traffici. Diversi rifugiati hanno anche riferito di aver pagato mazzette alle guardie di confine, ai poliziotti e ai soldati per facilitare il proprio percorso. Perciò, non è sempre facile distinguere i criminali dai trafficanti utili.

Per quelli che hanno maggiore urgenza di fuggire, meno soldi a disposizione o nessuna raccomandazione personale, i rischi di violenze e rapimenti da parte dei trafficanti sono molto più alti. Invece di negoziare una cifra da pagare, molti dei nostri intervistati sono stati costretti dai loro trafficanti a lavorare in Libia senza un salario, a volte a prostituirsi. Alcuni sono stati persino venduti.

Ma tutto sommato, erano convinti che avere a che fare con un trafficante avrebbe largamente aumentato le loro probabilità di mettersi fuori pericolo e di arrivare a destinazione. Ciò significa che gli approcci attuali, che mirano ad usare la forza militare o la legge per annientare le reti dei trafficanti, sono basati su convinzioni sbagliate riguardo alla natura dei traffici, e perciò destinati a fallire. I traffici continueranno finché ci saranno la domanda e il bisogno di raggiungere sicurezza e protezione.

Katharine Jones e Simon McMahon

Traduzione a cura di: Claudia Peroni

Katharine Jones   ricercatore senior, Centre for Trust, Peace and Social Relations, Università di Coventry,   membro del Consiglio Scozzese per i Rifugiati.

Simon McMahon  ricercatore, Università di Coventry,  non ha rapporti lavorativi, di consulenza, di interesse, né riceve fondi da nessuna impresa od organizzazione che sarebbe avvantaggiata da questo articolo, e non ha rivelato nessuna affiliazione rilevante oltre all’incarico accademico di cui sopra.

 Link all’articolo originale (ENG)

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