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El Salvador: gli arresti arbitrari di Bukele

Utilizzando come scusa la lotta a maras e pandillas, il governo reprime qualsiasi forma di protesta e la assimila indistintamente al “terrorismo”. Il numero attuale di detenuti degli ultimi sei mesi ha già superato il totale della popolazione carceraria già reclusa.

di David Lifodi

In El Salvador si fa sempre più allarmante la situazione delle detenzioni arbitrarie dovute allo stato d’assedio proclamato lo scorso 27 marzo, dopo che, nei precedenti tre giorni, erano rimaste uccise ben 87 persone in tutto il paese. Da allora le cifre ufficiali, che si fermano al 10 luglio, segnalano che sono state arrestate ben 45.376 persone, come riportato dal Ministerio de Justicia y Seguridad Pública in un inquietante comunicato che si conclude con la seguente frase: “Se terminaron los tiempos de impunidad, vamos a sacar de las calles a todos los terroristas”.

Alla fine di agosto, difensori dei diritti umani provenienti da Argentina, Brasile e Bolivia hanno visitato le carceri del paese per controllare le modalità di detenzione, lo stato dei penitenziari e le condizioni di vita dei detenuti nell’ambito della I Cumbre Iberoamericana de Derechos Humanos. Il governo del presidente Bukele ha annunciato infatti di voler riformare la Ley contra el Crimen Organizado y Delitos de Realización Compleja, che se da un lato ha lo scopo di combattere le pandillas e la criminalità organizzata, dall’altro sembra rappresentare una sorta di via libera a compiere arresti indiscriminati utilizzando il pretesto della battaglia a mareros e pandilleros.

Da quando è stato proclamato lo stato d’assedio, sono almeno le 63 le persone decedute dopo essere finite nelle mani dello Stato, che ha deciso di prendere questa misura a seguito di un’ondata di omicidi attribuita ai pandilleros alla fine del marzo scorso. Il ministro della Giustizia e della Sicurezza Gustavo Villatoro ha assicurato che lo Stato non arresta persone por apariencias o nerviosismos”, ma le organizzazioni che si occupano di diritti umani continuano a denunciare casi di arresti arbitrari, violenze e torture fino alla morte nelle carceri del paese poiché tutti coloro che finiscono nelle mani della polizia vengono automaticamente assimilati a terroristi, indipendentemente dalla loro colpevolezza (e dal tipo di reato che hanno eventualmente commesso) o innocenza. Sono oltre duemila le denunce per violazioni dei diritti umani a seguito delle detenzioni, un segnale evidente del fallimento del Plan Control Territorial su cui avevano scommesso Bukele e il suo governo come politica di sicurezza pubblica.

Il numero attuale di detenuti degli ultimi sei mesi ha già superato il totale della popolazione carceraria già reclusa. In occasione dell’audiencia pública della Comisión Interamericana de Derechos Humanos dello scorso 23 giugno, lo Stato salvadoregno ha deciso di non presentarsi, a differenza delle organizzazioni per i diritti umani che, di fronte alla Cidh, hanno ribadito la loro preoccupazione per la deriva autoritaria del governo, soprattutto a seguito del rifiuto di rendere conto delle crescenti violazioni dei diritti umani nel paese. In quella sede la Fundación para el Debido Proceso ha criticato fortemente l’aumento delle pene comminate ai minorenni, che possono essere giudicati fin dai 12 anni di età, il termine indefinito di detenzione per gli arrestati dall’attuazione dello stato d’assedio e le violazioni e gli abusi nei confronti delle detenute.

Inoltre, la proclamazione dello stato d’assedio permette al governo di sospendere in qualsiasi momento le libertà fondamentali e di schierare più facilmente militari e polizia per le strade. Bukele ha già dichiarato che manterrà questa misura finché non sarà terminata la (già fallimentare) guerra contro le maras. A questo proposito, secondo la Comisión Interamericana de Derechos Humanos “el presidente Bukele evidencia poco control ante un hecho de violencia y recurre nuevamente a una narrativa violenta, anunciando más violencia”.

L’attuazione dello stato d’assedio è scaturita da un’interpretazione dell’articolo 29 della Costituzione che autorizza il governo a proclamarlo in casi di guerra, invasione del territorio nazionale, ribellione, catastrofe, epidemia o gravi motivi di ordine pubblico, a cui Bukele si è appigliato per imporre all’intero paese una misura repressiva che in realtà si spinge molto oltre la volontà di debellare maras e pandillas, sostenendo che l’ondata di arresti è servita a ridurre la criminalità.

Già prorogato una prima volta il 24 aprile scorso e, successivamente, il 25 maggio e il 16 agosto, lo stato d’assedio è servito per far arrestare anche molte persone che non avevano alcun legame con la criminalità organizzata e le prossime misure a cui sta lavorando Bukele insieme ai funzionari del suo partito non promettono niente di buono.

Sono all’orizzonte la Reforma a la Ley Penal Juvenil, la Reforma al Código Penal e la Ley Especial para la construcción de centros penitenciarios. A far preoccupare è soprattutto quest’ultima perché la costruzione di nuove carceri significa che l’ondata repressiva di arresti arbitrari non sembra essere destinata a terminare a breve.

NOTA

Sul régimen de excepción Maria Teresa Messidoro aveva scritto – nel suo lungo e documentato El Salvador: nuova proroga dello stato di eccezione del 29 agosto scorso – denunciando i soprusi e le morti nelle carceri salvadoregne

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