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Egitto: Confiscati i beni di 5 attivisti per i diritti umani

Mentre il regime sarebbe pronto a sacrificare un capo della polizia per chiudere il caso Regeni, la repressione continua contro le ong che tutelano le vittime di abusi da parte dello Stato

«L’Egitto è imprevedibile, ma sarà difficile chiudere il caso Regeni vista la gravità e la dimensione internazionale. E l’opinione pubblica italiana è un elemento importante». Amro Ali, giornalista dell’agenzia indipendente egiziana Mada Masr, reagisce così con il manifesto alle notizie del sito al-Araby al-Jadeed: secondo fonti governative, al-Sisi sarebbe pronto a sacrificare il capo della polizia di Giza.

Un punto e a capo che salverebbe le relazioni mai realmente compromesse con Roma. Il soggetto in questione si presta bene: Khaled Shalabi era già stato condannato in passato come torturatore seriale. Poi con un colpo di spugna aveva fatto carriera ed era stato già più volte coinvolto nelle indagini sull’omicidio di Giulio. Secondo la fonte, la decisione sarebbe stata partorita negli ultimi mancati incontri di al-Sisi con i leader europei che hanno rifiutato di incontrarlo al G20 cinese. La cancelliera tedesca Merkel, invece, avrebbe chiesto al generale golpista di rivelare le identità degli assassini.

Il timore è che – affibbiando solo a Shalabi ogni responsabilità – il regime egiziano possa uscirne pulito, negando l’esistenza di una macchina repressiva di Stato. Come se quello di Giulio fosse davvero il caso isolato che il governo ha provato a dipingere. Così finirebbero nella spazzatura gli strenui tentativi della società civile egiziana di ottenere l’attenzione globale. Non accade e Il Cairo prosegue intoccabile nell’applicazione di leggi liberticide: le ultime vittime sono cinque prominenti attivisti per i diritti umani, tutti condannati – sulla base della normativa sulle ong del 2011 – per aver ricevuto fondi dall’estero.

La corte penale del Nord del Cairo ha congelato stavolta i conti personali del giornalista Hossam Bahgat, dell’avvocato Gamal Eid, di Bahey el-din Hassan, Mostafa al-Hassan e Abdel Hafiz Tayel e di buona parte dei loro familiari. fondi andranno al governo, insieme ai rapporti raccolti dalle ong su vittime di torture, abusi e sparizioni forzate.

Dall’Italia giunge la solidarietà dell’Arci: la presidentessa Francesca Chiavacci denuncia la condanna e chiede alle istituzioni internazionali e al governo italiano «di prendere misure drastiche e forti»

Chiara Cruciati da il manifesto

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